Oppenheimer. Riflessione a margine di un film sulla scienza, sul potere di morte e sulla speranza

L’estate che sta volgendo al termine è stata interessante da un punto di vista cinematografico, soprattutto per l’uscita (insolita soprattutto per l’Italia) di diversi blockbuster che hanno portato molte persone a frequentare le sale cinematografiche. E’ stata l’estate di Barbienheimer, coniando un termine che vuole unire i titoli dei due film che hanno fatto più cassa e suscitato più discussioni.

Tralasciando per il momento di parlare di Barbie, mi soffermerò nel fare alcune osservazioni personali sull’ultimo film di Christopher Nolan, Oppenheimer, uscito solo di recente in Italia e che ha avuto un discreto successo nei diversi Paesi dove è stato proiettato, nonostante la sua lunghezza (3 ore che però meritano).

Il film, al contrario degli altri di Nolan che oggi è uno dei maggiori registi viventi, è un biopic ed ha al centro della storia il fisico che, coordinando il progetto Manhattan, ha permesso la costruzione della bomba atomica che è poi stata usata nel bombardamento di Hiroshima e Nagasaki e che ha, di fatto, portato al termine del secondo conflitto mondiale. Non si tratta di una sceneggiatura originale ma è basato su una biografia intitolata Il Prometeo americano

Al contrario di quello che si possa pensare delle moderne produzioni di Hollywood, il film non è pacifista e, come accade anche in altri film di Nolan (mi riferisco soprattutto a Dunkirk), pur non indulgendo nella guerra, mostra tutte le ragioni e le scelte che portarono all’uso dell’arma di distruzione di massa da parte dell’esercito USA e di come lo stesso scienziato fosse assolutamente favorevole a questa scelta, salvo poi pensare che non bisognasse andare oltre con la ricerca scientifica ed arrivare alla produzione della bomba H (si ponga attenzione ai suoi dialoghi con Teller nel film).

La ricostruzione storica, come accade quasi sempre nei film del regista inglese, segue una linea cronologica solamente all’inizio quando si parla della formazione del fisico statunitense, per poi lavorare su due piani cronologici diversi: quello della progettazione della bomba e della costruzione dell’equipe che vi ha lavorato a Los Alamos e quello dell’inchiesta durante la Paura Rossa americana contro lo stesso Oppenheimer che sono scanditi anche dall’uso del colore nella prima parte e del bianco e nero soprattutto durante l’inchiesta del Senato americano.

Il film fa un’ottima ricostruzione di ambientazione storica soprattutto nella linea temporale che riguarda le attività a Los Alamos e lavora molto, in maniera inconsueta per l’autore britannico, sui dialoghi nella parte concernente la Paura Rossa. Ne esce fuori un monumentale film che non annoia e che, però, per essere compreso appieno avrebbe bisogno di una base di conoscenza della fisica, soprattutto quando si sofferma (anche se brevemente) sugli aspetti teorici della costruzione della bomba. Il conflitto ed il richiamo al Nazismo è ben fatto e mostra come per Nolan la Seconda Guerra Mondiale sia stata una guerra giusta contro la malvagità, senza lasciare remore su questo. 

Gli attori usati dimostrano la loro bravura, soprattutto il protagonista, Cillian Murphy e, a mio parere (contro quello di molti), anche Robert Downey Jr quasi irriconoscibile nella parte del cattivo repubblicano anticomunista. Forse qualche scena di nudo poteva essere evitata, non comprendendone il bisogno, anche se il rapporto con il mondo femminile dello scienziato risulta interessante.

Gli interrogativi che può suscitare la visione del film sono molteplici e di vario tipo e vanno da quello del nostro rapporto con la scienza, alle questioni etiche, a quelle politiche e, non ultime a quelle religiose. Cerchiamo di passarle in rassegna con ordine.

