Ma il vangelo non è solo una transazione
Dal cuore al tutto del vangelo: non solo morire per il peccato
Per il movimento iniziato da Gesù poche cose sono preziose come il vangelo. La parola vangelo significa «buona notizia». È il sermone del movimento di Gesù. Il suo messaggio centrale è la buona notizia dell’amore e dell’iniziativa di Dio non solo per salvarci dall’inferno ma anche per farci entrare in una corretta relazione con lui. La tesi di questo libro è che il vangelo è una buona notizia e ha al centro una ritrovata relazione con Dio. È da quando sono diventato cristiano in collegio, all’università del Texas, che presento questo messaggio. È stato al centro del mio primo impegno ministeriale quale responsabile di Young Life presso la Scuola superiore di Austin. È al centro della missione della chiesa nel mondo. Se chiediamo che messaggio ha portato Gesù, la risposta breve è semplicemente questa: ha portato la buona notizia dell’arrivo dell’atteso governo di liberazione di Dio. Sperimentare il regno predicato da Gesù equivale a sperimentare la presenza di Dio. Gesù è morto perché la sua opera potesse spianare la strada a una nuova azione della grazia di Dio (Tt 2:11–14)1. Davvero una buona notizia!
Quando però ascolto alcuni che oggi predicano il vangelo, non sono sicuro di ascoltare una buona notizia. A volte ascolto un invito terapeutico (Dio ci farà sentire o stare meglio). Altre volte sento parlare così tanto del prezzo per il peccato pagato da Gesù, che il vangelo sembra limitato a una transazione commerciale, all’eliminazione di un debito. O magari ne sento parlare come di una sorta di cura canalare spirituale. Altre volte ancora la presentazione che ascolto dà l’impressione che il vangelo riguardi il modo per scampare a qualche cosa proveniente da Dio e non qualche cosa da vivere con lui. Altre presentazioni mi danno l’idea di un Gesù venuto a cambiare la politica di questo mondo. Presentazioni politiche di questo tipo m’inducono a chiedermi perché Dio non abbia mandato Gesù a Roma piuttosto che a Gerusalemme. Nessuno di questi è il vangelo che vedo nella Scrittura, anche se alcuni vi si avvicinano più di altri.
Questo libro è scritto nella convinzione che la chiesa abbia perso chiarezza sull’obiettivo del vangelo. Sono qui a proporre una teologia biblica del vangelo, un’operazione che non penso sia stata fatta, con queste modalità. Ripercorrerò i temi chiave che si accompagnano alla narrazione evangelica, nell’intento di presentare i testi chiave e di esaminarli per rispondere alla domanda: che cosa dice la Bibbia sul vangelo? L’obiettivo è quello di riscoprire il vangelo come buona notizia, un punto che la chiesa di oggi rischia di perdere di vista.
Se la chiesa è nebulosa sul vangelo allora corre il rischio serissimo di perdere la sua ragion d’essere. Un messaggio evangelico fuorviante priva la chiesa del suo prezioso impatto sul mondo. Nulla porta più velocemente al suo collasso un’istituzione del dimenticare la ragione per cui esiste. Una chiesa che porta un’infinità di messaggi rischia di tradursi in una chiesa che non ha nessun messaggio da portare. In buona sostanza in molti ambienti il vangelo è andato perduto e ovunque questo avvenga la chiesa soffre, il popolo di Dio ne rimane disorientato e al mondo viene a mancare ciò di cui ha così disperatamente bisogno: fare esperienza della presenza di Dio. Peggio ancora, quanti vengono in chiesa perdono di vista la vera ragione per cui sono lì e cos’è che dovrebbero fare per Dio. Avere un vangelo poco chiaro equivale al cercare di dirigersi verso qualche meta sconosciuta senza avere una mappa; ci sono buone possibilità che non arriviate dove si suppone che stiate andando.
Mi riprometto di osservare da vicino il vangelo così come lo presenta il Nuovo Testamento. Ne ricercheremo i tratti essenziali, delineando, lungo il percorso, le caratteristiche chiave che gli sono proprie. Presteremo anche attenzione al tono che accompagna il messaggio e ci chiederemo se il modo con cui presentiamo il vangelo è importante come quello che diciamo a suo riguardo. Fra gli obiettivi di questo libro c’è anche quello di riscoprire, riaffermare un messaggio che ha tanto da offrire ai singoli individui e a un mondo bisognoso. Una chiesa consapevole di che cosa è la buona novella che presenta e di quale sia il modo adeguato di presentarla, ha l’opportunità di essere essa stessa una buona notizia per un mondo spiritualmente bisognoso che spesso cerca Dio a tastoni ma fatica a trovarlo.
La croce: il punto di partenza, non l’intero messaggio
Premessa fondamentale del nostro studio è che, pur essendo la croce il centro del vangelo, la morte di Gesù per il peccato non è il vangelo nella sua interezza. Di fatto limitarsi a parlare della morte di Gesù per il peccato o perfino a parlare della morte di Gesù per il peccato e della sua risurrezione, significa presentare solo la metà, circa, del messaggio del vangelo. Noi predichiamo la croce perché è al centro del vangelo e rende estremamente semplice parlarne e presentarlo. Così facendo facciamo eco a Paolo che nell’Epistola ai Corinzi ricorse all’immagine della croce per riassumere e descrivere la sua prospettiva del messaggio del vangelo.
