Siamo solo noi!

di Giacomo Carlo Di Gaetano

Così cantava Vasco Rossi nel lontano 1981:

Siamo solo noi, Quelli che ormai non credono più a niente E vi fregano sempre

Siamo solo noi Che tra demonio e santità è lo stesso Basta che ci sia posto.

La canzone mi è venuta in mente leggendo la Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede, Fiducia Supplicans (18/12/23) in cui la Chiesa Cattolica apre alle benedizioni delle coppie di fatto e delle coppie dello stesso sesso (in situazioni irregolari).
Il “noi” dell’orgoglio di Vasco Rossi naturalmente siamo “noi evangelici”, quelli duri e puri, quelli che recitano i testi ufficiali delle chiese della Riforma, i cinque sola, gli evangelicali! Tutto il mondo ormai apre ai diversi stili di vita e di relazioni rispetto al dettato della creazione, anche la millenaria Chiesa di Roma … ormai, siamo rimasti solo noi!

Veramente? E Putin e Kirill dove li metti? E gli ayatollah iraniani dove li metti?

Che bella compagnia! C’è qualcosa che non funziona. Se la tribuna di chi punta il dito contro la deriva denunciata già da Paolo in Romani 1 si è così notevolmente ridotta e alla fine sul pulpito ci ritroviamo con così simpatici co–belligeranti, allora qualche cosa è andato storto, non funziona. Se permettete, l’amore per il vangelo, la sottomissione alla Bibbia e la compagnia di tutti i Riformatori messi insieme, almeno a leggere le loro opere – un po’, meno a seguire il loro esempio (sic!) – mi impongono di abbandonare immediatamente quel pulpito e non essere contato, per denunciare una distorsione del disegno di Dio, in compagnia di assassini, autocrati e tagliagole di ogni risma. Vade retro Satana!

Ma dove andiamo? Per il momento cerchiamo di capire il documento vaticano.

Come sempre si fa con ogni cosa che si scrive, a qualsiasi latitudine, va letto senza pregiudizi del tipo «ma quello è un gesuita furbo». In genere questo tipo di documenti parla a due mondi: a quello interno, e la cosa è evidente nella stessa struttura della Fiducia Supplicans. E parla anche al mondo più ampio in ragione del ruolo storico e sociale dei soggetti coinvolti. Non mi sento particolarmente toccato in quanto protestante (Approccio Identitario al Cattolicesimo) ma leggo e rifletto in ragione della testimonianza al vangelo. Questa deve essere sempre la stella polare dell’approccio al cattolicesimo: la terzietà del vangelo rispetto a cattolici … ed evangelici!

Fatta questa premessa, il documento, è vero, ha lo scopo di inquadrare un approccio spirituale e teologico (il concetto di benedizione) nei confronti delle «coppie dello stesso sesso» o in condizioni irregolari. In buona sostanza, questa possibilità viene posta all’insegna di quelli che il Catechismo definisce “sacramentali” (art. 1677–1679) tra i quali occupano un posto importante le “benedizioni”. Ed è questo il cuore del documento, lo sforzo di articolare e ricondurre al ruolo che la Chiesa vede per se stessa lo straordinario e ricco mondo biblico del concetto di “benedizione”. Benedizione in senso discendente da Dio agli uomini (si parte da Nm 6) e benedizione in senso ascendente (dalla terra al cielo nel senso di lodare e benedire Dio).

«Dio comunica alla chiesa il potere di benedire» attraverso Cristo. La chiesa è il sacramento dell’amore infinito di Dio (par. IV). E poi si finisce con Maria. Questo, in sintesi, il problema teologico tra cattolici ed evangelici che anche in questo caso ruota intorno alla concezione che la Chiesa di Roma ha di se stessa. Non che tra evangelici e protestanti sia chiaro che cosa significhi una chiesa che “benedice”. Però, questo è sempre e solamente il nucleo della distanza.

Non ci dedichiamo a questa distanza ma guardiamo al tema biblico della “benedizione”. Il documento distingue tra il piano liturgico, quello sul quale «la benedizione richiede che quello che si benedice sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa», più avanti si afferma «sia in grado di corrispondere ai disegni di Dio iscritti nella Creazione …». E questo è il caso del matrimonio tra un uomo e una donna che il documento cerca di mettere al riparo e distinguere rispetto ad altre situazioni.

«Proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la preghiera di benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso» (39)

E c’è l’altro piano in cui le benedizioni, in tutte e due le forme, discendente e ascendente, si ritrova, ed è quello pastorale: «quando si chiede una benedizione si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio» ed è questa circostanza, che si può incontrare per strada, in un pellegrinaggio, nei gangli della vita, che deve essere valorizzata. È il piano della ricchezza della pietà popolare nel quale le benedizioni sono una risorsa pastorale piuttosto che un rischio.

