L’IA sta rendendo gli umani più stupidi
di Alan O. Noble
Mimare non è la stessa cosa che possedere intelligenza, né si possono comprendere amore e arte.
Articolo tradotto e pubblicato con il permesso di Christianity Today.
Il mio timore è che entreremo in un’era di scarsità di intelligenza umana proprio mentre l’intelligenza artificiale inizia a fiorire. E questa paura non è infondata. Secondo uno studio a lungo termine sulle capacità di lettura e di calcolo di adolescenti e adulti, entrambe sono in calo dal 2012.
L’articolo del Financial Times che ha riportato lo studio ha osservato che i diciottenni hanno dichiarato un netto aumento di «difficoltà a pensare o concentrarsi» e di «problemi ad apprendere cose nuove» nello stesso arco di tempo.
Queste tendenze allarmanti erano iniziate prima del lockdown per il COVID-19, che certamente ha avuto un effetto negativo aggiuntivo sugli studenti costretti a passare alle classi virtuali. Il primo iPhone è stato lanciato nel 2007, alcuni anni prima che queste tendenze cominciassero a emergere dai dati. Potrebbe trattarsi solo di una correlazione, ma, alla luce della nostra esperienza quotidiana con gli smartphone, credo che la maggior parte di noi non si sorprenderebbe nel sapere che ci rendono meno capaci di concentrarci, meno capaci di leggere libri o comprendere i numeri, semplicemente, più stupidi.
L’Oxford English Dictionary definisce l’intelligenza come «la facoltà di comprendere». Per essere più precisi, credo che l’intelligenza si riferisca alla nostra capacità di ragionare e comprendere informazioni ed esperienze. Alcune di queste esperienze sono irriducibili a dati, come i nostri sentimenti d’amore, di belle, a o d’ingiustizia, cose a cui non si può assegnare un valore numerico.
La nostra intelligenza è il nostro modo olistico di comprendere, interpretare e ragionare sulle informazioni e sulle esperienze che riceviamo e viviamo. È parte di ciò che ci distingue da animali e macchine; possiamo pensare a noi stessi mentre pensiamo.
Esiste una riflessività nella nostra intelligenza che manca ad altre creature o creazioni. Una macchina, anche un modello di IA avanzato, non può contemplare sé stessa nell’atto di pensare. Può solo elaborare ulteriori informazioni, come analizzare le proprie prestazioni o individuare errori.
Ma io posso dirvi com’è per me pensare a me stesso mentre penso a scrivere questo articolo. E in effetti, questa qualità di intelligenza riflessiva è importante per l’esperienza umana. È parte di ciò che conferisce texture e ricchezza ai nostri mondi interiori. Probabilmente non è un caso che questi mondi interiori siano attualmente minacciati dalle stesse forze tecnologiche che ci stanno rendendo più ottusi.
L’intelligenza è anche qualcosa di più della mimesi. È vero che, dati sufficienti e potenza di calcolo, i sistemi di IA potranno generare contenuti che sembrano cogliere esperienze umane profonde come l’amore, la bellezza o l’ingiustizia.
Potrai chiedere a ChatGPT una poesia d’amore per il tuo regalo di San Valentino o una spiegazione di un’opera d’arte visiva, e il risultato sarà una mimesi plausibile dell’esperienza umana reale, perché ha elaborato miliardi di dati e si è addestrato sulle poesie d’amore e sull’arte altrui. Ma questo non equivale ad avere intelligenza, a comprendere e capire l’amore o l’arte. È la differenza che vi è tra sapere che una rosa è usata come simbolo d’amore e sapere cosa sia l’amore e cosa si provi.
Intesa come un dono unico dell’essere umano, l’intelligenza esige molto da noi. Prima di tutto, ci impone umiltà. Ogni volta che un’occasione di comprendere un’informazione o un’esperienza si presenta e noi scegliamo un atteggiamento di superiorità o di chiusura, non facciamo uso pieno del dono dell’intelligenza che Dio ci ha dato. È solo nell’umiltà che possiamo accogliere una realtà non filtrata dai nostri pregiudizi e dai nostri peccati, affinché possiamo comprenderla alla luce della rivelazione di Dio.
Il modo in cui si interpreterà un’informazione o un’esperienza usando l’intelligenza è largamente determinato da un atteggiamento di umiltà o di orgoglio, come quando si legge un libro che mette in discussione le tue convinzioni politiche o una passeggiata al parco che ti confronta con la bellezza della creazione di Dio. L’orgoglio blocca la nostra intelligenza, rifugiandosi nei presupposti e nei pregiudizi preesistenti. L’umiltà resta aperta alla rivelazione e alla possibilità, alla correzione e alla sapienza, mettendo in moto l’intelligenza in un processo di comprensione.
In secondo luogo, abbiamo il dovere di esercitare la nostra intelligenza leggendo, ragionando e praticando la virtù della temperanza con i nostri dispositivi digitali. Che i dati riportati sul Financial Times indichino o meno una causa diretta tra smartphone e declino dell’intelligenza in America e nel mondo, credo che la maggior parte di noi abbia osservato questo declino in noi stessi o in chi amiamo e che è dipendente dagli smartphone.
Non ci serve uno studio per dirci ciò che il buon senso e l’esperienza personale mostrano: passare ore ogni giorno su dispositivi digitali che addestrano la nostra attenzione a video di 30 secondi nuoce alla nostra capacità di leggere e comprendere. Dio ci ha fatto un grande dono nell’intelligenza, ma lo sprechiamo in cose effimere e sciocchezze, quando potremmo usarlo per glorificarlo e operare per il bene comune del prossimo.
Dato l’esempio dei social media, dovremmo aspettarci che la tecnologia sarà sempre più organizzata per appellarci ai nostri vizi e ai nostri peggiori istinti, piuttosto che per esercitare la nostra intelligenza, mentre gli sviluppatori di IA incassano miliardi e miliardi di finanziamenti. In altre parole, la nostra società probabilmente continuerà a evolversi contro il nostro bene comune, inclusa la nostra intelligenza collettiva. C’è semplicemente troppo denaro da guadagnare cavalcando il vizio.
Abbiamo l’opportunità di esercitare ciò che Dio ci ha dato o di soccombere a queste forze sociali. Possiamo praticare umiltà e temperanza, umiliandoci davanti alla realtà e usando la tecnologia con moderazione. Che la tecnologia ci renda più stupidi o meno è una scelta che spetta a noi. Non è inevitabile. Possiamo scegliere di leggere libri, formarci opinioni proprie, scrivere i nostri pensieri, oppure lasciar fare tutto agli algoritmi, all’IA e alle macchine. Non sprechiamo il dono dell’intelligenza.
Alan Noble è professore associato di inglese presso l’Oklahoma Baptist University e autore di diversi libri, tra cui On Getting Out of Bed: The Burden and Gift of Living (Alzarsi dal letto: il peso e il dono del vivere).


