Morire per la fede? Alcune riflessioni sulla morte di Charlie Kirk

Sono appena passate poco più di 24 ore dall’assassinio in Utah del politico evangelico Charlie Kirk, un giovane leader del Partito Repubblicano che, negli ultimi anni aveva entusiasticamente aderito alla dottrina trumpiana ed era leader di una fondazione che aveva come suo scopo precipuo quello di diffonderne le idee tra gli studenti universitari.

Lasciatemi dire in premessa che si tratta di una morte tragica e tremenda e che, dobbiamo dirlo, si associa ad una serie di omicidi ed assassini che non sono estranei alla tradizione americana. Non si tratta di un unicum nella storia USA, ma di certo questo non toglie la tragicità per la maniera violenta in cui è stata tolta la vita di un uomo di 31 anni  che ha lasciato una moglie e due figli.

Su questo atto violento molto è stato già detto e, anche da parte evangelica italiana ci sono state delle ottime riflessioni come quelle di Giovanni Donato che chi vuole, può vedere nel videoblog l’Asina loquace (chi vuole lo può guardare a questo link: https://www.youtube.com/shorts/FI54UUdDzPg).

Personalmente anche io non voglio fare un discorso né politico né teologico in senso stretto, ma voglio partire da due questioni poste su FB da Giacomo Carlo di Gaetano che, insieme a me, dirige questa rubrica e cercare di dare, per quanto possibile delle risposte o fare delle riflessioni su due quesiti.

Riporto qui quanto postato:

  1. Premesso che un omicidio è un omicidio (di un trentenne per giunta …) questo è un omicidio politico o un omicidio religioso?
  2. Il cuore dell’attività di questo bravo attivista erano i dibattiti dal titolo “Dimostrami che ho torto” (Tell Me I’m Wrong). Che cosa ci fa pensare questo modo di intersecare fede e cultura, fede e politica, fede e ragione?

La risposta alla prima domanda, alla luce anche di quanto scoperto dell’attentatore, è che mi pare chiaro che si tratti essenzialmente di un omicidio politico, come lo stati quello di Lincoln, dei due fratelli Kennedy e anche quello di M. L. King (che forse è il più religioso di tutti). L’attentatore, infatti, pare avesse dei proiettili dove si accusava Kirk di essere fascista e di pratiche discriminatorie nei confronti dei gay. Si tratta di accuse essenzialmente politiche per un personaggio che si configura come un politico, di religione evangelica. La fondazione di Kirk non serviva necessariamente a convertire persone a Cristo (anche se questo poteva succedere), ma a farle diventare aderenti di un movimento politico. Questo è vero anche se fatto da un credente.

Pertanto, benché anche io mi associo alle preghiere per la famiglia di Kirk che vive una personale tragedia che nessuno di noi vorrebbe vivere, non posso che dissociarmi da coloro che vogliono far passare Kirk com un martire della fede, benché sia assolutamente convinto della sua buona fede come credente, anche se non concorderei su molto di quello che credeva, ma sono convinto che la salvezza appartiene a Cristo ed alla sua Grazia e che ha poco a che fare con il nostro Credo e le nostre opere.

Trovo più interessante la seconda domanda. Cosa dobbiamo pensare del metodo di dibattere di Kirk? E’ veramente utile per portare alla fede ed alla conversione le persone. Come ha recentemente affermato un articolo del Post (https://www.ilpost.it/2025/09/12/charlie-kirk-dibattiti-universita-stati-uniti/) il Debate politico-sociale negli Stati Uniti è una tecnica molto usata. La tradizione evangelica americana è piena di Debate. Uno dei fondatori del movimento evangelico a cui appartengo, Alexander Campbell, nel XIX secolo ha tenuto molti dibattiti pubblici dove cercava di difendere la propria fede nei confronti di coloro che erano ritenuti degli avversari. I dibattiti erano pubblici e servivano anche per persuadere i presenti. 

