I batteri della felicità (Lunedì Letterario)
Collen A., I batteri della felicità. Perché i microbi del nostro corpo sono la chiave per la salute e il benessere, Hoepli, Milano, 2017, tr. ing., 10% Human. How Your Bod’s Microbes Hold the Key to Health and Happiness, London, HarperColins, 2016)
Alle soglie del 2000 l’umanità giungeva ad un traguardo fondamentale: la mappatura del Genoma Umano. L’evento fu salutato con toni trionfali e la sua notizia percorse la terra. Il presidente Clinton diceva: “Oggi conosciamo il linguaggio con cui Dio ha creato la vita… l’umanità è sul punto di conquistare un immenso potere di guarigione”.
Mano a mano che gli anni sono trascorsi si è andato attenuando quel primo entusiasmo, ci si è resi sempre più conto che conoscere tutto dei singoli mattoncini di cui era fatto l’uomo, il suo progetto, non era così determinante, sapere della presenza di un determinato gene, della predisposizione per quella determinata cosa (una certa malattia, ad esempio) non diceva molto sulla reale insorgenza di quella specifica condizione, forniva tutt’al più qualche dato probabilistico, ma poco altro.
L’individuo umano, ancora una volta, non era semplicemente quella sofisticata macchina di cui si possedevano finalmente le chiavi del quadro di comandi generale.
Nel 2012 sic completava un altro progetto, perseguito con molti minori finanziamenti e senza nessun clamore, senza il saluto ufficiale di nessun presidente della terra: la mappatura del Microbioma Umano.
Anche sotto il punto di vista dei numeri il genoma umano aveva un poco deluso le aspettative: possediamo soltanto 21000 geni, meno di un topo di laboratorio, che ne possiede 23000, meno di una pianta, che ne possiede 26000. Dove risiede la complessità di tutta questa strabiliante macchina?
Ci si avvide che i geni presenti nel corpo umano sono circa 4,4 milioni, dunque la stragrande maggioranza di questi geni non è “nostra”.
Il fatto è che il nostro corpo è umano soltanto per il 10%, per ogni cellula “nostra” ce ne sono altre 9 estranee, che ci abitano e convivono con noi. Soltanto nell’intestino vivono stabilmente 100 000 000 000 000 ospiti stranieri. E non soltanto lì. Per avere un’idea dobbiamo pensare al pianeta Terra. Una miriade di esseri viventi lo abitano, in superficie e in profondità, adattati ai diversi ambienti. Così è per il corpo umano (ma anche per qualsiasi altro essere, dall’insetto al mammifero): batteri e funghi specifici si sono organizzati una vita in simbiosi con i diversi ambienti, ampie superfici o spazi angusti, con o senza aria, caldi e umidi o esposti alle intemperie, lussureggianti e ospitali o ostili e aridi, luoghi di conflitti e pericoli o zone di quiete, ogni centimetro del nostro corpo è un habitat popolato da organismi.
L’insieme di tutte queste popolazioni è il Microbioma.
La mappatura del microbioma umano, di tutta questa strabiliante diversità, pressoché ignorata dai media, praticamente sconosciuta al grande pubblico, ha aperto prospettive impreviste riguardo la comprensione medico-scientifica della vita umana. Rimettendo innanzitutto in discussione quell’idea positivista della complessa macchina della quale, una volta posseduti le chiavi e il progetto (genoma) sarebbe stato possibile determinare e manipolare ogni cosa. E’ molto più adeguata l’immagine di un organismo inserito in una rete di relazioni complesse non tutte e non tanto direttamente determinabili.
Perché tutta questa brulicante e attivissima vita che ospitiamo non se ne sta semplicemente lì a vivere, letteralmente, sulla nostra pelle, a nostre spese, in quanto con essa si è stabilita una infinita rete di processi simbiotici attraverso i quali i nostri ospiti ci “ripagano” dell’accoglienza. Processi vitali indispensabili. Dalla vita, dalla qualità della vita del nostro bioma dipende la nostra vita, la qualità della nostra vita.
Di questa straordinaria avventura ci racconta 10% Human. How your Body’s Microbes Hold the Key to Health and Happiness di Alanna Collen, biologa e ricercatrice, giornalista e divulgatrice scientifica per la BBC.
