Le scuole residenziali per le popolazioni autoctone in Canada: tra colonialismo, assimilazione, razzismo e riconciliazione
di Massimo Rubboli
(già professore di Storia dell’America del Nord all’Università di Genova)
Le chiese cristiane canadesi e le scuole residenziali per le popolazioni autoctone
tra colonialismo, assimilazione, razzismo e riconciliazione
Nelle ultime settimane, dopo il ritrovamento nell’Ovest canadese di centinaia di resti di bambine/i e ragazze/i indiane/i in tombe anonime nei siti di scuole residenziali cattoliche (215 all’Indian Residential School di Kamloops, in British Columbia, e 715 all’Indian Residential School di Marieval, in Saskatchewan, e un numero ancora imprecisato alla St. Eugene’s Mission School nei pressi di Cranbrook, in British Columbia)[1] e gli incendi dolosi di alcune chiese cattoliche, anche i nostri mezzi d’informazione hanno reso nota una pagina tragica della storia del Canada, che non era conosciuta al di fuori dei confini canadesi.
Io ne ero venuto a conoscenza per la prima volta a fine settembre del 1989, quando al Vancouver International Film Festival vidi Where the Spirit Lives[2], un film diretto da Bruce Pittman, che raccontava la storia di una ragazza indiana che, alla fine degli anni Trenta, era stata rapita insieme ad altri da un villaggio della tribù Kainai nel sud dell’Alberta per essere educata in una «scuola residenziale» anglicana per bambini indiani. La scuola faceva parte della rete di circa 130 centri di rieducazione, disseminati in ogni provincia (ad eccezione del New Brunswick e di Prince Edward Island) e territorio [Fig. 1], creati dal Ministero federale per gli Affari Indiani – sulla base dell’Indian Act del 1876, che permetteva il controllo sulle popolazioni autoctone – allo scopo di integrare le comunità indigene (oggi designate ufficialmente come First Nations) nella società bianca anglosassone. La gestione di queste scuole era affidata alle principali chiese canadesi: la Chiesa cattolica, la Chiesa anglicana, oltre ai Metodisti e ai Presbiteriani che, nel 1925, formarono con altri la Chiesa unita del Canada.
Questa politica di assimilazione, basata su nozioni di superiorità razziale, culturale e spirituale, risaliva ai seminari per bambini indigeni create dai missionari cattolici nella Nuova Francia[3] ed era continuata sotto il dominio coloniale britannico nell’Ontario meridionale (Upper Canada). Con la colonizzazione dei territori indiani negli anni seguenti la Confederazione, il governo canadese creò un sistema di scuole residenziali che mirava ad accelerare l’integrazione dei popoli indigeni nella società dei colonizzatori bianchi. Il sistema durò fino al 1997, quando chiuse l’ultima scuola.
La revisione storiografica
Un anno prima del film di Pittman, erano stati pubblicati due testi che avevano sollevato il velo di silenzio che avvolgeva questo argomento: Indian School Days di Basil H. Johnston, che è l’autobiografia di un ex allievo, e Resistance and Renewal: Surviving the Indian Residential School di Celia Haig-Brown, il primo tentativo di ricognizione storica. Fino agli ultimi due decenni del Novecento, le informazioni erano in gran parte limitate alle testimonianze dei sopravvissuti che circolavano nelle comunità dei nativi, dei meticci e degli inuit, mentre nelle storie generali del Canada si trovavano solo riferimenti marginali alle scuole residenziali.
Da allora, l’esperienza delle scuole residenziali per nativi ha attratto sempre più l’attenzione di ricercatori, politici e istituzioni religiose e politiche. Grazie al lavoro di alcuni storici[4], che hanno lavorato negli archivi ma hanno anche raccolto le testimonianze dei sopravvissuti, la storia delle scuole residenziali è stata gradualmente inserita nella narrazione dominante della storia del Canada e questo sta producendo un cambiamento nella coscienza collettiva, anche se è difficile dire se a questa integrazione faccia seguito un processo di riconciliazione tra le comunità indigene e non indigene.
