Conversando con Giorgio Ammirabile

Giorgio Ammirabile guiderà la lode del XII Convegno Nazionale GBU (7-10 dicembre 2017)

Domande

1. Giorgio ti siamo riconoscenti per aver accettato il nostro invito per guidare la lode al Convegno; grazie anche perché lo farai con musicisti studenti o laureati del GBU.
Oggi il servizio del “guidare la lode” è stato sostanziato ed è venuta fuori una figura ben precisa che gli americani chiamano “worship leader”; cosa pensi di questo slittamento di significati?

2. Da anni sei diventato un punto di riferimento per la musica e la canzone cristiana nel mondo evangelico; a che punto credi si trovi la musica cristiana? Intendo sia nei termini della sua esecuzione e performances e, in particolare, nei termini della composizione musicale e di testi?

3. Quest’anno corre il 500° anniversario della Riforma protestante; sappiamo che darai il tuo contributo anche in questo ambito del Convegno che presenta tutto un filone di relazioni e di celebrazione. Puoi dirci qualcosa in merito sul rapporto tra Riforma e canto, dal tuo punto di vista di musicista?

 

 

 

 

Risposte

 

1. Ritengo che la figura del “worship leader” non sia certo un invenzione moderna. Cantanti e musicisti erano stati istiuiti per l’amministrazione del culto fin dai tempi del primo tempio.

“Guidare la lode” è un’espressione che in alucni ambienti evangelici continua a destare sospetto; la frase più comune è “lo Spirito Santo è colui che guida la lode”. Sebbene sia pienamente daccordo con il principio che in una chiesa viva sia proprio lo Spirito Santo a guidare la lode, mi chiedo se a qualcuno di noi piacerebbe assistere ad un concerto per orchestra senza un direttore che sappia coordinare (e appunto “guidare”) le voci degli strumenti per costruire l’ensamble armonico e suggestivo che noi tutti ci aspettiamo di sentire. E’ vero che la cultura moderna sempre a caccia di punti di riferimento, tende ad elevare persone artisticamente talentuose ad icone ed esempi da seguire; ma direi che una chiesa guidata appunto dallo Spirito di Dio sa essere equilibrata anche in questo, dando ad ognuno il ruolo ed il valore che ha.

Resta comunque il fatto che una persona dotata di spiccate capacità artistiche e sensibilità spirituale può guidare un’intera comunità di cristiani  a lodare Dio con bellezza e profonda commozione e sono convinto che tutti noi abbiamo sperimentato uno di questi momenti.

 

2. Domanda complessa. Dipende da quale punto di riferimento partiamo per analizzare la status della musica cristiana in Italia oggi. I modi e le forme della comunicazione artistica moderna si evolvono a gran velocità e nello sforzo continuo di essere innovatori, le proposte artistiche sono diventate articolate avvalendosi di tutta la tecnologia a disposizione. Mettendo quindi a confronto le nostre proposte artistiche non possiamo che riconoscere di essere piuttosto indietro.

Se invece analiziamo il contenuto piuttosto che la forma dobbiamo considerare che la parola di Dio sussiste da secoli e la sua forza dinamica è immutata e capace di rivoluzionare vite e nazioni nonostante i grandi cambiamenti; inoltre se pensiamo al momento in cui ha rivoluzionato la nostra vita ricorderemo forse che è arrivata a noi con una semplicità disarmante: un libro, un opuscolo, una testimonianza magari proposta con impaccio e semplicità. Questa è la forza dinamica del vangelo che penetra il tempo e i cambiamenti capace di rivoluzionare l’essere intero di chi ascolta.

Credo anche che la comunicazione artistica deve contenere sia la bellezza, che la profondità che l’abilità di raggiungere la mente e le emozioni di chiunque ascolta. Ritengo quindi che gli artisti devono sforzarsi di fare arte che abbia in se queste caratteristiche avvalendosi di tutti mezzi che hanno a disposizione…non farlo sarebbe una sconfitta.

 

3. L’anno scorso ho tenuto una serie di studi presso la facoltà di teologia dell’università americana Sheperd proprio su questo tema. Molte volte Lutero aveva parlato dell’importanza di una riforma anche musicale nella chiesa e di come egli stesso ritenesse la lode un momento centrale nel culto. Riporto un estratto della mia relazione che apre una finestra sul pensiero di Lutero, pensiero che sposo appieno.