Buona parte del film è basato su quella che potremmo chiamare l’età dell’oro della fisica moderna, il periodo in cui hanno sviluppato le loro idee alcuni dei maggiori esponenti di questa disciplina che nel film sono quasi tutti presenti in dei camei efficaci (Bohr, Heisenberg, Einstein con cui vi è il dialogo più interessante) e mostra un rispetto notevole nel far percepire il potenziale delle capacità umane nello studio della natura e nelle sue applicazioni. Le discussioni a Los Alamos tra i fisici dimostrano che il regista crede veramente che siamo nell’età della scienza e che le possibilità siano infinite, ma, allo stesso tempo, non sono lesinati interrogativi sulle questioni etiche.

Quanto è stato giusto usare la bomba atomica sui civili? Questo interrogativo, come è giusto che sia, viene lasciato aperto nel film e non vi è una risposta chiara. Lo stesso Oppenheimer sembra oscillare tra l’idea che la scelta sia giusta e utile, al turbamento per quello che è stato fatto ed all’idea che una tale scelta vada assolutamente condivisa con altri e non possa essere esclusiva di una sola nazione. Sicuramente la bomba atomica non può rappresentare il bene e sta lì a mostrare tutta l’ambiguità dello sviluppo umano che può produrre grandi cose che possono essere assolutamente dannose, sulla base di scoperte che possono avere anche applicazioni positive. 

L’immagine di Prometeo è qui calzante: il mito greco parla di un uomo che sfida gli dei tramite la tecnologia. Nello studio delle religioni comparate Prometeo è stato spesso paragonato ad Adamo per il suo “peccato” di orgoglio: la domanda che sorge a colui che vede il film è proprio quella di chiedersi se imbrigliare il potere dell’atomo non sia stato, da parte del genere umano, un peccato di orgoglio. Appare anche interessante il conflitto tra mondo americano ed europeo che è latente: a parte i cattivi nazisti, i fisici europei (quelli storici come Bohr e Einstein) avranno delle remore a partecipare al progetto Manhattan, al contrario di Oppenheimer che non avrà alcun dubbio. 

Vi è poi il motivo politico: Oppenheimer aveva chiare simpatie comuniste e se questo non era stato un problema durante il secondo conflitto mondiale (bisognava comunque utilizzare le sue capacità), lo diventa allo scoppio della Guerra Fredda e della Paura Rossa: è questo il filo conduttore del secondo piano temporale del film. Non è una scelta casuale perché si vuole far vedere, almeno in parte, come siano le scelte politiche di tipo umano a condizionare quello che succede. L’idea che un “eroe” che ha avuto il merito (nella prospettiva USA) di aver accelerato la fine della guerra, possa essere processato per motivi politici e ingiustamente era una parte importante del libro da cui è tratto il film. Qui Nolan forse appare un po’ scontato, mostrando una politica corrotta e gretta rispetto alla grandezza dello scienziato. L’interrogatorio fatto a Oppenheimer rimane però una parte interessante del film ed i dialoghi di questa parte sono molto interessanti.

“Ora sono morte, il distruttore dei mondi” è una frase della Bhagavad Gita, uno degli scritti più importanti delle Upanisad che, secondo alcuni, il fisico americano avrebbe pronunciato poco prima del testo Trinity, ovvero della prima esplosione atomica. Pur non essendo certi di questa citazione, essa ci porta alla finale riflessione teologico-religiosa. In un’intervista del 1963 rilasciata al Christian Century, Oppenheimer diceva che tra le sue letture preferite, oltre Platone, vi erano i testi induisti. La differenza tra il significato della frase detta da Krishna e quello che pensava Oppenheimer è molto differente: Krishna può rimanere indifferente alla morte ed alla distruzione del mondo perché tutto torna come prima. Benché non credente Oppenheimer rimaneva fortemente legato alla sue radici ebraiche e, pertanto, non poteva “perdonarsi” l’essere causa della morte di diverse persone. E’ proprio questa una delle questioni chiave del film: la responsabilità umana di fronte a delle scelte tremende che sono fatte in nome della scienza e con una presenza divina del tutto assente.

 

Valerio Bernardi – DIRS GBU