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Il mondo visto dalla croce

di Giacomo Carlo Di Gaetano

Il mondo visto dalla croce

Matteo 27:27–56
È noto che i Vangeli prediligono una prospettiva peculiare non solo per l’intera vicenda terrena di Gesù, Colui che all’unanimità poi confessano come Figlio di Dio e Messia. Ma anche per il racconto dell’evento che occupa buona parte dei Vangeli, vale a dire il racconto della Passione.

L’evento che annualmente la cristianità ricorda sotto la rubrica di Pasqua non ha poi smesso di alimentare una storia degli effetti che percorre la letteratura, le arti, fino al cinema (come non ricordare The Passion di Mel Gibson).

Il Vangelo di Matteo è interessato a presentare il dramma di Gesù nei suoi collegamenti con l’AT, (Salmo 22 e 69 e altre reminiscenze). Il dramma che Gesù vive non è il dramma di un malcapitato le cui ambizioni si scontrano con la cruda realtà della politica e con la forza di occupazione romana. Una vicenda tutt’al più da elencare in sterili e anonimi annali di qualche storico dell’antichità giudaica. Anche se, a giudicare dall’importanza che vi attribuisce il principale di tali storici, Giuseppe Flavio, la crocifissione di Gesù non aveva neanche il blasone della rilevanza nella storia politica e sociale della Giudea di quel tempo (si veda il famoso Testimonium Flavianum, Antichità 18.63). Nell’ottica di Matteo sul Golgota si riflette un tema dell’AT, quello del giusto, ingiustamente sofferente, che nella sua sofferenza si identifica con la causa di YHWH. Questa condizione motiva l’azione giustificante di Dio; e sarà questa, l’azione giustificante di Dio per e in Cristo, la prospettiva che rappresenterà il cuore della riflessione successiva degli apostoli. Ma anche il filo rosso che avvolge la narrazione matteana, se si allarga la prospettiva dal racconto della passione fino a includere tutto il Vangelo. Se n’era ben accorta Dorothy Sayers incentrando la sua pieces teatrale proprio sul Vangelo di Matteo (The man born to be a King, 1942). Questa prospettiva globale e neotestamentaria sull’evento enfatizza il suo valore salvifico e universale.

E tuttavia, non è necessario attendere tutta la riflessione apostolica posteriore, o percorrere in lungo e in largo tutto il Nuovo Testamento; la si può intuire nello scorrere della narrazione. D’altronde, sono noti i tentativi della predicazione cristiana di cogliere “tutto” negli stessi scarni resoconti del Golgota. Si pensi, per esempio, alla tradizione omiletica sulle Sette parole di Gesù alla croce, un elenco che viene fuori dall’affiancamento di tutte e quattro le narrazioni:

1) Padre, perdona loro … (Lc 23:34). 2) Oggi sarai con me in paradiso … (Lc 23:43). 3) Donna, ecco tuo figlio … (Gv 19:26–27). 4) Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato … (Mt 27:46; Mc 15:34). 5) Ho sete … (Gv 19:28). 6) È compiuto .. (Gv 19:30). 7) Padre nelle tue mani rimetto … (Lc23:46).

Per questa Pasqua 2024, segnata da guerre e imbarbarimento della vita planetaria (si pensi agli appuntamenti elettorali dei prossimi mesi che potrebbero cambiare il volto dell’intero vivere associato dell’umanità) proponiamo tre piccole istantanee che emergono dalla combinazione dei dialoghi e di alcuni particolari del racconto di Matteo. Queste istantanee potrebbero ben essere il risultato di uno sguardo che si eleva non di molto rispetto allo spazio visivo dei protagonisti, quel tanto che basta per capire come si vede il mondo dalla croce.