«In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo. Queste forme di benedizione esprimono una supplica a Dio perché conceda quegli aiuti che provengono dagli impulsi del suo Spirito – che la teologia classica chiama “grazie attuali” – affinché le umane relazioni possano maturare e crescere nella fedeltà al messaggio del Vangelo, liberarsi dalle loro imperfezioni e fragilità ed esprimersi nella dimensione sempre più grande dell’amore divino» (31, corsivo mio).

 Nell’articolo 32 si parla poi di “grazia”, una grazia che opera nella vita di coloro che non si ritengono giusti e una grazia in grado di orientare ogni cosa secondo i misteriosi ed imprevedibili disegni di Dio.

In tutto questo documento si rileva un tema che tocca da vicino ogni cristiano, ogni organizzazione, ogni chiesa, quale che sia la sua autocomprensione. È il rapporto che insiste, e deve essere pensato alla luce della contemporaneità, tra uno spazio delineato dalla grazia, una grazia che noi definiremmo salvifica e che nella teologia cattolica si esprime nel concetto di sacramento, e tutto ciò che sta intorno. Ci riferiamo a quello che continua a essere il mondo di Dio, pur se un mondo che “giace nel maligno” e che manifesta la sua lontananza da Dio anche nella distorsione del disegno di creazione. Come, per esempio, nel caso dell’aggettivo “irregolare” che si aggiunge al sostantivo “coppie”.

Se volessimo dare all’articolazione di questi due spazi un’immagine che riprende il vocabolario evangelico, dei vangeli, possiamo riprendere le parole di Gesù nel Sermone sul monte. Posto che Dio faccia piovere sui giusti e sugli ingiusti, che faccia levare il sole sui buoni e sugli empi (Mt 5) viene da chiedersi: in che modo i discepoli di Gesù Cristo, dopo aver mostrato a tutti l’ombrello della grazia salvifica rappresentato da Gesù, dalla sua opera compiuta sulla croce – egli sarebbe anche il parasole nei confronti dei raggi infuocati della santità e della giustizia di Dio che giudica il peccato, e il peccatore – in che modo, dunque, organizzare la compresenza e la convivenza nello stesso mondo di Dio? In che modo confrontarsi e vivere con, insieme, alle coppie irregolari? Lanciamo loro addosso, ogni volta che li incontriamo, il sermone di Jonathan Edwards, Peccatori nelle mani di un Dio adirato? Manifestiamo tutto il nostro disprezzo per cose che non si possono neanche raccontare? Ci lamenteremo di un mondo sottosopra e ci iscriveremo a un partito che vuole raddrizzarlo? Nel documento si legge: «quando le persone invocano una benedizione non dovrebbe essere posta un’esaustiva analisi morale come precondizione per poterla conferire. Non si deve richiedere loro una previa perfezione morale.» Più avanti si fa l’esempio di benedizioni impartite in un carcere, ai carcerati (27).

La richiesta di una benedizione esprime ed alimenta infatti «l’apertura alla trascendenza, la pietà, la vicinanza a Dio in mille circostanze concrete della vita, e questo non è cosa da poco nel mondo in cui viviamo. È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato».

Ciò che il documento ispirato da Francesco tenta di fare, riflettendo sul senso biblico di “benedizione”, è ciò che altre tradizioni cercano di articolare quando distinguono, per esempio, tra la grazia salvifica e la grazia comune. Ecco alcuni indizi:

  • «Desiderare e ricevere una benedizione può essere il bene possibile in alcune situazioni».
  • «Qualsiasi benedizione sarà l’occasione per un rinnovato annuncio del kerygma, un invito ad avvicinarsi sempre di più all’amore di Cristo».
  • «Questo mondo ha bisogno di benedizione e noi possiamo dare la benedizione e ricevere la benedizione».

Questo il documento. Questo il mio sforzo di comprensione. Non si tratta di una ciliegina sulla torta, come è stato definito. Continuo a pensare che bisogna parlare con grande rispetto soprattutto delle tradizioni che non si condividono, in ragione del vangelo prima di tutto e per rispetto dei milioni di miei concittadini che le condividono.