Hoepli ha pubblicato lo scorso anno l’edizione italiana dal titolo “italianizzato” in I batteri della felicità. Perché i microbi del nostro corpo sono la chiave per la salute e il benessere. Le scelte editoriali sulla traduzione del titolo rivelano le strategie di marketing e qui la sostituzione del titolo in grassetto, la traduzione di hold (detenere, avere in mano) con sono e la presenza della parola benessere indicano quale sia il target a cui si cerca di indirizzare il libro.
In effetti la scrittura dell’A. è piacevole e avvincente e l’opera, peraltro discretamente corposa (300 e più pagine fitte fitte ma arricchite da 16 interessanti pagine fotografiche) mantiene desto l’interesse del lettore con uno stile da reportage, ricco di eventi, date, personaggi, aneddoti che hanno segnato le tappe importanti del cammino di graduale scoperta che ci ha rivelato, soprattutto nell’ultimo secolo, l’avvincente micromondo dei batteri.
In seguito alla quarta delle grandi rivoluzioni mediche che hanno trasformato nell’ultimo secolo e mezzo la qualità della nostra vita e della nostra salute, la scoperta e la diffusione degli antibiotici, a partire dalla penicillina di Fleming, siamo stati educati a pensare i batteri essenzialmente come dei nemici, intrusi occasionali da eliminare prontamente. Soltanto negli ultimi anni si sta diffondendo l’idea dell’esistenza di batteri buoni e amici e si moltiplicano alimenti e prodotti farmaceutici a base di fermenti lattici i quali, peraltro, non sono i più essenziali e neanche i più numerosi tra gli ospiti buoni del nostro corpo, ma soltanto quelli più facilmente coltivabili (e dunque commerciabili) in quanto tra i pochissimi che sopportano un ambiente con presenza di ossigeno.
Il punto di partenza del percorso esplorazione proposto dall’A. è l’osservazione del nostro stato di salute contemporaneo. In seguito alle grandi rivoluzioni mediche del XX secolo la qualità della vita è decisamente migliorata, si vive più a lungo, si soffre di meno, molte delle terribili piaghe che hanno decimato l’umanità sono state debellate.
Ma a ben guardare, il nostro stato di salute non è così buono come ce lo raccontiamo. Alcuni tipi di patologie vanno crescendo in maniera esponenziale ovunque nel globo e in particolare alcune di queste le “teniamo a bada” in un modo che potrebbe portarci all’illusorio pensiero che siano normali.
Come le allergie che diventano sempre più diffuse e riguardano sostanze un tempo insospettabili, del tutto innocue, dal polline fino al glutine.
Oppure l’obesità, diffusasi, ad osservare i dati, con le modalità tipiche di una qualsiasi epidemia, in continua crescita, nonostante i dati riguardanti le abitudini alimentari generali sembrino da tempo registrare inversioni di tendenza rispetto all’ingozzarsi sfrenato di qualche decennio scorso. Come mai i dati medi sembrano riportare una mancanza di connessione tra abitudini alimentari e diffusione dell’obesità? cos’altro c’è dietro?
Oppure tante patologie autoimmuni, dove il sistema immunitario sembra rivolgere le proprie armi contro lo stesso organismo che dovrebbe difendere. Perché questo avviene e perché avviene in un numero di casi esponenzialmente sempre più alto?
Anche il diffondersi di tutta una serie di patologie e disturbi psichici, tra i quali, ad esempio, l’autismo. La coincidenza tra disturbi psichici e patologie croniche all’intestino è soltanto casuale? Gli esperimenti dimostrano moltissimi esempi, sia negli animali che nell’uomo, in cui i batteri influenzano processi psichici, attivando geni, producendo ormoni specifici. Ci sono relazioni tra il diffondersi del “mal sottile”, la depressione e la cronica sindrome del colon irritabile?
E in tutto questo processo ha un qualche ruolo la modalità in cui ciascuno viene al mondo, il parto? Parto vaginale, cesareo, allattamento al seno o latte artificiale, particolari coincidenze nei dati suggeriscono connessioni tra chi siamo, come stiamo nel mondo, quali patologie sviluppiamo e il modo in cui nasciamo e riceviamo le cure primali, connessioni che hanno a che fare con i batteri che colonizzano il corpo del nascituro al momento della nascita e durante i mesi successivi.