Il mondo visto dalla croce

  1. Nelle ingiurie si rivela il rifiuto del mondo
  2. Nel grido di Gesù si rivela la logica della sostituzione
  3. Nella constatazione del centurione si rivela l’arrivo di un mondo nuovo

 

  1. Nelle ingiurie si rivela il rifiuto del mondo

I vari personaggi che parlano appartengono principalmente a tre gruppi sociali: le forze di occupazione; il potere religioso e l’opinione pubblica. È possibile però intravedere un quarto soggetto la cui prospettiva fa capolino nelle frasi di diversi attori: è il potere diabolico

Le ingiurie si concentrano nello spazio temporale dell’agonia di Gesù. Esse fanno leva sulla presunta e millantata potenza di Gesù, una potenza che era stata allusa da Gesù sia nei fatti sia nelle parole (distruggi e salvato, confidato e affermato). Le ingiurie chiedono una instanziazione di questa potenza: è ora il momento della sua manifestazione. Sono ingiurie perché colui che potrebbe rovesciare la situazione non fa niente in quanto, questa è l’insinuazione, non può fare proprio niente! Ma per il loro tramite si esprime la molteplicità dei volti del mondo materiale e soprannaturale che ha rifiutato e continua a rifiutare il Figlio di Dio.

1a L’ingiuria che proviene dal potere (v. 37) Al di sopra del capo gli posero scritto il motivo della condanna: Questo è Gesù, il re dei Giudei.

L’iscrizione romana rivelava la condanna (insurrezione), e ironizzava sulle aspettative giudaiche. Finché c’era Roma, questa era la fine che facevano tutti i presunti Re. La targa riprendeva però la medesima convinzione espressa dai Magi al capitolo 2 del Vangelo. Questi personaggi, muovendosi da una direzione opposta a quella dei Romani che venivano da Occidente, vale a dire, partendo dall’Oriente, giunsero a Betlemme proprio in cerca del Re dei Giudei che è nato (2:2). Già in quella circostanza si era profilato uno scontro tra Gesù, allora un bambino e il potere; in quel caso quello di Erode.

Abbiamo dunque una prima mappa della reazione del potere o dei potenti:
– i Romani animati da una visione del potere che non ammetteva deroghe. La lex aveva il primato sulla considerazione della persona e delle circostanze (si pensi ai dubbi di Pilato).
– I Magi, rappresentanti forse di un potere che faceva leva su altri elementi e stimolati da un potere sovrannaturale (la stella) si erano resi disponibili a confrontarsi con la novità.
– In mezzo c’erano i Giudei che nella loro ostinazione complicano, a loro svantaggio, la situazione: parlano addirittura del Re d’Israele (v. 42).

Non è difficile discernere quale avrebbe dovuto essere l’approccio corretto del potere, allora come in tutti i tempi. Ancora oggi il potere non sa quale posizione assumere nei confronti del vangelo.

1b L’ingiuria che proviene dal mondo della religione (v. 40) Tu distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci

Il tempio era un altro fuoco spaziale del dramma che si stava vivendo. L’ingiuria è religiosa in quanto si interessa al cuore del “potere religioso”. Veicolava una falsa accusa: Gesù aveva sicuramente preannunciato la fine del tempio, ne aveva denunciato l’uso distorto (una casa di ladri piuttosto che, una casa di preghiera, cap. 21) ma non aveva mai manifestato intenti iconoclastici. I suoi discepoli, all’indomani della risurrezione, avranno il tempio come luogo privilegiato per esporre la nuova via. Gesù aveva in mente il ruolo globale del tempio, non solo per i Giudei o per gli antichi Israeliti (tabernacolo). Doveva essere il luogo in cui avrebbero dovuto ritrovarsi e rivolgersi tutte le esperienze dell’umanità, dove Dio incontrava gli uomini (Dt 12; Is 66).

In quel preciso momento, mentre lo ingiuriavano, egli stava sostituendo, senza toccare una pietra del tempio, il ruolo di quel santuario, la sua fisionomia: l’ora è venuta, aveva detto alla samaritana, in cui l’adorazione e l’incontro con Dio non sarebbero state più geo–localizzate; sarebbe stato il suo corpo, quello sì, distrutto e ricomposto in tre giorni (Gv 2:19) il nuovo luogo dell’incontro.

Ma in quel momento il mondo della religione non era interessato a riforme e scatti in avanti; era intento a difendere le proprie prerogative, in una mortale e sempre ricorrente alleanza con il potere.
Il mondo della religione ha interesse a perpetrarsi e a difendere i propri simboli. Ed è per questo che rifiuta la croce o al più la rende consona alle sue prerogative. Si pensi al ruolo delle tradizioni pasquali come messo in luce dagli studi di antropologia e di etnologia.

