Asclepio e Mammona. Del virus e di come procedere
Tom Wright
Forse la domanda più vitale di tutte, e che dovrebbe essere in cima a tutte le conversazioni serie ai più alti livelli tra chiesa, stato e tutte le parti interessate [in questa pandemia], è come andremo avanti, quale che sarà la «nuova normalità». Alcune persone hanno espresso la pia speranza che quando tutto ciò passerà avremo una società meno ostile e più gentile. Pagheremo le nostre infermiere di più. Ci prepareremo a dare più tasse per sostenere il Servizio Sanitario, e daremo di più per aiutare il movimento degli hospice. Ci farà piacere così tanto godere dell’aria fresca, non inquinata dalle migliaia di auto e aeroplani, che vorremo viaggiare di meno, e passare più tempo con la famiglia e i vicini. Celebreremo i nostri servizi di protezione civile, i nostri corrieri e tutte le persone che hanno badato a noi.
Mi piacerebbe pensare che ciò fosse vero. Temo, però, che non appena le restrizioni saranno tolte ci sarà una corsa ad iniziare di nuovo le nostre faccende come possiamo e, a ogni modo, è anche giusto e opportuno che sia così. Nessuno che è disperato per il rischio di fallire ci penserà due volte a usare nuovamente l’auto o l’aereo, se ciò sarà d’aiuto. Ci è stato detto in tutto i modi possibi che gli effetti economici del lockdown sono già catastrofici e potrebbe andare ancora peggio. Il problema è quindi abbastanza simile alle decisioni tragiche che i leader si trovano ad assumere in tempo di guerra: pensate a Churchill durante il Blitz, che doveva decidere se sacrificare quell’unità per la salvezza di quest’altra, e se mandare messaggi in codice al nemico che avrebbe bombardato quelle case al posto di quegli edifici pubblici. Nel momento in cui scrivevo eravamo concentrati ancora sullo «stare in sicurezza», con costi enormi in termini di fallimenti, disoccupazione, e malessere sociale. Le grandi elargizioni per coloro che sono nel bisogno da parte del Governo avranno come risultato, prima o poi, quello di dover ripagare. È chiaro che se il dibattito sarà tra coloro che considerano la morte come il peggiore dei risultati possibili e coloro che vedono invece la rovina economica come il peggiore di tutti gli eventi possibili, allora la conseguenza sarà un duro dialogo tra sordi.
Come nell’antico mondo pagano, anche oggi un’epidemia fa sì che la gente si chieda: «Quali degli dei sono adirati? Come li possiamo placare?». Man mano che il secolarismo contemporaneo sta sempre più rivelando la sua filigrana pagana, è affascinante immaginare il nostro presente dilemma come un conflitto tra Asclepio, il dio della guarigione, e Mammona, il dio del denaro. Mammona, naturalmente, chiedeva di solito sacrifici umani; ed è per questo motivo che i più poveri tra i poveri sono oggi i più a rischio nell’attuale emergenza sanitaria. Forse non è una cosa malvagia che adesso sia il turno di Asclepio, sebbene Marte, il dio della guerra e Afrodite, la dea dell’amore erotico, non sono mai molto distanti. Sicuramente non si tornerà totalmente all’imperativo della guarigione, perché il nostro dio favorito, Mammona, ci ha richiamato all’altro versante, non vedendo l’ora di avere più sacrifici umani.
Se tutto questo viene affrontato in maniera puramente pragmatica, come se la macchina dello Stato fosse, appunto, una macchina e niente più, piuttosto che il saggio lavoro di mediazione tra esseri umani viventi, il risultato sarà prevedibile. Il debole andrà di nuovo al muro. Come succede di solito. Dopo la crisi finanziaria del 2008, le banche e i grandi affari, avendo accettato enormi quantità di denaro per il loro salvataggio, sono tornate rapidamente ai loro vecchi standard, mentre le parti più povere degli stati occidentali (Gran Bretagna nel testo originale, ndt) sono diventate più povere e sono rimaste così. Qualcuno dovrebbe levarsi e declamare non una ramanzina ma il Salmo 72. Questa è la lista delle priorità che la chiesa dovrebbe articolare, non soltanto a parole ma con proposte pratiche da mettere in cima all’ordine del giorno:
«O Dio, da’ i tuoi giudizi al re e la tua giustizia al figlio del re… Portino i monti pace al popolo, e le colline giustizia! Egli garantirà il diritto ai miseri del popolo, salverà i figli del bisognoso, e annienterà l’oppressore![…] [Il giusto governante] libererà il bisognoso che grida e il misero che non ha chi l’aiuti. Egli avrà compassione dell’infelice e del bisognoso e salverà l’anima dei poveri. Riscatterà le loro anime dall’oppressione e dalla violenza e il loro sangue sarà prezioso ai suoi occhi» (Sal 72:1–4; 12–14).