Resta allora il tema: come confrontarsi e vivere con … ? Da evangelico e in ragione della visione della chiesa che trovo nel Nuovo Testamento (sarà anche un po’ confusa ma non mi pare arrivi al sacramentalismo della Chiesa di Roma) e posto che c’è un solo evento in cui la chiesa apre e chiude, vale a dire l’atto della predicazione del vangelo e della Parola di Dio, non credo che si debba arrivare a formule di benedizione per cogliere e valorizzare, tra l’altro, l’apertura alla trascendenza.

Non bisogna incontrare le distorsioni del disegno di creazione di Dio in quanto appartenenti a una categoria socio–teologica come quella di “cristiani”: cristiani liberali, cristiani cattolici, cristiani evangelicali, etc. Il termine cristiani rimanda a Cristo ed è un termine che segnala un evento semiotico, che rimanda ad altro, a Cristo appunto. Questo evento è fatto di testimonianza e riconoscenza e può essere incarnato solo da un uomo, in carne ed ossa, nella sua umanità (ad Antiochia i discepoli furono chiamati cristiani per la prima volta). Non furono i cristiani a essere riconosciuti come discepoli!

Questo significa che le irregolarità vanno incontrate da uomo a uomo, da uomo peccatore a uomo peccatore. Nel mentre segnala che le coppie dello stesso sesso non sono secondo il piano di Dio, un cristiano deve confessare di essere peccatore anche lui. Le liste di vizi che troviamo nel NT associano l’omosessualità all’avarizia, per esempio. Per non parlare dell’adulterio e della fornicazione, vero deposito di ipocrisie maschiliste e brodo di coltura di tutte le distorsioni che arrivano anche al femminicidio. Attraverso la rivoluzione sessuale degli anni sessanta del secolo scorso giunge di rimando al cristianesimo un potente richiamo a saper articolare adeguatamente una predicazione del peccato: non solo come preambolo alla predicazione della grazia e del perdono ma anche come costruzione dell’unico piano in cui la fede di chi proclama il vangelo potrebbe incontrare la fede di chi non conosce ancora il vangelo e il perdono che offre, che ha concesso anche alla fede di chi predica.

Se in Fiducia Supplicans si può intravedere una parvenza di una tale ansia, allora essa potrebbe essere fatta propria da chiunque, senza avere bisogno di arrivare a un sacramentale.

Concretamente, in che modo l’idea che lì si esprime nel concetto di benedizione, potrebbe essere trasposto in ambiti in cui si ritiene che la “chiesa” non benedice un bel niente? Due macro–aree in cui si esprime chi chiede benedizione e in chi vuole accordarla o vuole mostrare solidarietà umana.

La prima è quella del riconoscimento pieno dei diritti delle persone e delle situazioni che, personalmente, sul piano della predicazione, definirei situazioni di disordine e di peccato. Il peccatore deve poter peccare, senza che gli sia impedito per legge; posti naturalmente tutti i limiti propri del consorzio civile. Come evangelici, nel mentre ci si appella al piano della creazione (uomo e donna nel matrimonio) ci si dovrebbe schierare apertamente per i pieni diritti civili di chi sceglie un’altra strada, una strada, ripetiamolo, che considereremmo peccaminosa.

La seconda macro–area la definirei linguistica e ha a che fare con la valorizzazione delle sfumature. Qualche tempo fa qualcuno mi ha ricordato che a un Convegno Studi GBU abbiamo inviato un relatore gay. Ho fatto presente che Ed Shaw fa parte di un gruppo di pastori e uomini di chiesa che è venuto fuori confessando non la propria omosessualità ma la lotta contro l’attrazione sessuale per lo stesso sesso. Il coraggio di questi fratelli e di queste sorelle deve essere valorizzato, riconoscendo in esso lo stesso coraggio che dovremmo avere noi quando dovremmo confessare pubblicamente la lotta che ci caratterizza nei confronti di un peccato particolare. L’attrazione verso lo stesso sesso non è omosessualità ma è l’onesta condizione di un peccatore che desidera definire la sua identità non in ragione del suo orientamento sessuale ma in ragione di come questo orientamento venga appagato da una relazione intima con Gesù Cristo.

Sono solo due spunti, ma se da evangelici ci impegnassimo in essi saremmo una benedizione, anche senza sacramentali e continuando a predicale il vangelo in cui c’è il perdono e la liberazione.

A questo punto è probabile che si realizzerebbe la condizione di Vasco Rossi: siamo solo noi!