1c L’ingiuria che proviene dal demonio (v. 40) Se sei Figlio di Dio. (v. 43) Si è confidato in Dio: lo liberi ora, se lo gradisce, poiché ha detto: “Sono Figlio di Dio”.

L’altra ingiuria colpisce l’identità di Gesù facendo uso di una delle citazioni del Salmo 22. Il suo affidarsi a Dio al punto da chiamare Dio PADRE. Questo gli viene rinfacciato. Si tratta di un’ingiuria chiaramente diabolica in quanto metteva in discussione l’identità di Gesù. Non aveva voluto dimostrare la sua figliolanza al comando del diavolo (cap. 4)? Ora questa presunta identità e il suo legame millantato venivano chiaramente smascherati.
Abbiamo qui una visione del divino alla mercé della voluttà umana (a parlare sono infatti uomini), che esprime un travisamento del messaggio della salvezza e per questo espressione del demoniaco. L’ingiuria procede in questi termini:

se salvi te stesso, noi ti crederemo (v. 42)
Avrebbe potuto essere vero? Che fede sarebbe stata quella di chi, semplicemente, prendendo atto del miracoloso, si piega? Con le bestie dell’Apocalisse accade qualcosa del genere: esse riscuotono il successo e vengono seguite grazie alla loro identità miracolosa, seducente (Ap capp. 12 e 13). Nell’ingiuria demoniaca c’è sempre una credenza parzialmente corretta. Nell’ipotetica fede degli oltraggiatori sarebbe mancata l’altra faccia della fede che salva, il ravvedimento. Gesù aveva annunciato il regno di Dio predicando la fede e il RAVVEDIMENTO.

La formula avrebbe dovuto essere ed è sempre: – Mi pento, credo che tu mi puoi salvare!

1d L’ingiuria che proviene dal mondo dagli uomini (v. 42) Ha salvato altri e non può salvare se stesso; (vv. 47 e 49)… Costui chiama Elia … lascia vediamo se Elia viene a salvarlo (vv. 47 e 49)

Se ai Romani interessa il potere, se ai capi sacerdoti interessa il tempio, se a Satana interessa il legame Padre/Figlio, agli uomini, a tutti gli uomini, possiamo dire a tutte le creature, tranne Satana, interessa la SALVEZZA, nelle sue varie forme.

Negli ultimi anni si parla di salvare il pianeta; di fronte agli ultimi eventi bellici si parla di salvare la pace. Si è anche parlato di salvare l’umanità … dal virus. Tutti scenari che richiamano il tema della salvezza. Ma quale salvezza? È in primo luogo una salvezza all’occidentale: una prospettiva di vita florida, la possibilità di coltivare ambizioni per sé e per i propri cari. Questa è la salvezza che abbiamo ricercato nel mezzo della pandemia e ora della guerra. Ma gli scenari di crisi rivelano che questa salvezza è insufficiente. Da Kiev a Gaza la gente non scappa solamente o non vuole solo scappare; prega! Ecco allora che il tema della salvezza nei termini biblici riaffiora sempre e nuovamente. I dissacratori dicono a Gesù sulla croce, ha salvato tanti! È vero ed era anche vero che uno lo aveva appena salvato o forse lo stava per salvare, il ladrone!

Ma qui il Salvatore non può salvare se stesso. In realtà non deve salvarsi; se salvasse se stesso, se lo facesse, allora non potrebbe salvare più nessun’altro. Non è spiegata, ma qui agisce potentemente, e per il tramite dell’ingiuria, la logica della sostituzione: uno si perde perché gli altri possano salvarsi. Ecco che nell’ingiuria del mondo degli uomini, che in continuazione chiede conto a Dio degli elementi che lo farebbero fiorire ma che gli mancano – la presenza del male – proprio nel silenzio mortale di Dio si delinea l’unica vera strada della salvezza biblica. Questa strada è indicata dal grido che mette a tacere le rimostranze del mondo che rifiuta.