In 1 Corinzi 1:23 Paolo sostiene di predicare «Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia». Per alcuni questo testo e molti altri simili che si trovano negli scritti paolini mostrano che la croce è il vangelo. Per esempio in 1 Corinzi 15:3–5, Paolo riassume il vangelo nel fatto che Cristo «morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa». Di nuovo: la croce è al centro del messaggio del vangelo. Come possiamo ipotizzare che la croce non sia tutto quello che c’è da dire sul vangelo, dal momento che Paolo se ne serve evidentemente quale suo compendio?
Quando in questa prima parte della prima Epistola ai Corinzi Paolo si riferisce alla croce, il termine croce fa da elemento centrale e da sineddoche per tutto quello che l’opera di Gesù comporta. Una sineddoche è una parte che rappresenta il tutto. Si menziona un singolo elemento centrale per descriverne la totalità. Se, per esempio, parlo della legge e dei profeti, sto parlando dell’Antico Testamento nella sua totalità. Se parlo di cinquanta capi di bestiame sto parlando di cinquanta mucche complete di capi, zoccoli, corpi e talloni, non solo di cinquanta teste. Allo stesso modo quando qui Paolo parla della croce sta usando questa parola come una sineddoche per indicare la totalità del vangelo. La morte di Gesù, però, non è la totalità del vangelo più di quanto la testa di una mucca non ne costituisca la totalità. Certo è di vitale importanza. Il vangelo non potrebbe esistere senza la croce più di quanto una mucca potrebbe vivere senza testa. Rimane comunque il fatto che gli eventi del primo fine settimana di Pasqua non sono tutta la storia.
1 Corinzi 1:30 è molto eloquente quando spiega che essere in Gesù Cristo (l’effetto che si produce quando si beneficia del vangelo) fa tutt’uno con l’accesso alla sapienza, alla giustizia alla santificazione e alla redenzione di Dio2. In 2:2 conoscere Gesù, colui che è stato crocifisso, vuol dire conoscerlo a tutti questi livelli.
Perché questo distinguo è così importante? Questo è per l’appunto il tema di questo libro. La maggior parte delle presentazioni del vangelo da me ascoltate si concentrano spesso esclusivamente sulla croce. Il vangelo è prospettato principalmente, se non esclusivamente, come una transazione commerciale da sperimentarsi in un preciso momento di tempo. Credere, o esercitare fede, significa avviare quella transazione e realizzare il vangelo. Ora a rendere complesse le cose è il fatto che c’è una transazione; fa parte del vangelo e ci permette di sperimentare la buona notizia di Dio; su questo vangelo, però, come si evince dai testi paolini relativi alla croce, c’è da dire di più.
Il pericolo, nel considerare o nel predicare il vangelo solo come una transazione, è che una volta fatto l’“accordo”, il credente possa sentirsi come se avesse controllato e avesse fatto i compiti: il vangelo ha garantito la salvezza e scongiurato l’inferno. Come però spero di dimostrare nei capitoli che seguono, questo costituisce in realtà solo il punto di partenza della buona notizia di Dio.
C’è modo allora di proclamare nella morte di Gesù per il peccato un elemento chiave del vangelo, senza però perdere la prospettiva globale di tutto ciò che il vangelo è? È mia speranza che possiamo recuperare, soffermandoci sulle componenti di ciò che è associato al vangelo, quello che spesso si perde come buona notizia, non soltanto nella predicazione del vangelo ma anche nella risposta che ne scaturisce. Punto di partenza del vangelo è una promessa: una relazione nello Spirito. È raffigurato come un pasto e un lavaggio: la tavola del Signore e il battesimo. Affonda le sue radici in un atto unico che risponde a un bisogno unico: la croce. È inaugurato come un dono che è il segno dell’arrivo della nuova era: la Pentecoste. È affermato nell’agire divino e nella Scrittura: Dio che opera in modo unico e indiviso per mezzo di Gesù. È abbracciato in una conversione che sfocia nella fede: l’invocazione del nome di Gesù. Comporta un diverso tipo di potenza ed è pensato per tradursi in un modo di vivere: la riconciliazione e la potenza di Dio per la salvezza. La mia preghiera è che riflettere su questi temi possa dare adito a una rinnovata comprensione di come funziona il vangelo del regno, promuovendo quel tipo di fede e di cammino che Dio desidera da quanti sono suoi. Nel momento in cui apprezziamo tutto quello che Dio ha fatto per noi nel vangelo, ci troviamo nella posizione ideale per amare e servire Dio e il suo vangelo con maggiore fedeltà. Partiamo dunque dalla promessa che si pone all’inizio della nostra indagine, vale a dire, dal modo con cui Giovanni Battista ci ha preparato il terreno quando ha presentato Gesù e le ragioni per cui è venuto.
Darrell L. Bock, Alla riscoperta del vero vangelo perduto, Edizioni GBU, 2017 (chiedi a info@edizionigbu.it)
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