 

Sotto la protezione della Madre di Dio

di Massimo Rubboli

L’uso di simboli religiosi tradizionali da parte del patriarca Kirill della Chiesa ortodossa russa nella guerra contro l’Ucraìna non costituisce una novità. Già nell’agosto 2009, Kirill donò un’icona della Vergine Maria all’equipaggio di un sottomarino nucleare nella base navale di Severodvinsk. Una settimana dopo l’invasione russa, durante una funzione religiosa che si è tenuta nella Chiesa del Salvatore a Mosca, Kirill ha donato una copia dell’icona di “Nostra Signora di Augustówa Viktor Zolotov, capo della Guardia nazionale russa, dicendo: “Possa questa immagine ispirare i giovani soldati che prestano giuramento e che si apprestano a difendere la Patria”. Zolotov ha risposto: “Crediamo che questa immagine proteggerà l’esercito russo e accelererà la nostra vittoria. […] le cose non vanno così velocemente come vorremmo” (1). L’icona, che rappresenta la presunta apparizione della Madonna ai sodati russi durante la II guerra mondiale, è conservata nella grande Cattedrale delle Forze armate russe, vicino a Mosca, dedicata nel 2000; qui si trovano anche affreschi che celebrano le recenti guerre in Georgia e in Siria e l’annessione della Crimea del 2014.

Il 25 marzo, festa dell’Annunciazione, a Roma il papa e a Fatima il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere, hanno consacrato al Cuore immacolato di Maria i popoli della Russia e dell’Ucraìna. Nella basilica vaticana, il pontefice vescovo di Roma ha consacrato alla Madonna l’umanità e, in particolare, i popoli di Russia e Ucraìna:

Santa Madre di Dio, mentre stavi sotto la croce, Gesù, vedendo il discepolo accanto a te, ti ha detto: «Ecco tuo figlio» (Gv. 19: 26): così ti ha affidato ciascuno di noi. Poi al discepolo, a ognuno di noi, ha detto: «Ecco tua madre» (v. 27). Madre, desideriamo adesso accoglierti nella nostra vita e nella nostra storia. In quest’ora l’umanità, sfinita e stravolta, sta sotto la croce con te. E ha bisogno di affidarsi a te, di consacrarsi a Cristo attraverso di te. Il popolo ucraino e il popolo russo, che ti venerano con amore, ricorrono a te, mentre il tuo Cuore palpita per loro e per tutti i popoli falcidiati dalla guerra, dalla fame, dall’ingiustizia e dalla miseria.
Noi, dunque, Madre di Dio e nostra, solennemente affidiamo e consacriamo al tuo Cuore immacolato noi stessi, la Chiesa e l’umanità intera, in modo speciale la Russia e l’Ucraina. (2)

Pochi giorni prima, il settimanale cattolico “Famiglia cristiana” aveva fatto notare polemicamente che esiste una “differenza abissale fra il gesto del patriarca e quello che ci accingiamo a compiere nella nostra chiesa. Noi, infatti, non affideremo all’intercessione di Maria solo uno dei due popoli in conflitto, ma entrambi, consapevoli del fatto che entrambi sono vittime di una guerra sempre ingiusta, come affermato da papa Francesco”.(3)

Il gesto del papa è certamente stato motivato dalle migliori intenzioni, ma da una prospettiva storica solleva più di una perplessità sulla sua opportunità in questo contesto bellico.

Il rito di consacrazione fa riferimento alle presunte apparizioni della Vergine Maria a tre giovanissimi pastori (Giacinta Marto, Francesco Marto e Lúcia dos Santos) nel villaggio di Fatima tra la primavera del 1916 e l’autunno del 1917. Tra le profezie e richieste ricevute dai pastorelli, una riguardava la consacrazione della Russia (in quel tempo nel mezzo della Rivoluzione) al Cuore immacolato di Maria affinché si convertisse.

Questo evento viene letto in modo diverso nelle due tradizioni cristiane: in quella cattolica, come una risposta alla minaccia del comunismo ateo; in  quella ortodossa, alla luce di un millennio di lotte (non solo dottrinali!) tra il cristianesimo orientale e quello occidentale, come una possibile nuova aggressione. Infatti, alla rottura formale della comunione tra la Chiesa latina e i quattro patriarcati storici della Chiesa orientale nel 1054, seguirono una serie di scontri che culminarono nel saccheggio di Costantinopoli da parte dell’esercito crociato nel 1204. Nell’immaginario identitario della cultura ortodossa, la Chiesa cattolica e l’Occidente hanno continuato ad essere percepiti come aggressori e conquistatori.

Inoltre, la “consacrazione” prevede un coinvolgimento e assenso personale di chi viene consacrato che in questo caso sono mancati.