In una lettera datata 4 ottobre 1530 scrive: “credo fermamente e non ho vergogna di asserire che accanto alla teologia non c’è altra arte pari alla musica … il mio amore per essa abbonda. Essa mi ha spesso ristorato e liberato da grandi dolori”

E ancora afferma “la musica è un nobile dono di Dio accanto alla teologia” e ancora “l’esperienza prova che accanto alla parola di Dio soltanto la musica merita di essere indicata come la custode dei sentimenti del cuore umano”. Ed è per questo valore che Lutero da alla musica che spesso incoraggiava educatori e pastori a studiare musica per insegnarla ai bimbi. La preoccupazione principale di Lutero era di rendere la lode semplice e comprensibile alla gente comune. Riguardo i culti o incontri di lode afferma “è preferibile che i culti siano pianificati pensando ai giovani e a chi è nuovo nella chiesa.”

Le canzoni di Lutero consistevano in espressioni comuni, testi che chiunque potesse comprendere facilmente. I modelli per queste composizioni erano le ballate popolari di quei tempi, melodie prese in prestito dal repertorio popolare, la musica delle masse e persino qualche inno mariano. A Lutero non importava l’associazione o l’origine della canzone, piuttosto che fosse capace di comunicare la verità.

“Qualsiasi cosa possa prendere una nuova etichetta ed essere caricata della potenza del vangelo potrebbe anche essere utile a propagare il messaggio e farlo penetrare ancora più in profondità nei cuori degli uomini cosi che esso si espanda in tutta la nazione”. 

Lutero si meravigliava che nell’arte secolare ci fossero “così tante belle canzoni, mentre nell’ambito religioso ci fosse roba vecchia e senza vita” affermando il famoso detto “il diavolo non ha bisogno di tutta la buona musica per se stesso”, procedendo cosi a prendere tutte le melodie popolari del suo tempo unendo ad esso il messaggio della fede.

In una messa del 1526 affermava “per amore dei giovani dobbiamo leggere, cantare, predicare, scrivere e comporre versi e se fosse utile farei anche suonare le campane, tuonare gli organi e tutto ciò che possa emettere suoni”. Gli inni di Lutero si diffusero ovunque portati in giro da menestrelli itineranti. Memorizzati da giovani e vecchi in tutta la Germania queste canzoni pavimentarono la strada verso la Riforma.

 

Riforma in Italia, Riforma italiana, Riforma mancata

 

Le tre espressioni fanno riferimento a tre modi di pensare o di esprimere la relazione tra la nostra nazione e il movimento religioso della Riforma protestante del XVI secolo.

I tre termini si ritrovano continuamente negli studi storiografici, cioè in quegli studi che vanno ad analizzare il modo in cui gli storici raccontano il rapporto tra gli stati italiani del 1500 e la diffusione delle idee, prima luterane e poi degli altri riformatori.

Qui non possiamo rendere conto né dei dettagli di questi studi né delle principali linee assunte (utile può essere la lettura di alcuni testi, alcuni classici e ben informati, come: L. Firpo, Riforma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento, Laterza; S. Caponetto, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, Claudiana; altri più specifici ma anche di facile lettura, S. Biagetti, Il mito della “Riforma italiana” nella storiografia dal XVI al XIX secolo, Franco Angeli) solo per citarne alcuni.

Tuttavia compiamo solo un superficiale sondaggio in questa storiografia per rilevare che un vero pullulare di interessi per il rapporto tra stati italiani e Riforma del 1500 si ebbe nel 1800, vale a dire nel secolo in cui si radica effettivamente una presenza evangelica in Italia, grazie anche al Risorgimento.