Kirk (come anche altri opinionisti conservatori da Peterson a Ben Shapiro) hanno usato e usano questa tecnica in maniera aggiornata. Il loro scopo non è tanto di esporre quello che pensano, quanto quello di confutare quello che pensano gli altri e di mostrare le debolezze del loro discorso. Si tratta di un metodo pseudo-socratico, in quanto a differenza di Socrate, Kirk e gli altri pensano di avere la Verità e di doverla proclamare agli altri che devono accettare senza una reale discussione, perché sono caduti in contraddizione. Il modello socratico, invece, prevederebbe una condivisione delle conclusioni ed un portare l’altro ad arrivare a comprendere quanto si voleva dire, convincendolo della bontà delle tesi condivise.

Il modello pseudo confutatorio non è a mio parere di un modello evangelico. Se guardo al Nuovo Testamento e ai modelli di incontro con coloro che la pensano in maniera diversa da me, personalmente leggo due esempi eccellenti: quello di Gesù e quello di Paolo. In uno dei discorsi più difficili di Gesù, quello con il giovane ricco (Mt. 19: 16-30), dove più che confutare le idee si chiama il proprio interlocutore all’azione, l’altro è quello di Paolo all’Areopago (Atti 17). Benché l’apostolo fosse indignato con gli ateniesi, questo non gli impedisce di porgergli la mano, citando loro poeti e mostrando quello che vi era di buono nella loro cultura.

In realtà, i Debate religiosi americani del XIX secolo erano più simili a questi modelli che a quello degli odierni conservatori e ritengo che i modelli di dibattiti di Gesù e Paolo rimangono ancora validi per i credenti oggi, al contrario di una eccessiva polarizzazione delle posizioni senza dimostrare in primis l’amore di Gesù per gli uomini ed in secondo luogo per l’annuncio del Vangelo che, per ogni credente, deve rimanere valido.

Rimane però una terza questione cui voglio rispondere brevemente. Qual è il rischio che un credente corre nel mescolare messaggio del Vangelo con messaggio politico (a prescindere dalle proprie convinzioni che in questo articolo non discuto)? 

Il rischio è quello di compromettere il Vangelo. Molti di quelli che scrivono hanno sempre visto, pur con tutte le sue imperfezioni e difetti (non ultimo un alto livello di violenza), al modello politico americano come ad un faro per la libertà di parola ed individuale, un modello di convivenza religiosa senza che questa interferisca con lo Stato o viceversa. Questa sua caratteristica è proprio dovuta alla maniera in cui sino ad ora gli evangelici hanno inteso la divisione tra Stato e Chiesa. 

Appartenendo ad una tradizione strettamente collegata con il battismo, volevo ricordare che il governo democratico, dove tutti (anche i nativi americani) hanno diritto di avere il proprio spazio, ha radici profondamente cristiane. Voglio ricordare quanto Roger Williams, pastore battista e fondatore della colonia del Rhode Island, ricordava a Cotton Mather, un predicatore calvinista che, nonostante la tradizione della politica come covenant (patto), non comprendeva: 

“Quando [la Chiesa] apre un varco nella siepe o nel muro di separazione tra il giardino della chiesa e il deserto del mondo, Dio ha sempre abbattuto il muro stesso, rimosso il candelabro, ecc., e reso il Suo Giardino un deserto come lo è oggi. E quindi, se mai Gli piacerà restaurare di nuovo il Suo giardino e il Suo Paradiso, dovrà necessariamente essere recintato in modo particolare per Sé, separato dal mondo, e tutti coloro che saranno salvati dal mondo dovranno essere trapiantati fuori dal deserto del Mondo.”

La separazione dei fatti ecclesiastici da quelli politici è, quindi, una garanzia per la stessa Chiesa e non per il mondo. Il senso del governo aperto a tutti e in cui la Chiesa non impone il suo pensiero, ma vive in mezzo al mondo per convertirlo, garantita nella sua libertà, proprio perché non interferisce con le scelte politiche in maniera sopraffatoria, rimane uno dei messaggi fondamentali che dobbiamo ancora portare avanti, di fronte alla crisi delle democrazie liberali che, per l’appunto, non sono state inventate dall’Illuminismo (o solamente da esso), ma sono frutto della riflessione di persone come Althusius, Williams, Penn ed altri e che quindi sono fortemente radicate nelle radici bibliche del nostro modo di essere chiesa e luce del mondo.