Poi, per quanto riguarda il dogma cattolico dell’Immacolata Concezione, che risale al 1854, bisogna ricordare che non è condiviso dalle chiese ortodosse, che non ne accettano il presupposto teologico, cioè la dottrina agostiniana del Peccato originale. Quindi, consacrare due paesi a stragrande maggioranza ortodossa al Cuore immacolato di Maria rischia di alimentare i timori della parte più conservatrice del mondo ortodosso di uno sconfinamento della Chiesa cattolica.

Ancor più, da parte ortodossa questo gesto può essere interpretato come un’affermazione dell’autorità spirituale universale del papa. Infatti, quando il pontefice affida e raccomanda due paesi alla Beata Vergine Maria, lo fa in virtù delle sue prerogative di pastore universale della Chiesa e Vicario di Cristo. Perciò, il patriarca della Chiesa ortodossa russa, che considera il papa non come suo superiore ma come uguale, sarà indubbiamente infastidito da questa intrusione nel mondo russo (Russkij mir), sul quale esercita una giurisdizione esclusiva. Inevitabilmente, ciò raffredderà o congelerà i rapporti tra le due chiese, che sembravano avere intrapreso un nuovo cammino dopo l’incontro all’aeroporto dell’Avana il 12 febbraio 2016.

Chi prevedeva che un prossimo incontro tra Francesco e Kirill avrebbe fatto compiere un altro passo al dialogo ecumenico sarà certamente deluso. Ma non è da escludere un nuovo gesto del papa che, approfittando delle discordie interne alla Chiesa ortodossa russa acuite da questa guerra, potrebbe nominare un  vescovo della Chiesa greco-cattolica russa in comunione con Roma, la cui sede è vacante da oltre mezzo secolo.

Massimo Rubboli
(si veda il suo Instant Book La guerra santa di Putin e Kirill, Edizioni GBU)

 

NOTE

(1) Putin’s war in Ukraine is blessed by Church icon, says Kremlin boss, “The Times”, 14 marzo 2022, thetimes.co.uk/article/bdd711f0-a39f-11ec-9909-6547dd4945b7?shareToken=45095f78b5e3ae786e0cc1c52fc641da (visto il 15/3/2022).

(2) Atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, https://www.vatican.va/content/francesco/it/prayers/documents/20220325-atto-consacrazione-cuoredimaria.html (visto il 27/3/2022).
Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, Art. 9: Credo “la santa Chiesa Cattolica”. Par. 6: Maria – Madre di Cristo, Madre della Chiesa, I. La maternità di Maria verso la Chiesa, § 975 “Noi crediamo che la santissima Madre di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ruolo materno verso le membra di Cristo”.

(3) Pino Lorizio, Maria, madre di tutti e non icona guerriera, “Famiglia cristiana”, 18 marzo 2022, https://www.famigliacristiana.it/articolo/maria-madre-di-tutti-e-non-icona-guerriera.aspx (visto il 19/3/2022).

 

 

 

 

L’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC)

I tempi che stiamo vivendo (in piena pandemia per il coronavirus), come era facile immaginare, ma anche auspicabile, stanno spingendo gli uomini a dare fondo a tutte le risorse per contrastare la pandemia. Gli stati elaborano misure di profilassi sanitaria estrema (lockdown), con il correlato di misure economiche; la comunità scientifica è impegnata in una corsa contro il tempo per trovare la cura e un vaccino; i media tentano una copertura totale del fenomeno, etc.
La dimensione religiosa dell’essere umano non poteva mancare ed è probabile, così come nel passato che, tramite le grandi fedi mondiali, giocherà un ruolo sempre più rilevante nello sviluppo di questo straordinario e drammatico momento storico.
L’appello di Francesco (capo – non tanto indiscusso – della Chiesa di Roma) ai cristiani di qualsiasi confessione, e orientmento a rivolgere al cielo tutti insieme una preghiera, la preghiera (il Padre Nostro), è solo uno dei tasselli di una vicenda che è destinata a ingrossarsi.
A questa iniziativa dall’afflato inclusivo fanno da contraltare, c’era da aspettarselo, le pratiche esclusivistiche di tutti. Lo stesso Papa ne ha dato prova con l’indizione dell’indulgenza plenaria. Dall’altro lato altre confessioni e denominazioni (e qui mi avvicino al focus di queste note), non sono state da meno e hanno messo in campo iniziative speculari sia inclusiviste (appelli alla preghiera e all’unità) sia esclusiviste.

Non poteva mancare, in questo quadro, anche la polemica religiosa e identitaria, soprattutto da parte evangelica, contro “l’idolatria” della Chiesa di Roma. Non ho ancora notizia di qualche prelato o intellettuale cattolico che punti il dito per questo “giudizio divino” contro i soliti mali della modernità, alla base dei quali ci sarebbe la Riforma protestante (ricordate il famoso discorso di Ratisbona di Benddetto XVI?).