Ci sono diverse ragioni che potrebbero spiegare il rinnovato interesse ottocentesco, non solo degli evangelici, per il XVI secolo: si potrebbe pensare per esempio alle speculazioni di quegli intellettuali italiani (Bertrando Spaventa su tutti) che, grazie a una precisa filosofia della storia vedevano nel Risorgimento italiano il chiudersi di un cerchio iniziato con il Rinascimento, movimento culturale che dall’Italia aveva dato lustro all’Europa e che ora tornava a fare del bene alla nostra nazione, proprio nella stagione del Risorgimento. In questo circolo naturalmente c’era anche la Riforma, letta come un anello imprescindibile del Rinascimento grazie all’appello umanistico del ritorno alle fonti – ad fontes.

Certo, va ricordato, almeno per i lettori evangelici, il monito dello storico fiorentino Giorgio Spini (Risorgimento e protestanti) che aveva messo in guardia dal leggere la presenza evangelica e protestante nella nostra nazione come una presenza che manifesta due picchi: durante il XVI secolo e poi, dopo la stagione della controriforma, nel 1800 grazie alle correnti del Risveglio.

Tuttavia, pur essendo sensibili alla precauzione di Spini, non si può tacere il fatto che con l’avvio dell’evangelismo ottocentesco aumenta l’interesse per la stagione cinquecentesca.

Simone Maghenzani, dell’Università di Cambridge (che terrà una relazione al Convegno Nazionale GBU di questo anno – 2017) ha cercato di rendere conto di questo interesse (Storiografia protestante e Riforma italiana del ‘500 nell’età del Risorgimento) costruendo quattro modelli, anche per mettere ordine nella varietà di modi e di intenti con i quali gli evangelici italiani dell’800 guardavano al XVI secolo.

Il modello morale, che fa capo all’esaltazione della figura di Girolamo Savonarola, dal quale derivava anche il titolo del giornale evangelico stampato a Londra negli anni 40–50 dell’800, L’Eco di Savonarola. In questo modello si guardava soprattutto al rigorismo morale del frate fiorentino e alla sua lotta contro i soprusi della chiesa di Roma come una sorta di apertura di una via alla Riforma, una via che fosse però indipendente dal predominio delle proposte straniere (così com’erano concepite) di un Lutero o di un Calvino.

Il modello che conservava la memoria della persecuzione degli evangelici d’Italia del cinquecento. Si trattava di un modello che faceva capo alla Rivista cristiana diretta da Emilio Comba e che in qualche modo si poneva sulla scia della letteratura dei martiri protestanti inaugurata da opere famose internazionalmente quali il Book of Martyrs di J. Foxe (1563).

Il modello che tentava l’inserimento stretto e sistematico della sfortunata vicenda italiana nel più ampio ecumene protestante europeo, come dimostrato tra l’altro da quella che sarà definita la “riforma dei profughi” con riferimento ai tanti italiani, che fuggiti dall’Italia, daranno il loro prezioso e originale contributo sia alle correnti ortodosse del protestantesimo europeo e mondiale sia a quelle eterodosse.

Infine Maghenzani cita il modello (nel suo elenco è il secondo) che tentava di rintracciare nella stagione del cinquecento un filone di riforma indipendente, sì legato al fenomeno europeo, ma non da esso dipendente. Piero Guicciardini e Teodorico Pietrocola Rossetti, nel mentre ammassavano testi della Riforma del ‘500 in quello che è poi divenuto il Fondo Guicciardini (già Libreria religiosa) della Biblioteca Nazionale di Firenze, distinguevano in quella vicenda e in quel materiale la presenza di una riforma indigena, italiana: «L’Italia nostra ebbe in ogni tempo de’ riformatori della Chiesa Romana e de’ cristiani secondo l’Evangelo» (p. 135).

La mappa costruita da Maghenzani è così ricca e impegnativa da poter dire che non è possibile, al di là della ricerca storica vera e propria, non è possibile, per le celebrazioni ma anche per la possibilità di attingere energie spirituali dalla stagione della Riforma del ‘500, prescindere da un confronto serrato e umile con il filtro ottocentesco. Lungi dall’oscurare la triste stagione della “riforma mancata” (cito qui l’evento storico) il filtro ottocentesco la illumina e la arricchisce delle potenzialità che quella stagione ha ancora per il presente e per il futuro della nostra nazione.