Questa tragica vicenda è stata a volte presentata come «genocidio»[5], cioè distruzione deliberata e violenta di una razza, paragonandola addirittura all’Olocausto. Si trattò di una forma di «genocidio culturale»[6] o, più precisamente, di un programma di ingegneria sociale per l’assimilazione culturale dei popoli nativi, che mirava anche a privarli dei diritti ancestrali sulle loro terre per sfruttarne le ingenti risorse. Tuttavia, il termine genocidio è usato nel diritto internazionale per definire i crimini di genocidio e tali crimini, secondo la convenzione approvata dalle Nazioni Unite, comprendono anche “il trasferimento forzato dei figli da un gruppo ad un altro” [Forcibly transferring children from the group to the other group][7].
È opportuno ricordare che il sistema delle scuole residenziali era stato già messo sotto accusa molto tempo fa. Il dott. Peter Bryce, che nel 1904 era stato nominato “ispettore medico” nei Dipartimenti dell’interno e degli affari indiani, nel 1907 visitò 35 di queste scuole e ne denunciò le pessime condizioni sanitarie e l’alto tasso di mortalità, dovuto in gran parte alla tubercolosi. Nel 1922, Bryce pubblicò Un crimine nazionale[8], ma la sua denuncia non servì a modificare la situazione.
La struttura iniziò a essere smantellata soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso e nel 1996 fu nominata una Royal Commission con il compito di investigare sulla violenza e gli abusi nelle scuole residenziali. Il governo federale, sulla base del rapporto della commissione, oltre a chiedere scusa a quanti avevano subito violenze fisiche o psicologiche nelle scuole residenziali, istituì una Fondazione per la cura degli aborigeni con una dotazione di 350 milioni di dollari. Infine, nel 2008, il primo ministro canadese Stephen Harper presentò scuse ufficiali per le scuole residenziali.
La posizione delle chiese
Anche le chiese che avevano gestito questo programma federale hanno preso posizione, anche se con grave ritardo, con dichiarazioni riguardanti il tentativo di imporre valori culturali europei ai popoli aborigeni e le violazioni dei diritti umani commesse nella gestione delle scuole residenziali[9].
Soltanto nel 1986, il pastore Robert Smith – moderatore della Chiesa unita del Canada – chiese scusa a nome della sua chiesa con queste parole:
Molto prima che il mio popolo arrivasse in questa terra, il vostro popolo era qui […]. Nel nostro zelo di annunciarvi la buona notizia di Gesù Cristo, siamo stati insensibili al valore della vostra spiritualità. Abbiamo confuso la cultura occidentale con la profondità e l’ampiezza del vangelo di Cristo. Abbiamo imposto la nostra civiltà come condizione per l’accettazione del vangelo […]. Vi preghiamo di perdonarci.
Nel 1998, il moderatore Bill Phipps ha rinnovato le scuse da parte della Chiesa unita
per il dolore e la sofferenza causato dal coinvolgimento della nostra chiesa nel sistema delle scuole residenziali indiane. Siamo coscienti di una parte del danno che questo sistema di assimilazione, crudele e mal concepito, ha provocato per le Prime Nazioni del Canada. […] Ci troviamo nel mezzo di un lungo e doloroso percorso di riflessione sulle grida che non abbiamo sentito o non abbiamo voluto sentire e su come abbiamo agito come chiesa. Mentre percorriamo questa difficile strada di pentimento, riconciliazione e guarigione, ci impegniamo a non usare mai più il nostro potere come chiesa per offendere altri con atteggiamenti di superiorità razziale e spirituale.