 

  1. Nel grido di Gesù si rivela la logica della sostituzione (V, 46) Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato

La logica della sostituzione non può essere solo descritta. È accaduto altre volte che qualcuno si è sostituito ad altri (soprattutto in tempi di guerra – Salvo D’Acquisto). Bisogna penetrarla, la logica della sostituzione, e a questo serve il grido di Gesù. Il grido non esprime dolore fisico (non ce la faccio più) ma denuncia una condizione spirituale: l’abbandono. Quando Dio abbandona, giudica; il grido esprime il dolore per il giudizio di Dio Padre. Questo grido apre uno squarcio profondissimo, e incomprensibile per noi, nella vita intima di Dio: uno dei misteri più impenetrabili di tutti i vangeli! Come può essere che i due confidenti (v. 43), così intimamente uniti da non poterli distinguere, ora si trovino separati;

– uno, il Padre, chiamato solo in questa circostanza da Gesù con l’appellativo, Dio, che si separa
– l’altro, il Figlio, lasciato solo nella sua sofferenza.

Che cos’è che faceva orrore al Padre tanto da doversene distanziare? Si trattava di qualcosa che sicuramente, per poter essere gestito, per poter consentire e permettere la salvezza, andava trattato proprio a quella maniera. Gli apostoli, e noi con loro, troviamo la risposta nelle straordinarie parole che Isaia aveva riservato al Servo dell’Eterno, che doveva essere Israele, ma che alla fine è risultato essere un suo figlio illustre e giusto (Isaia 53:3sg.)

Quella condizione, essere lì come oggetto dell’abbandono di Dio, non era per uno qualunque. Non era per un eroe: gli eroi dell’AT erano al più tipi di chi poteva veramente sostituirsi. Figuriamoci se poteva essere un profeta, seppur blasonato come Elia. No! Quella condizione la poteva occupare solo uno per il quale essa era inconcepibile, che non poteva stare lì. Giovanni Battista aveva chiamato Gesù Figlio dell’uomo, aveva profetizzato, cioè, che avrebbe esercitato il giudizio.

Ecco perché si parla di sostituzione e non semplicemente di un mettersi al posto di …. La sostituzione implica non solo che quel posto non gli spettava, perché era giusto; ma soprattutto implica che solo lui poteva prendere su di se quello che era sugli altri. Perché Lui, in quel posto non avrebbe mai dovuto starci! Pietro lo spiegherà bene: egli ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce! (2:24). Ecco la salvezza: qualcuno perde affinché tanti vincano. La sostituzione, infatti, apre un mondo nuovo.

 

  1. Nella constatazione del Centurione si rivela l’arrivo di un mondo nuovo (v. 54) «Veramente, costui era Figlio di Dio»

Guardando dalla croce, un Gesù che aveva bevuto fino all’ultima goccia del calice dell’ira di Dio, vede ora un mondo nuovo che si apre. Se prima i soldati si erano protesi verso Gesù per prenderlo in giro adesso, alla fine, uno di essi si inginocchia idealmente riconoscendo l’errore commesso (veramente) e riconoscendo la natura di Gesù che era fatta oggetto di insulti.

Per lui, per il Centurione, non è stato necessario che scendesse dalla croce. È bastato il modo in cui è morto, è bastato cogliere l’atmosfera e ciò che si stava palesando in quel momento per riconoscere che sì, qui c’era il Figlio di Dio. Riconoscere la natura di Gesù (Figlio di Dio) qui alla croce, vuol dire riconoscere il Figlio di Dio che porta i peccati e dunque rappresenta una chiara manifestazione della fede salvifica. Non una fede demoniaca (se ti salvi ti crediamo).

E per di più, a riconoscerlo ora era un pagano, un romano, non uno dei Giudei, per i quali Gesù era venuto. Ecco il mondo nuovo che si apre, il mondo della missione, della messe matura che non sarà più ora limitata al solo campo d’Israele, ma all’intero mondo (cap. 28).

Il Centurione è l’avanguardia di questo mondo nuovo, un mondo in cui il solo riconoscimento dell’identità di Gesù (chiunque confessa il nome del Signore sarà salvato) unito al ravvedimento metterà in moto il meccanismo della sostituzione. Il centurione ha preceduto tutti quanti noi.

 

Ecco allora, in conclusione, il quadro completo del mondo visto dalla croce:

  1. Nelle ingiurie si rivela il rifiuto del mondo
  2. Nel grido di Gesù si rivela la logica della sostituzione
  3. Nella constatazione del centurione si rivela l’arrivo di un mondo nuovo