Per esempio quel filtro può farci comprendere perché è necessario distinguere e identificare i vantaggi, ma anche e soprattutto le debolezze, di una possibile «Riforma in Italia», un’operazione in cui sembra non ci possa essere un’autentica diffusione del vangelo senza il ricorso alle categorie elaborate dal confessionalismo (Schilling) soprattutto riformato del 500 (e del ‘600); il filtro dell’800, solo se sappiamo ascoltare le voci di un Mapei, di un Rossetti o di un Mazzarella, et al., ci suggerisce di elaborare una testimonianza che sia incarnata nelle peculiarità della nostra nazione, riconoscendo nel contempo che anche le espressioni più alte della Riforma segnano un debito culturale nei confronti della storia e dei contesti di nascita e di sviluppo.

Il filtro ottocentesco potrebbe quindi stimolarci anche a comprendere la peculiarità di una Riforma italiana che sappia anche miscelare, come di fatto è accaduto da almeno duecento anni, tra le varie anime della Riforma, valorizzando la ricchezza della Riforma radicale, per esempio, di contro alla compostezza e rigidità, ma anche ambiguità, della Riforma magisteriale.

In conclusione, avendo colto le sfumature che separano i due concetti della “Riforma in Italia” e della “Riforma italiana”, il filtro ottocentesco potrebbe anche aiutarci a comprendere che la

Riforma mancata, lungi dall’essere un qualcosa che è svanito per sempre o, peggio ancora, un qualcosa da realizzare emulando semplicisticamente ciò che storicamente non può ripetersi (non ci sarà mai un Lutero in Italia che affigga 95 tesi né un Calvino redivivus), può al contrario essere un’opportunità e un compito.

Nelle parole di Teodorico Pietrocola Rossetti, oggi incarnate dai tanti rivoli della predicazione evangelica ed evangelistica di qualsiasi denominazione, ma originariamente rivolte al filosofo hegeliano Raffaele Mariano:

«… mi accorgo che voi considerate il Cristianesimo come una riforma dello scibile e della società umana; ma il Vangelo non parla di codesta riforma, sibbene di quel rinnovamento interno dianzi accennato, e dopo ciò, tutto è possibile …».

 

(G.C. Di Gaetano)

XII Convegno Nazionale del GBU italiano

IL MESSAGGIO DI GESÙ CRISTO IN UNA CULTURA COMPLESSA
(Darrel L. Bock)

Leggi un commento di Francesca Polchi

(GBU Firenze)

Come sopravvivere a una conversazione difficile

 

 

 

Vedi la galleria fotografica (a cura di Gino Tucci, Gravina)

 

PROGRAMMA completo

Titoli delle plenarie e del percorso Riforma 500

 

Plenaria 1. Prepararsi adeguatamente alla battaglia: ridefinire il conflitto culturale
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Plenaria 2. Lezioni paoline per il confronto culturale
(Vedi il video)

Plenaria 3. Come affrontare e condure un dialogo difficile
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Plenaria 4. Il vangelo rintracciato nella promessa e nei sacramenti
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Plenaria 5. Che cos’è il vangelo? Uno sguardo a Luca 3:16 e Romani 1:16-17
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Plenaria 6. Perché l’amore è un imperativo?
(Vedi il video)

Riforma 500.

Tutto è iniziato in una Università: Wittenberg 1517–Montesilvano 2017

La pluralità della Riforma, (M Rubboli, Università di Genova)

Giovanni Calvino: il riformatore profugo, (E. Fiume, Chiesa Valdese di Roma)

Dipanare la Riforma: con Lutero, oltre Lutero, (S. Maghenzani, Università di Cambridge)

Risvolti storici e artistici della Riforma nell’Inghilterra del ‘600, (F. Falcone, Dottore di Ricerca in Letteratura inglese)

Il progetto Bibbia Italiana della Riforma (BIR) nell’ambito delle traduzioni della Bibbia, (A. Pecchioli, Società Biblica Italiana, Edizioni GBU)

“Far brillare la luce in mezzo alle tenebre”: la collezione Guicciardini., (L. Venturi, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze)

La Riforma è superata / La Riforma non è superata, (GC Di Gaetano, Università di Chieti – V. Bernardi, Università della Basilicata)

Mostra sulla Riforma radicale (a cura di UCEBI)

Mostra della Bibbia (a cura di GBU)