Per la Chiesa cattolica, che non fu coinvolta in quanto tale ma attraverso alcuni suoi ordini regolari, nel 1991 il rappresentante delle Oblate di Maria Immacolata chiese perdono «per essere stati coinvolti nell’imperialismo culturale, etnico, linguistico e religioso che faceva parte della mentalità con la quale i popoli europei affrontarono i popoli aborigeni». Papa Benedetto XVI, durante l’udienza privata con la delegazione dell’Assembly of First Nations del Canada svoltosi in Vaticano nell’aprile 2009, espresse soltanto “dispiacere” per il trattamento dei minori indiani nelle scuole cattoliche. Durante l’udienza del 29 maggio 2017, seguendo la raccomandazione della TRC , il premier canadese Justin Trudeau ha chiesto a papa Francesco di presentare scuse formali per il ruolo avuto dalla Chiesa cattolica negli abusi avvenuti nelle scuole residenziali. Il 28 marzo 2018, Trudeau è stato informato da una lettera di un rappresentante della Chiesa cattolica in Canada che il papa non avrebbe presentato scuse ufficiali.
Tuttavia, nei saluti del dopo Angelus di domenica 6 giugno 2021, il papa ha parlato della “sconvolgente scoperta dei resti di 215 bambini, alunni della Kamloops Indian Residential School”, avvenuta circa due settimane prima. Il papa l’ha definita una notizia scioccante, che ha traumatizzato il popolo canadese, al quale Francesco ha espresso,
così come tutta la chiesa cattolica del Canada, la propria vicinanza, affidando le anime di quei bambini morti e pregando per le famiglie e comunità autoctone canadesi affrante dal dolore. […] La triste scoperta accresce ulteriormente la consapevolezza dei dolori e delle sofferenze del passato. Le autorità politiche e religiose del Canada continuino a collaborare con determinazione per fare luce su quella triste vicenda e impegnarsi umilmente in un cammino di riconciliazione e guarigione. Questi momenti difficili rappresentano un forte richiamo per tutti noi per allontanarci dal modello colonizzatore e anche delle colonizzazioni ideologiche di oggi e camminare fianco a fianco nel dialogo e nel rispetto reciproco e nel riconoscimento dei diritti e dei valori culturali di tutte le figlie e i figli del Canada.
Ma perché Francesco non ha presentato scuse ufficiali? Perché, come ha spiegato Jeremy M. Bergen, professore associato di studi religiosi e teologici al Conrad Grebel University College dell’Università di Waterloo, in Ontario, e autore di Ecclesial Repentance: The Churches Confront Their Sinful Pasts (T&T Clark, New York 2011), esiste un importante ostacolo teologico. Infatti, in base alla teologia tradizionale cattolica, la chiesa può agire collettivamente ma,
come Corpo di Cristo, non può peccare. Soltanto i membri, compresi i leader, peccano. Quando dei cattolici fanno qualcosa di buono, ciò può essere ascritto alla chiesa; quando fanno del male ad altri, si tratta di azioni individuali. Si crede che papa Giovanni Paolo II abbia chiesto scusa per molti mali commessi dalla chiesa, ma non ha mai detto che la chiesa sia stata l’agente del peccato. Nel 2000, in un ‘Giorno di perdono’ molto pubblicizzato, chiese il perdono di Dio per migliaia di anni di peccati commessi da membri della chiesa, ma non dalla chiesa come istituzione. […] Nel 2013, l’arcivescovo di Vancouver Michael Miller ha dichiarato, di fronte alla TRC: “Voglio chiedere scusa sinceramente e profondamente […] per l’angoscia causata dalla condotta deplorevole di quei cattolici che furono responsabili di maltrattamenti di ogni tipo in queste scuole residenziali”. […] Alla stessa logica è improntata la dichiarazione fortemente inadeguata di papa Francesco sulla “sua vicinanza al popolo canadese che è stato traumatizzato” dalla recente scoperta scioccante a Kamloops. La dichiarazione colloca la chiesa come un’entità a fianco del trauma, ma non come un’entità responsabile di averlo causato. […] Una chiesa che è per definizione senza peccato è un’astrazione problematica, sganciata dalla storia e dall’esperienza. Affermazioni che si fondano su questo presupposto non sono collegate alla profonda complicità della chiesa in un sistema distruttivo. A meno che la chiesa apertamente e precisamente non riconosca la sua colpevolezza, chi potrebbe credere che la chiesa stessa possa essere un agente attivo di riconciliazione?[10]
Il 6 agosto 1993, Michael Peers, primate della Chiesa anglicana, chiese scusa ai nativi durante la National Native Convocation svoltasi a Minaki, in Ontario:
Accetto e confesso davanti a Dio e a voi i nostri fallimenti nelle scuole residenziali. Abbiamo mancato nei confronti, vostri e di Dio. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che abbiamo fatto parte di un sistema che tolse i vostri figli alle vostre famiglie. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che abbiamo cercato di modellarvi a nostra immagine, privandovi del vostro linguaggio e dei segni della vostra identità. Mi dispiace, più di quanto riesca a dire, che nelle nostre scuole così tanti siano stati abusati fisicamente, sessualmente, culturalmente ed emotivamente. A nome della Chiesa anglicana del Canada, presento le nostre scuse.