Tutto ciò potrebbe essere oggetto di derisione, quasi si trattasse di un pensiero velleitario. Ma questo è ciò che la chiesa nella sua massima espressione ha sempre creduto e insegnato, e che la chiesa ha sempre praticato stando sul fronte.
Nei primi giorni della chiesa gli imperatori romani e i governatori locali non sapevano molto di che cosa fosse realmente il cristianesimo. Tuttavia sapevano che questo strano movimento aveva persone chiamate “vescovi” che sottolineavano sempre i bisogni dei poveri. Non sarebbe bello che le persone oggi avessero la stessa impressione?
Pertanto, cosa significa tutto ciò in un mondo in cui alcuni di noi si trovano rinchiusi per un leggero fastidio mentre altri stanno ancora affollando i campi profughi nelle città del terzo mondo in cui il «distanziamento sociale» è facile quanto andare sulla luna? Dobbiamo pensare globalmente e agire localmente ma, nel fare entrambe le cose, lavorare con guide delle chiese di tutto il mondo per cercare politiche che prevengano una folle corsa al profitto con il diavolo che si prende gli ultimi. Naturalmente, nel mezzo di tutto ciò, occorre rafforzare l’Organizzazione Mondiale della Sanità e insistere che tutti i paesi del mondo seguano scrupolosamente le sue politiche e i suoi protocolli. Ci sono, senza dubbio, alcuni quesiti importanti che devono essere posti alle superpotenze mondiali che hanno usato la crisi attuale come occasione per dare spettacolo e fare altri giochi politici. Si sente il rumore delle trasmissioni elettroniche, mente i canali di «fake news» stanno facendo gli straordinari.
In tutto questo quadro, torno al tema del lamento. Non è forse un caso che il Salmo 72, che contiene il programma messianico che pone i poveri e i bisognosi in cima alla lista, sia seguito immediatamente dal Salmo 73, che si lamenta che il ricco e il potente si stanno comportando nella maniera solita. Forse questo è come siamo costretti a vivere: intravedendo ciò che dovrebbe essere e lottando contro la maniera in cui le cose sono realmente. Tuttavia, l’unica maniera di vivere con queste cose è pregare di mantenere la visione e la realtà l’una al fianco dell’altra in quanto gemiamo con il gemito di tutta la creazione, e come lo Spirito geme con noi in maniera tale che la nuova creazione possa sorgere. Ciò che ci occorre adesso è qualcuno che faccia in questo momento di grande sfida quello che Giuseppe fece alla corte di faraone; analizzare la situazione e ipotizzare una prospettiva per orientarsi verso di essa. Ci servono subito uomini di stato, leadership sagge, con guide cristiane in preghiera che prendano il posto l’uno accanto all’altro, per pensare alle sfide che affronteremo nei prossimi mesi sia avendo una visione sia realistticamente. Potrebbe essere che nei giorni a venire vedremo segni di nuove, reali possibilità, nuove maniere di operare che rigenereranno vecchi sistemi e ne inventeranno di nuovi e migliori, che potremo quindi riconoscere come segni della nuova creazione che stiamo aspettando. O forse, semplicemente, torneremo al «tutto come prima», alle vecchie polemiche, alle solite stantie e superficiali analisi e soluzioni.
Se ci sediamo solo e aspettiamo per vedere, e incrociamo le nostre braccia perché le nostre chiese sono chiuse o perché è chiuso il nostro club di golf o la nostra azienda ha sospeso le attività, allora probabilmente le solite forze riprenderanno il controllo. Mammona è una divinità molto potente. I nostri leader sanno cosa fare per calmarlo. Se fallisce lei, c’è sempre Marte, il dio della guerra. Possa il Signore salvarci dai suoi artigli. Se dobbiamo scappare da queste forze oscure, allora dobbiamo essere vigili di fronte ai pericoli e prendere le nostre iniziative attivamente e in preghiera. Se nel giardino vengono piantati dei fiori è poco probabile che crescano dei rovi.
Non sta a me dire ai leader della chiesa (anglicana), per non parlare dei leader di altre comunità di fede, il modo in cui dovrebbero pianificare i prossimi mesi, cosa dovrebbero fare per fare pressione sui governi. Tuttavia quelli tra noi che guardano e aspettano e pregano per le nostre guide nella chiesa e nello Stato devono usare questo tempo di lamento come un tempo di preghiera e speranza. Quello per cui speriamo è anche una saggia e intraprendente leadership umana che, come quella di Giuseppe in Egitto, porterà politiche nuove e di risanamento e azione nell’ampio e ferito mondo di Dio:
«Manda la tua luce e la tua verità, perché mi guidino, mi conducano al tuo santo monte e alle tue dimore. Allora mi avvicinerò all’altare di Dio al Dio della mia gioia e della mia esultanza; e ti celebrerò con la cetra, o Dio, Dio mio! Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio» (Sal 43:3–5).
Tratto dal libro Dio la pandemia e noi. Implicazioni teologiche e conseguenze pratiche, Edizioni GBU, 2020. Ora in edizione ebook.