Tornando da Seul. Prime riflessioni

E’ passata una settimana da quando sono ritornato in Italia dopo aver partecipato al quarto congresso di Losanna a Seul-Incheon, probabilmente quello numericamente più significativo dei quattro (più di 5000 rappresentanti provenienti da tutto il mondo) e che si è concluso con una cerimonia di chiusura che ha portato alla firma (per chi voleva) di un patto di collaborazione nelle azioni per la missione cristiana nel mondo. 

Che sensazioni rimangono in mente di quanto avvenuto? Cercherò di riassumerle partendo da quello che personalmente ho fatto. Mi sono ritrovato al Congresso (come era anche successo a Città del Capo) nella doppia veste di partecipante e di membro della stampa che poteva, per questo, accedere all’ufficio stampa ed alle conferenze stampa giornaliere che erano tenute nel primo pomeriggio. Allo stesso tempo, come partecipante, ho potuto essere un Table Leader, ovvero ho condotto le discussioni nel mio tavolo che era composto da sei partecipanti che provenivano da continenti e nazioni diverse. Il lavoro è stato faticoso ma mi ha permesso, penso, di avere uno sguardo più approfondito su quanto avvenisse ed ho avuto la possibilità di un maggiore scambio di opinioni con diversi fratelli provenienti da tutto il mondo.

La prima riflessione parte proprio da qui: il Congresso di Losanna è sicuramente la fotografia del cristianesimo globale e dei suoi cambiamenti. Se è vero che i numeri mostrano che esiste ancora una prevalenza del mondo anglosassone (la rappresentanza nordamericana era del 25%, un quarto dei partecipanti), la presentazione che si è data del mondo cristiano ed i relatori provenienti da tutti i continenti hanno dato una bella idea di un’opera che agisce in modo globale. Lo stesso mio tavolo (composto di 6 persone) nel suo piccolo rappresentava tre continenti ed almeno quattro realtà diverse del mondo evangelico. 

Il secondo punto è quello del livello collaborativo. La proposta che viene fuori da Seul è quella di cercare di fare “rete”. Chris Wright (che era stato l’estensore dell’Impegno di Città del Capo e che è comunque parte attiva nel processo di Losanna) durante una delle conferenze stampa ha più volte usato la parola network ed ha anche ribadito che Losanna è un movimento che vuole essere di ausilio alle chiese ed alle missioni per proclamare il Vangelo senza sovrapporsi ad esse, ma aiutandole in un’opera che mostra oggi tutta la sua complessità, dovendo affrontare una situazione del mondo che appare, complessa, policentrica e pluralistica.

La terza osservazione ha a che fare con due questioni che sono apparse fondamentali: lo sguardo verso il futuro e le nuove generazioni e l’idea che il Vangelo non può essere solo annunciato dai “professionisti” (le persone che si dedicano a tempo pieno al lavoro di predicazione), ma deve essere soprattutto annunciato da coloro che sono impegnati anche in una vocazione che è diversa da quella dell’annuncio. Avendo negli ultimi decenni avuto a che fare con il mondo GBU, conoscendo molto bene il mondo degli adolescenti e dei giovani adulti, comprendo che oggi probabilmente la sfida maggiore è proprio, almeno in Occidente (ma guardando anche all’Asia Orientale non solo), quello di un annuncio che trova più forti resistenze nelle giovani generazioni che trovano il messaggio evangelico forse poco accattivante. L’obiettivo non raggiunto di avere una rappresentanza del 40% di leader evangelici sotto i 40 anni, rimane un segno su cui bisognerebbe discutere e riflettere. Il richiamo poi ad uno dei principi del mondo protestante che si è fatto in una delle giornate, quello che si riferisce al sacerdozio universale dei credenti che impegna tutti nell’annuncio del Vangelo, penso sia uno dei richiami più interessanti per il mondo italiano, dove coloro che operano per il Vangelo quanto meno in modo bivocazionale sono tantissimi. Ricordare, partendo da una lettura di Atti degli Apostoli che anche uno dei più importanti annunciatori del Vangelo come Paolo avesse un lavoro secolare (all’occorrenza) non è affatto secondario in un mondo dove, talvolta, la professionalizzazione per il Vangelo, prendendo il sopravvento fa dimenticare come i luoghi di lavoro siano fondamentali per quello che facciamo e per gli incontri che possiamo fare. La testimonianza all’esterno delle comunità quindi è stata vista come un atto fondamentale.

La quarta osservazione riguarda i documenti che sono stati prodotti per questo Congresso. Il Report e lo Statement sono dei punti riflessione importanti. Il primo è un vero e proprio lavoro di ricerca che sonda lo Stato di salute del cristianesimo, dividendo i problemi anche per aree geografiche, individua 25 punti critici (di uno in particolare parleremo nei prossimi articoli), e fa delle proposte per far sì che, nel giro di una generazione queste criticità vengano superate. Lo Statement, invece, attraverso una lettura del presente, una rilettura dell’Impegno di Città del Capo, individua sette emergenze del mondo odierno che richiedono ancora maggiore attenzione e che mostrano come il mondo evangelico di oggi comprenda perfettamente il momento critico in cui ci troviamo e cerca, anche attraverso un’attenta analisi teologica, di comprendere cosa si può realmente fare. Se il Report potrebbe essere considerata l’analisi socio-antropologica (sempre con una solida base biblica), lo Statement è il cuore teologico, che, come abbiamo già affermato in un precedente articolo, mi sembra si orienti verso un evangelismo “progressivo”, nel senso che, partendo dal dato scritturale, guarda in avanti alle prospettive che possono rendere più efficiente la missione in un momento critico che il mondo sta attraversando. I due documenti meritano di essere ampiamente letti e di divenire oggetto di riflessione esattamente come lo sono stati quelli precedenti e ad essi si collegano.

La quinta osservazione riguarda le criticità. Il mondo evangelico è sempre più policentrico (in questo congresso la presenza pentecostale era sicuramente aumentata) e, proprio per questo motivo (di questo siamo anche convinti) non esistono in esso discorsi autoritari o punti umani di riferimento se non per la loro autorevolezza. Mi pare che la discussione che è iniziata sui due documenti, le critiche che sono sorte a seguito di alcune affermazioni di alcuni relatori facciano parte sicuramente dello spirito del mondo evangelico e siano parte integrante del cosiddetto Spirito di Losanna, che deve sempre rispettare la pluralità di voci e che deve sempre avere (come dal primo Losanna che si richiamava idealmente al Congresso di Edimburgo del 1910) come suo scopo precipuo il ritrovo di un’unità che abbia come priorità l’annuncio del Vangelo.

Se, infatti, qualcosa rimarrà del Congresso di Seul è proprio questo: l’impegno che ognuno dei partecipanti ha preso e di ogni credente a continuare a proclamare il Vangelo sapendo che si tratta di un’operazione complessa, fatta in un mondo molteplice con diversi problemi ed in cui lo Spirito di Dio agirà attraverso di noi.

                                                                                                                                                             Valerio Bernardi – DIRS GBU

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