Non vorrei che movimenti come il Maga o (in decenni precedenti) come il Vangelo sociale, possano compromettere la predicazione di quel Vangelo di cui tutto il mondo ha bisogno.

La mia speranza è che la morte di Kirk ci porti a riflettere su questi aspetti piuttosto che farci ulteriormente prendere dalla paura e dal timore che non deve essere presente in nessun credente.

                                                                                                                                                                                                                                                                                              Valerio Bernardi – DiRS GBU

Il rifiuto della trascendenza. Alcuni pensieri sparsi su Toni Negri.

Abbiamo appreso proprio ieri della morte di uno dei maggiori e più controversi intellettuali italiani della seconda metà del XX secolo: Antonio Negri. Negri era un pensatore assolutamente originale di cui, tra l’altro, abbiamo parlato nell’ultimo libro pubblicato dalle edizioni GBU, I discepoli furono chiamati cristiani.

Riflettendo sulla sua dipartita terrena ed a pochi giorni dal termine del nostro Convegno di studi dedicato all’ateismo vogliamo tracciare un breve ritratto e fare alcune riflessioni su questo pensatore. 

Antonio Negri è stato un filosofo protagonista tra fine anni 1960 e inizi 1970 dei movimenti di protesta giovanile di stampo marxista ed extraparlamentare in Italia. Mentre diventa uno dei dirigenti di Potere Operaio, scriveva alcuni dei saggi che lo hanno reso famoso, uno dedicato al filosofo Spinoza (L’anomalia selvaggia) e l’altro al pensiero di Cartesio (Descartes politico). E’ stato un raffinato analista del pensiero di Marx e lo ha cercato di reinterpretare il suo pensiero in chiave più contemporanea con alcune venature influenzate dallo strutturalismo e dal post-strutturalismo francese. Coinvolto anche attivamente nei cosiddetti anni di piombo nel terrorismo rosso, sino ad essere accusato di essere capo della Brigate Rosse (accusa rivelatasi infondata) sarà comunque condannato per altri reati e, dopo essere scappato in Francia, ritornerà in Italia a scontare la sua pensa. Agli inizi del XXI secolo tornerà alla ribalta (all’inizio non in Italia)  con la pubblicazione di Impero con Michael Hardt, testo che avrà un grande successo globale e che riporterà il pensatore italiano alla ribalta del panorama culturale mondiale. 

Negri si è sempre professato ateo ed i due suoi autori classici preferiti, Spinoza e Marx lo sono di fatto stati, anche se consideriamo Spinoza un panteista moderno che ha cercato, da ebreo, di racchiudere la realtà del mondo e del divino in un’unica sostanza. Che interesse potrebbe avere pertanto per il mondo evangelico?

Ci sono diverse piste che si possono percorrere e qui ne proporremo alcune. Negri ha sempre mostrato interesse per i movimenti religiosi. Partendo dall’analisi di alcuni passi di Marx ha sempre pensato che i movimenti religiosi, soprattutto quelli che partono dal basso e che sono poco istituzionali, possono essere la premessa di una liberazione effettiva dell’uomo. Lettore avido dal marxista Ernst Bloch che aveva analizzato qualche decennio prima il pensiero di T. Müntzer, visto come un proto-rivoluzionario, ha guardato con attenzione ai movimenti della teologia della liberazione che, a suo parere, sono espressione di quella Moltitudine che potrebbe rovesciare lo stesso Impero o capovolgerne le sorti. Ovviamente per il pensatore padovano il movimento religioso può essere visto come un inizio e non come il coronamento di un traguardo raggiunto che può essere solo supportato da un movimento politico. 