Un anno dopo, con una dichiarazione adottata dalla 120ª assemblea generale, anche la Chiesa presbiteriana chiese perdono per il proprio coinvolgimento:
Riconosciamo che la politica ufficiale del governo canadese era quella di assimilare i popoli aborigeni alla cultura dominante e che la Chiesa presbiteriana del Canada collaborò con questa politica.
Riconosciamo che le radici del male che abbiamo fatto si trovano nelle posizioni e nei valori del colonialismo europeo occidentale e nel presupposto che ciò che non era fatto a nostra immagine doveva essere scoperto e sfruttato. […]
Chiediamo perdono per la complicità della nostra chiesa in questa politica, […] chiediamo il perdono di Dio […] e chiediamo anche il perdono dei popoli aborigeni.[11]
Le chiese battiste canadesi, divise in varie denominazioni, pur non essendo state direttamente coinvolte nella gestione delle scuole residenziali, hanno presentato le loro scuse alle popolazioni indigene. Nel 2019, Battisti della costa atlantica hanno dichiarato:
Come Battisti canadesi del Canada atlantico riconosciamo che non abbiamo vissuto in una giusta relazione con i popoli indigeni di questa terra. Mentre abbiamo affermato in teoria che tutti sono creati a immagine di Dio (Ge. 1:27), non abbiamo riconosciuto nella pratica la dignità inerente, data da Dio, dei popoli indigeni. Nonostante l’ospitalità offerta ai nostri avi, non abbiamo riconosciuto l’antica rivendicazione dei loro diritti su questa terra. Non abbiamo mantenuto le promesse fatte dai nostri antenati sotto forma di trattati, in particolare i Trattati di pace e amicizia (1725-1779). […]
Come parte della più ampia cultura canadese noi abbiamo, coscientemente e incoscientemente, difeso ingiustizie sistemiche come l’appropriazione della terra, il trasferimento forzato di comunità indigene, la creazione del sistema delle riserve e il continuo sfruttamento economico e politico. […] noi riconosciamo e confessiamo la nostra complicità nelle scuole residenziali e nel più ampio sistema di colonialismo.[12]
Le chiese restarono in silenzio di fronte all’usurpazione delle terre, al confinamento degli indiani nelle riserve e all’assimilazione forzata perché consideravano queste azioni necessarie alla realizzazione di un progetto politico e religioso e se stesse come le fedeli esecutrici di questo progetto. Le chiese, seppure tardivamente, sembrano aver preso coscienza che la loro partecipazione al genocidio culturale rappresentato dalle scuole residenziali vada iscritta e letta nel contesto della loro adesione e condivisione della politica coloniale canadese che, a sua volta, costituiva un’espressione di quella dell’impero britannico. In altre parole, si sono rese conto di aver indebitamente identificato il mandato ad evangelizzare con l’assimilazione alla cultura anglosassone, il vangelo di Gesù Cristo con l’ideologia dei colonizzatori.