Veniamo dunque al nostro tema: che cos’è l’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC)?
Si tratta di una prospettiva interna all’evangelismo italiano che si tenta di esportare a livello globale, come è testimoniato dalle polemiche e dalle schermaglie che suscita in organismi evangelici internazionali.

1. Qual è il focus di questo approccio?
Per spiegarlo, è utile una piccola digressione. Quando un bibliotecario deve identificare il soggetto di un libro parla, usando un termine inglese, di aboutness (ciò di cui il libro veramente parla). L’identificazione di un soggetto infatti è un’operazione complessa che deve tener conto di diverse variabili tra le quali spicca l’ambiguità del titolo: spesso infatti non corrisponde al soggetto che il libro svilupperà ma risponde a esigenze di mercato o di indicizzazione.

Quando gli evangelici dicono di volersi occupare di cattolicesimo, si stanno veramente occupando di cattolicesimo? Ne fanno veramente un oggetto di studio che richiede l’adozione di tecniche di interpretazione identificabili e tendenti all’oggettività? Ogni studio “scientificamente” accurato ha poi il suo risvolto pratico e appplicativo. A questa logica non sfugge neanche lo studio del cattolicesimo. Perché si studia il cattolicesimo? Le risposte potrebbero essere tante.
Chi scrive ritiene, per esempio, che l’unica ragione che dovrebbe spingere un evangelico a fare del cattolicesimo un oggetto di studio sia il vangelo, inteso nel più radicale dei significati (la buona notizia di Dio che è venuto sulla terra per compiere un’opera di salvezza nei confronti di donne e uomini di tutti i tempi). Ma questa ragione, le esigenze del vangelo, da sola, sarebbe sufficiente a fare un oggetto di studio anche dell’evangelismo, e del protestantesimo!

L’AIC afferma di occuparsi di cattolicesimo (e nauralmente questo è in parte vero – c’è sempre una relazione tra il titolo di un libro e il suo contenuto) ma di fatto, anzi de jure, il suo focus è “l’approccio evangelico al cattolicesimo” (AIC). Questo è il “soggetto” di AIC (l’aboutness). Il succo è: studiamo il cattolicesimo per comprendere il modo in cui interagiamo con esso. Se c’è qualcosa che non va in questo approccio, allora lavoriamo su noi stessi. Da qui il presupposto “identitario” di questo approccio: approccio identitario al cattolicesimo (AIC). Uno dei grandi presupposti è che lo scopo, neanche tanto velato, del cattolicesimo sarebbe quello di portare tutti gli evangelici sotto Roma!

Chris Castaldo, pastore americano legato alla Gospel Coalition, lascia trapelare questa curvatura dell’approccio al cattolicesimo quando afferma, in un libro del 2015 dal titolo Talking with Catholics about the Gospel. A Guide for Evangelicals: “non è abbastanza comprendere semplicemente che cosa sono i cattolici. Dobbiamo anche fermarci un attimo e considerare l’approccio (attitude) e la postura con i quali ci relazioniamo a essi” (p. 41).

Castaldo esplicita questo passaggio rendendosi subito conto che non esiste UN approccio evangelico al cattolicesimo ma ne esistono molteplici, tanto da riportare una tassonomia di ben sette. Nel proseguire la sua indagine Castaldo adotta un metodo descrittivo di questi approcci per poi fare la sua proposta, che è una proposta classica: quali sono i punti di convergenza e quelli di differenza tra evangelici e cattolici?

L’approccio identitario al cattolicesimo (AIC), dal momento che “de jure” è interessato, sotto il titolo di “studio del cattolicesimo”, alle nostre reazioni al cattolicesimo non si limita alla descrizione di queste reazioni ma diviene prescrittivo. Nel senso che tenta di correggere quelli che ritiene approcci sbagliati e per tale motivo legge e studia il cattolicesimo per motivare la prescrizione.