Nel 2008 una serie di evangelici americani sono entrati in dialogo con Negri e Hardt per analizzare la nozione di impero. Per Wolterstorff ed altri pensatori evangelici Negri aveva colto nel suo testo il fatto che, ormai, l’Impero non potesse più identificarsi con una particolare nazione (nonostante la supremazia statunitense) e che questo avrebbe potuto dare l’occasione soprattutto ai movimenti evangelici che stavano avendo successo nel Sud del mondo di creare spazi di apertura verso il Regno di Dio e verso una società più giusta e versata alla pace nel mondo. Il libro, che si intitola Christian Alternatives to the Political Status Quo (Alternative cristiane allo status quo politico) si conclude con una replica di Negri che, insieme ad Hardt, ringrazia dell’interesse per i suoi studi ma, allo stesso tempo, ribadisce anche che la sua idea di speranza di pace è qui sulla terra e che rifiuta qualsiasi possibilità che ci sia una trascendenza (un Dio) che possa essere risolutrice per ciò che accade nel mondo. Quindi una grande attenzione per i movimenti religiosi informali che possono far parte di quella Moltitudine (altro titolo di un saggio di Negri) che può far cambiare l’Impero ma che, alla fine, non possono essere risolutivi per il costante richiamo che fanno al Divino.

Negri è anche stato un attento lettore del testo biblico. Ho sentito anche diverse sue interviste dove dimostrava la sua capacità di fare esegesi di un testo che trovava assolutamente interessante ma su cui voleva andare oltre. Questo suo interesse, oltre che da una originaria formazione cattolica (comune a molti teorici della sinistra extraparlamentare degli anni 1960/70) derivava anche dalla sua attenzione per il pensiero dell’ebreo Spinoza che, pur essendo stato uno degli iniziatori del cosiddetto metodo storico-critico, da buon ebreo dava grande spazio all’esegesi delle Scritture (si veda i numerosi riferimenti ed anche i tentativi di una esegesi “umana” che sono presenti nel Trattato Teologico-politico). Negri negli anni Novanta, proprio durante gli anni della prigionia, ha elaborato un testo di difficile lettura dedicato al libro di Giobbe ed intitolato il Lavoro di Giobbe. Ciò che affascinava il pensatore padovano era la figura del personaggio biblico che deve faticare per farsi ascoltare da Dio. Non si tratta del rapporto con il trascendente, quanto del continuo dissidio e lotta che passa anche attraverso il proprio corpo e la sua presenza. Una lettura interessante, ma anche questa priva di una trascendenza (l’entrata di Dio sembra una messa in scena) e che se ci dà pagine assolutamente interessanti nella descrizione del personaggio, allo stesso tempo ci fa capire come si possa leggere un testo biblico in parte non capendone totalmente il senso o dandone uno alternativo a quella di molta esegesi.

Negri non è assolutamente facile da leggere ed i testi citati da me sono di difficile lettura (fa eccezione proprio Impero in cui Hardt ha funzionato a mio parere da facilitatore, anche perché il testo è stato pubblicato originariamente in inglese, una lingua che non sempre riesce a tenere conto delle ardite capriole linguistiche dei filosofi continentali), ma allo stesso tempo rimane una figura paradigmatica del panorama culturale italiano. Sicuramente gli evangelici farebbero bene a tenerne conto non per la sua “ateologia” (in cui è rimasto coerente), quanto per le sue riflessioni sul potere, sulla crisi degli Stati e sull’interpretazione del tempo presente, tenendo conto che, come ogni marxista occidentale (pur appellandosi a Lenin talvolta, ma, a nostro parere essendo distante) cerca di costruire un’utopia ed una speranza che può trovare proprio nel testo biblico una risposta ed è una figura che ci permette di confrontarci con quell’ateismo dialogante differente dai modelli scientisti che oggi vanno più di moda.

 

Valerio Bernardi – DIRS GBU

Mondo post-ideologico, Vangelo e Silvio Berlusconi. Una riflessione di un evangelico

Scrivere di Silvio Berlusconi oggi in cui ha lasciato questa terra è compito difficile per chiunque, perché il rischio è dire banalità, schierarsi in maniera chiara, fare retorica senza cogliere il bersaglio, essere scontati. Diventa ancora più difficile per un evangelico che nel corso del trentennio precedente non ha mai votato per il Cavaliere e non ha mai creduto sino in fondo alle sue proposte politiche, pur ammettendo le sua capacità come venditore di un mondo migliore e nuovo. 