NOTE
[1] St. Eugene’s, Marieval, Kamloops: What we know about residential schools’ unmarked graves so far, “The Globe and Mail”, 6 luglio 2021, https://www.theglobeandmail.com/canada/article-residential-schools-unmarked-graves-st-eugenes-marieval-kamloops/ (ultimo accesso 7 luglio 2001).
[2] Sull’argomento, ci sono stati poi molti altri film e documentari, come We Were Children (2012), Clouds of Autumn (2015), Wawahte. Stories of Residential School Survivors (2015) e Remembering the Forgotten Children (2017).
[3] Vedi Peter A. Goddard, Converting the ‘Sauvage’: Jesuit and Montagnais in Seventeenth-Century New France, “The Catholic Historical Review”, 84, (April 1998), n. 2, p. 225; Alain Beaulieu, Convertir les fils de Caïn: Jésuites et Amérindiens nomades en Nouvelle-France, 1632-1642, Nuit Blanche Éditeur, Québec 1990, pp. 143-145.
[4] Particolarmente rilevanti sono James R. Miller, Shingwauk’s Vision: A History of Native Residential Schools, University of Toronto Press, Toronto 1996, e John S. Milloy, A National Crime: The Canadian Government and the Residential School System, 1879 to 1986, University of Manitoba Press, Winnipeg 1999.
[5] Il termine genocidio è stato usato di recente anche nella stampa italiana, ad es. da Marco Cinque in Il Genocidio dimenticato, “Alias – il manifesto”, 10 luglio 2021, pp. 1-3. Per una prospettiva critica, vedi gli articoli di Luca Codignola, I bambini indiani morti in Canada per un tentativo di assimilazione fallito, “Panorama.it” (6 luglio 2021), <https://www.panorama.it/news/dal-mondo/bambini-indiani-morti-in-canada> (ultimo accesso 8 luglio 2001), e Jacques Rouillard, Le ‘génocide’ des Autochtones, “Le Devoir” (6 juillet 2021), <https://www.ledevoir.com/opinion/idees/615969/le-genocide-des-autochtones>.
[6] A questa conclusione è arrivata la “Commissione per la verità e la riconciliazione”, istituita nel 2007 con il mandato di fare piena luce sulle violenze e gli abusi subiti dai minori nelle scuole residenziali e di suggerire un percorso di riconciliazione. Vedi Honouring the Truth, Reconciling for the Future. Summary of the Final Report of the Truth and Reconciliation Commission of Canada, https://publications.gc.ca/site/eng/9.800288/publication.html (ultimo accesso 8 luglio 2001).
[7] La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York il 9 dicembre 1948 con la risoluzione 260 A (III).
[8] Peter Bryce, The Story of a National Crime: Being an Appeal for Justice to the Indians of Canada, the Wards of the Nation, Our Allies in the Revolutionary War, Our Brothers-in-Arms in the Great War, James Hope & Sons, Ottawa 1922.
[9] Peter G. Bush, The Canadian Churches’ Apologies for Colonialism and Residential Schools, 1986-1998, “Peace Research”, 47 (2015), n. 1-2, pp. 47-70.
[10] Jeremy M. Bergen, The theological reason why the Catholic Church is reticent to apologize for residential schools, 8 giugno 2021, “The Globe and Mail”, https://www.theglobeandmail.com/opinion/article-the-theological-reason-why-the-catholic-church-is-reticent-to/ (ultimo accesso 8 luglio 2001).
[11] The Confession of the Presbyterian Church in Canada, as adopted by the General Assembly, June 9th, 1994, https://www.wmspcc.ca/wp-content/uploads/PCC-Confession-English.pdf (ultimo accesso 8 luglio 2001).
[12] CBAC Resolution and Recommended Action Items in Response to the Truth and Reconciliation Commission (2019), https://oasis.baptist-atlantic.ca/wp-content/uploads/2019/03/CBAC-Resolution-2019-in-Response-to-the-Truth-and-Reconciliation-Commission.pdf (ultimo accesso 8 luglio 2001).
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