2. La semplificazione identitaria
L’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC) impegna dunque le maggiori risorse nell’analisi e nella valutazione degli atteggiamenti e delle posture evangeliche verso il cattolicesimo. Da qui deriva che la rappresentazione del cattolicesimo ricorrere al metodo della semplificazione di una realtà complessa. Questa semplificazione può avvenire in diversi modi. Alcuni sono raffinati: per esempio il cattolicesimo, che ha dimensioni storiche, sociali, teologiche, istituzionali, di spiritualità, viene ritenuto un sistema coerente, espressione a sua volta di uno o due pochi principi di fondo. In qualsiasi sistema (limitiamoci qui solo al versante teologico) possono esserci elementi portanti. È indubbiamente un asse portante del pensiero “ufficiale” del cattolicesimo quello già ben focalizzato da Vittorio Subilia, vale a dire che nel credo della Chiesa di Roma la “chiesa” non sia altro che la prosecuzione dell’incarnazione di Gesù. Ma quanto un tale asse riesca ad aggregare del pensiero e della prassi del cattolicesimo è da dimostrare. Così come è da dimostrare un altro principio che secondo i teorici dell’AIC ricapitola in sé tutta la complessità del cattolicesimo: mi riferisco a un punto del pensiero di  Tommaso d’Aquino relativo alla relazione tra natura e grazia (la grazia perfeziona la natura, detto così in soldoni). Questo principio, per esempio, secondo AIC condizionerebbe la soteriologia cattolica.

Nel caso di quest’ultimo principio ci troviamo di fronte a un’altra strategia di semplificazione tipica di AIC, vale a dire la riduzione di elementi della storia del pensiero a elementi sub specie aeternitatis, cioè non più elementi che devono essere compresi nel loro contesto storico ed eventualmente nella loro evoluzione sempre storica (ce lo insegna l’ermeneutica) ma come chiavi interpretative globali dalla tonalità molto spesso negativa (oltre a natura/grazia, possiamo pensare a termini quali “umanesimo”, sinergismo, pelagianesimo, etc.).

Ci sono poi le strategie più terra terra che AIC in qualche modo sdogana, propaganda e anche legittima, vale a dire l’armamentario tipico della controversia del XVI secolo. Ray Galea, nel suo libretto A mani vuote. Cattolici ed evangelici di fronte al messaggio della salvezza (GBU, 2010), sulla base della sua esperienza da ex sacerdote cattolico mette per esempio in guardia sulla famosa retorica secondo la quale il cattolicesimo predicherebbe una salvezza per SOLE opere: “A volte protestanti poco formati accusano il Cattolicesimo di insegnare la «salvezza per opere» in opposizione alla concezione pro­testante di «salvezza per fede». Quest’accusa non è esatta. Il Cattolicesi­mo insegna la salvezza per fede più le opere…” (p. 61).

Il risvolto complementare dell’impegno di AIC è che gli approcci evangelici al cattalicesimo possano essere corretti se il cattolicesimo (ridotto a sistema) fosse affrontato dagli evagelici sistemicamente. L’idea di uno studio sistemico (“sistemico” è diverso da “sistematico”) di una realtà religiosa complessa o di una realtà complessa dalle fattezze religiose ha un suo preciso pedigree storico che affonda le sue radici nel neocalvinismo olandese della fine dell’800.
L’AIC, in buona sostanza, quando parla di cattolicesimo, si rivolge a noi e ci chiede di adottare un sistema da cpontrapporre a un altro sistema. Detto in parole povere: bisoga essere più protestanti di quelo che siamo. Questa è la semplificazione identitaria: a identità si contrappone identità.

3. L’AIC è funzionale al relativismo
Qualche anno fa fece scalpore la visita di Papa Francesco alla comunità pentecostale del suo amico, il pastore Giovanni Traettino. In quella circostanza Francesco fece un discorso di tipo ecumenico, come sempre accade in questi casi, e non c’è da stupirsi. La particolarità fu che prese in prestito alcuni concetti e soprattutto l’immagine del prisma del teologo luterano Oscar Culmann. In sintesi: il discorso ecumenico non deve appoggiarsi su Giovanni 17 (la preghiera di Gesù per l’unità dei cristiani) ma su 1 Corinzi 12 (il discorso di Paolo sull’unico corpo di Cristo) che ha tante membra diverse. Le tradizioni teologiche (e qui semplifichiamo), incluso cattolici e protestanti, sono carismi dello Spirito, rifrazioni misericordiose dell’unico raggio della rivelazione che si rifange in tanti colori diversi. La chiamata di tutti i cristiani è quella di coltivare ognuno la peculiarità e l’identità del carisma ricevuto. Se sei un protesante (questo lo aggiungo io) non è necessario pensare ce tu divenga cattolico (e viceversa): sii più protestante!
Questo suggestivo sforzo ecumenico sembra implicare dunque la coltivazione delle proprie identità, se considerate alla luce del diversità dei doni e delle membra.