Leggendo tra l’altro la stampa italiana (molto schierata da una parte o dall’altra) e quella estera si ha un contrasto stridente sui giudizi che si possono dare sulla persona e su colui che ha influenzato sicuramente la vita sociale e politica del Paese in cui viviamo.

Penso che il giudizio su Berlusconi, nella sua complessità, vada dato su diversi piani e cercherò, in un’operazione che sarà al limite della acrobatica, di tenere questi livelli di interpretazione distinti. 

Il primo piano di giudizio è quello storico. L’ex Presidente del Consiglio si è affacciato sulla scena mediatica circa una quarantina di anni fa ed è stato protagonista della scena politica per circa un trentennio. La sua “discesa in campo” (espressione da lui coniata) risale al 1994, anno in cui, dopo aver messo su un Partito, in pochi mesi riuscì a sconfiggere il fronte avversario, con un’alleanza di coalizione di centro-destra, il primo Governo di questo tipo che abbia governato l’Italia, dopo il tentativo, a fine anni 1950 di Tambroni. 

Berlusconi è entrato nell’agone politico in un particolare momento sia nazionale che internazionale. A livello nazionale l’Italia stava vivendo il periodo di “Mani Pulite”, una serie di inchieste e processi che avevano mostrato come la classe politica italiana fosse corrotta e avesse incrociato il suo potere con quello economico. A uscirne con le ossa rotte furono alcuni dei partiti storici italiani, in particolare il Partito Socialista, il più antico partito italiano che si sciolse sull’ondata delle indagini giudiziarie. 

Contemporaneamente, al livello internazionale, la Caduta del Muro di Berlino, aveva sancito la fine della Guerra Fredda e la fine della contrapposizione ideologica tra capitalismo e comunismo, facendo strada non tanto ad una vittoria del modello di sviluppo capitalistico (in cui erano presenti delle chiare distinzioni tra la politica ultraliberale portata allora avanti dal modello thatcheriano-reaganiano ed il modello socialdemocratico, fortemente presente nel Nord Europa), quanto la fine delle ideologie. 

Berlusconi, che aveva sino a quel momento simpatizzato per il Partito Socialista, svoltò a centro/centro-destra, cercando occupare uno spazio che sarebbe stato dei Liberali e dei Democristiani, volendo conciliare (come spesso accaduto in Italia) il pensiero cattolico con quello della deregulation economica. Dal sodalizio con Craxi avrebbe cercato di prendere l’idea (anche giusta) di voler “svecchiare” (Craxi e Martelli parlavano di modernizzazione dell’apparato) lo Stato italiano e diede inizio ad un sistema bipolare (mai bipartitico come quello dei modelli delle democrazie più avanzate) che ha caratterizzato quello che si è chiamata Seconda Repubblica (anche se non vi è stata la stesura di una nuova Costituzione).

La sua expertise come magnate della comunicazione lo ha reso un efficace veicolatore del messaggio di un’Italia nuova che, alla fine, non si è mai attuata, anche perché l’alleanza fatta non lo poteva portare ad applicare pienamente un modello liberale di Stato, stretto come era da un partito che avrebbe voluto un maggiore spezzetamento della struttura statale (la Lega) ed un altro che avrebbe voluto una struttura fortemente centralista (Alleanza Nazionale, ora Fratelli d’Italia). Entrambi i partiti alleati non erano liberali e, pertanto, la “rivoluzione” berlusconiana sarebbe stata votata al fallimento in partenza. 

Il Berlusconi imprenditore sino a quel momento, tra l’altro, aveva approfittato di un sistema non di totale libertà ma che, grazie proprio ad un decreto voluto da Bettino Craxi, aveva portato la televisione italiana (all’epoca il maggiore veicolo per la comunicazione) ad essere un duopolio in cui si contrapponeva una compagnia pubblica come la Rai a quella privata di Berlusconi che iniziò a proporre una televisione concorrenziale e commerciale dove lo scopo principale era il profitto e non l’informazione. La televisione berlusconiana ha profondamente inciso sulla società italiana, proponendo un modello in cui si potesse inventare anche qui una sorta di “sogno italiano”, non sempre attuabile, ma proposto come una valida possibilità.