Ciascuno degli otto avvincenti capitoli svolge un’indagine su ognuno di questi aspetti della nostra salute fisica e psichica e rivela come e quanto la salute e l’equilibrio dei batteri che ci abitano sia fondamentale per la nostra stessa sussistenza.
Perché quello che è indubitabile è che le cose di cui abbiamo preso l’abitudine di nutrirci (cibi spazzatura, cibi industriali adulterati da sostanze chimiche, drastica riduzione dell’apporto di vegetali e di fibre) e l’abuso di farmaci antibiotici (ma anche detergenti vari) hanno danneggiato gravemente le popolazioni di batteri amici che da millenni ci abitavano.
Il campo di tutte queste ricerche è ancora troppo giovane per poter dare risposte e soluzioni. Il fatto di cominciare a intravedere alcune cause non significa che sia già pronto per offrire anche cure. Si intuiscono le potenzialità immense di questo nuovo sapere, in campo medico. Ad un certo punto l’A. si lancia a delineare un entusiastico quadro di possibili sviluppi (coltivazioni di specifiche famiglie di batteri in forma di farmaci da assumere per ristabilire equilibri biomici sconvolti, batteri specifici per il buonumore ma anche soltanto per prendere la vita più “easy”, banche dati dei donatori per trapianti fecali e via dicendo). Una nuova miniera da esplorare per una più evoluta e futuristica ingegneria medica e farmacologica.
Una serie di riflessioni filosofiche e teologiche, anche importanti, scaturiscono da queste nuove e inattese scoperte.
Che ne è, ad esempio, del concetto di “io”, di “individuo”, adesso che abbiamo preso coscienza di non essere più soli nel nostro stesso corpo, di essere abitati da così tante specie diverse le quali hanno un ruolo importante nel nostro stile di vita e negli accadimenti della nostra psiche?
Che ne è della tanto preziosa libertà quando dei batteri, producendo sostanze e attivando o disattivando geni determinano i nostri stessi pensieri oltre che controllare pesantemente molti dei nostri comportamenti?
Questioni cruciali.
Che per un verso appaiono legittimare una concezione sempre più materialistica della realtà, liquidando ogni residuo di spirituale e razionale ridotto a processi e meccanismi di cui si conoscono finalmente le dinamiche.
L’A. ricorda la pubblicazione di un articolo tra le pagine di Scientific American nel lontanissimo 1896 il quale suggeriva, a seguito di un piccolo esperimento, che la follia potesse essere causata da un batterio (Is Insanitiy Due to a Microbe?); poi però la proposta di Freud che la causa delle patologie della psiche fosse di tipo emozionale prese il sopravvento e tutto quel promettente campo di ricerca fu abbandonato.
Che ironia se tutto l’impianto della psicologia, con le sue migliaia di correnti e teorie, con tutte le sue innumerevoli pagine scritte in questo secolo, sia stata soltanto un’immensa perdita di tempo?
Chi vivrà vedrà.
Però, intanto, per un altro verso, un’altra idea di medicina si va facendo strada, la quale si avvede di come attraverso queste nuove scoperte non stiamo facendo altro che vedere con gli occhi cose che erano note e formavano il sapere di altre culture antiche (pensiamo soltanto a quanto dell’uomo spirituale ed emozionale dicesse il termine anticotestamentario di viscere), saperi che percepivano il materiale e lo spirituale non come contrapposti bensì come facce della stessa medaglia, compenetrandosi senza soluzione di continuità reciproca.
Saperi che consideravano puerile una lettura meccanicistica della realtà e della vita.
E in fin dei conti, passata l’iniziale vertigine per una possibile perdita di concetti così fondamentali come io e libertà, si può anche fare la riflessione che in fondo, se tali concetti hanno determinato in modo così forte il corso del pensiero di questa cultura che chiamiamo Occidente è probabilmente soprattutto ad opera della predominante matrice greco-ellenistica.
Che è poi quella che ha fatto da nutrice alla scienza post-galileiana.
Magari, forse, è semplicemente quel monopolio assoluto che va disgregandosi.
Stay tuned.
Daniele Mangiola (DiRS-GBU)