Tutti sanno, però, anche, che questa è la porta d’ingresso e la strada maestra del relativismo, nonché una straordinaria risposta ecumenica, di base, da rivolgere alla testimonianza del vangelo che possiamo renderci reciprocamente (protestanti e cattolici). Perché prendere in carico la peculiarità delle visioni evangeliche su Maria, così come affondano nel testo biblico, quando in realtà questa peculiarità è il portato precipuo del dono e del fascio di luce che le tradizioni protestanti hanno ricevuto?
La risposta alla poemica anti–cattolica, all’AIC, potrebbe essere un clamoroso gesto di affetto da parte di un interlocutore cattolico! Che bello, sii più protestante!

L’AIC diviene in tal modo un ostacolo alla testimonianza da rendere al vangelo.

4. L’AIC ritiene insufficiente lo spazio indipendente del vangelo

È noto che nella controversia tra cattolici ed evangelici spesso si è fatto ricorso a modelli intepretativi che giustificassero una situazione che il Nuovo Testamento non lascia presagire (questo è un altro schema di lavoro). Il modello forse più famoso è di assimilare la tradizione cattolica al farisaismo e quelle protestanti alla predicazione di Paolo. Dopo ondate di rinnovamento degli studi biblici, l’affinamento di strumenti interpretativi, il campo si è un po’ confuso.
Nella lettura reciproca che ci facciamo (noi leggiamo e studiamo il cattolicesimo, ma avviene anche il contrario!) appare necessario allora cercare un punto indipendente, che non significa “neutrale”. Questo equivarrebbe, nel nostro interagire con amici e fratelli cattolici, a rinunciare alla nostra tradizione per favorire la strada al vangelo.

Ci proviamo: nel capitolo 4 del Vangelo di Giovanni troviamo il famoso dialogo di Gesù con la donna samaritana, nei pressi di un pozzo. La donna, aldilà della sua condizione personale, esprime una preoccupazione che affonda le sue radici nella coscienza identitaria di quei tempi: dove bisogna adorare? Là dove punta la tradizione samaritana (su questo monte – dice la donna) o al contrario dove punta la tradizione dei Giudei (a Gerusalemme?).
Conosciamo la risposta di Gesù che chiede a tutti i partiti in campo di non fare più riferimento a se stessi ma a qualcos’altro (Gesù le disse: «Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. … Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità» – Giovanni 4:21sg.).

Nello studio del cattolicesimo non dobbiamo studiare i nostri approcci al cattolicesimo ma i nostri approcci al vangelo!
E in questa zona indipendente, che è il vangelo, dobbiamo uscire dalle nostre tradizioni.

Siamo partiti in questa lunga disamina dell’approccio identitario al cattolicesimo (AIC) dalle condizioni che stiamo vivendo, dalla pandemia che sta imperversando fuori dalle nostre case (e non troppo) e abbiamo evidenziato l’impegno sempre più marcato delle religioni che tentano di dare all’uomo speranza e risposte. Abbiamo evidenziato sia i contributi inclusivi sia quelli esclusivistici e polemici, e da qui siamo partiti per l’analisi dell’AIC. Nel leggere alcuni di questi contributi dell’AIC mi sono ricordato di un vecchio libro evangelico sul cattlicesimo: La chiesa romana allo specchio (1971), scritto da un autore francese, Jacques Blocher. L’autore racconta nella Prefazione di aver scritto questo libro che analizza le dottrine della Chiesa di Roma all’indomani di un’esperienza molto forte, simile a quella che stiamo vivendo noi oggi – i campi di concentramento nazisti – un’esperienza vissuta insieme a sacerdoti cattolici. Per la conclusione lascio volentieri a lui la parola.

“Quest’opera sulla Chiesa Romana [il libro], è stata scritta con un grande zelo per la verità e senz’alcuna cattiveria. L’autore, durante l’ultima guerra mondiale, trovandosi in campo di concentramento, ha avuto occasione d’aver per camerati dei sacerdoti cattolici, molti dei quali gli son restati intimi amici. Essi hanno scoperto assieme che il loro culto spirituale era diretto e rivolto allo stesso Dio e al medesimo Salvatore, Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria. Nelle loro conversazioni, hanno compreso quello che li univa ed anche ciò che li separava. È questa esperienza di comunione fraterna che ha spinto l’autore a fare un esame sistematico delle dottrine e delle pratiche cattoliche dalla luce della Rivelazione Biblica e della Storia. Questo chiaro esame è esposto in modo molto sereno e lautore spera di non ferire alcuno, anzi è particolarmente lieto di vedere finalmente quest’opera tradotta in italiano, poiché egli ama grandemente l’Italia ed i cuoi cittadini” (Jacques Blocher).

(Giacomo Carlo Di Gaetano)