Da un punto di vista politico il berlusconismo ha portato una serie di cambiamenti epocali che vanno valutati: la personalizzazione della politica che ha portato molto spesso a far coincidere il partito (che sino ad allora era struttura molto simile a quella di uno Stato) con la persona “carismatica”. Ancora oggi, negli ultimi anni, abbiamo assistito alla nascita in Italia di partiti di questo genere che sono figli di questo modo di agire (si vedano i Cinque Stelle, all’inizio legati alla figura di Beppe Grillo, e Italia dei Valori o Azione, in cui conta più il leader che l’ideologia). L’altro aspetto è stata quello della contrapposizione degli schieramenti, in un Paese che, fino ad allora, aveva vissuto la politica (a partire dalla Resistenza al Fascismo) come un luogo di compromesso di diversi interessi e di mediazione tra gli stessi. Berlusconi ha proposto il modello del “tutto o niente” e quello in cui bisognava sconfiggere dei nemici, talvolta neanche più esistenti (come i Comunisti dopo la caduta del Muro). Sicuramente se questo ha cambiato il panorama politico italiano, non sempre ha dato esiti totalmente positivi e, a lungo andare, come è accaduto anche altrove in Occidente, ha portato ad una disaffezione delle masse che, spesso, oggi, preferiscono non andare a votare.

Se il giudizio politico e quello storico possono essere più o meno accettati o respinti anche da un evangelico, in quanto trattandosi di cose penultime, ognuno di noi è libero, all’interno di un mondo in cui ci sia la libertà di pensiero, di aderire o meno a un progetto politico o ad una particolare interpretazione del passato, problematico diventa quello etico-teologico. 

Il nostro Stato ha deciso (anche in parte giustamente da un punto di vista istituzionale) di tributare dei funerali di Stato e, addirittura, di proclamare lutto nazionale (più discutibile in quanto, allo stato attuale, si tratta solo di un Senatore, che non ricopriva cariche di Stato), il Berlusconi uomo è stato sicuramente piuttosto discutibile: menzognero, non fedele alla propria famiglia, frequentatore di minorenni, organizzatore di festini, amico intimo di amici di mafiosi, senza scrupoli quando si trattava di arricchirsi anche a scapito di altri. Una persona che non può assolutamente essere presa come modello e che in questo senso si contrappone al Vangelo, come spesso accade anche a molti politici. Dobbiamo considerare e riflettere su questi aspetti della sua personalità e del suo vivere in un mondo al limite dell’illecito, anche da un semplice punto di vista legislativo.

Pur professandosi credente (lo ha detto più volte di essere Cattolico), molto spesso il dubbio era che, come spesso accade in politica questo credere fosse strumentale a catturare il voto cattolico (a Berlusconi interessava molto poco degli evangelici che sono insignificanti da un punto di vista elettorale), piuttosto che dettato da un’autentica fede. 

Cosa fare allora di fronte a tutto ciò? Forse aveva ragione il pastore Roselein Faccio, quando raccontava dell’occasione che ebbe di poter parlare faccia a faccia con Berlusconi, dopo aver cenato e cantato con lui e Apicella: regalare il Vangelo e pregare. Infatti quando ci troviamo a figure politiche che sono state di spessore, come lo è stato il Cavaliere per l’Italia, forse il nostro interrogativo dovrebbe essere proprio questo: quanto il Vangelo è stato rispecchiato, quanto è stato possibile annunciarlo, quanto abbiamo, nell’entusiasmo dell’adesione o del respingimento delle sue idee politiche, guardato a Cristo ed al suo progetto per l’umanità che va “oltre” la politica e che non può essere incarnato da nessuno.

Pensare a Berlusconi oggi mi ha fatto riflettere su questo e su come gli evangelici dovrebbero occuparsi di politica e occupare lo spazio sociale che gli è dato, non aspettando profeti o uomini della Provvidenza ma, come ci ricordava T. P. Rossetti, cercando il bene comune di tutti coloro che abitano la nostra Nazione.

 

Valerio Bernardi – DIRS GBU