La morte per via delle mille ferite inferte dalla vergogna
Curt Thompson
La vergogna. La sua anima, gli eetti che produce e i possibili rimedi
Alla ricerca di una definizione
Cos’è, dunque, esattamente quella realtà cui diamo il nome di vergogna? Come riconoscerla, quando si presenta? … Possiamo ricorrere a varie parole (umiliazione, imbarazzo, indegnità, disgrazia, etc.). …rappresentazioni dell’effettivo stato neuropsicologico in cui entriamo quando la sperimentiamo.
… l’aspetto più radicato e potente della vergogna è il suo carattere emozionale. Certo, può emergere in risposta a informazioni ricevute e dare quindi l’impressione di avere la propria origine nella cognizione; la sua forza, però, sta nell’esperienza percepita che ne abbiamo.
[ma]… non considero la vergogna come una contaminazione neutra o benigna.
Non si tratta semplicemente di provare un’emozione che alla fine si traduce in espressioni come «mi sono comportato male». … questo fenomeno è il mezzo fondamentale su cui il male fa leva, la scaturigine di tutto ciò che possiamo definire peccato.
La mia ipotesi è che il rovinoso intento del male non trovi attuazione più vigorosa (quantunque subdola, in linea con la sua abilità di stratega) che tramite lo sfruttamento della vergogna. Nella prospettiva di un’antropologia biblica, la vergogna non è un giocatore neutrale in campo. Non è un mero artefatto della nostra esistenza o semplicemente uno dei tanti diversi stati emozionali affioranti dalle nostre reti neurali.
Ciò che inizia nella mente come separazione delle sue diverse funzioni e porta all’isolamento di ciascuna di loro dalle altre, alla fine trova espressione nel mondo delle relazioni, dalla famiglia, alle amicizie, alle comunità, alle nazioni, lasciandole ferite e incapaci di ricostruire qualsiasi senso d’integrità relazionale. Ecco la vergogna nella sua peggiore espressione. Non c’è bisogno di credere in Dio per sapere che è così che funziona. Ci siamo passati tutti e sappiamo che questo senso di dis–integrazione è reale.
… quando gli individui non trattano la vergogna da loro provata sul piano personale, gli esiti potenzialmente esplosivi alla fine possono fagocitare interi pezzi d’umanità.
Vergogna e persona
Maturiamo un profondo senso di vergogna prima e più di quanto non elaboriamo una spiegazione razionale di una serie di eventi.
Per qualcuno la vergogna può celarsi nei particolari della sua vicenda, oppure può essere di pubblico dominio. Può essere oscurata dal linguaggio proprio di altre emozioni a noi più familiari come la tristezza, l’ira, la delusione o perfino il senso di colpa. Oppure può essere una presenza avvertita profondamente e consapevolmente in molte delle nostre ore di veglia. Possiamo avere eventi, immagini, parole o espliciti sentimenti che la rappresentano. Può essere compulsiva o può darsi che ne scorgiamo appena la sua azione nel mezzo del nostro tran tran quotidiano. Alla fine, però, tutti ci troveremo ad affrontare questo spettro… A quanto pare, non c’è modo di evitarlo.
Quando la vergogna dà il peggio di sé produce una sensazione e un tono emozionale privi di eguali. Pochi stati emozionali possono competere con lei per quanto riesce a essere insopportabile e dolorosa.
Nell’allontanare lo sguardo e il corpo da qualcuno, per esempio, cerchiamo di ridurre il più velocemente possibile il sentimento dolorosamente acuto di essere esposti. Anche se non ce ne rendiamo conto, stiamo rinforzando l’idea profondamente sentita, metabolizzata attraverso tratti della memoria implicita, di avere effettivamente ragione di vergognarci.
Ricordiamo che quando si tratta di disturbi dell’emotività, specie di qualche cosa così destabilizzante come la vergogna, il cervello farà tutto quanto è in suo potere per ridurre quel disagio il più velocemente possibile. In questo modo, la nostra reazione alla vergogna, che si tratti di un allontanamento fisico o dell’elaborazione della nostra narrazione, non fa che rinforzarla. … Vuole che raccontiamo le nostre storie in modo tale da essere noi la sola parte responsabile di quanto proviamo; vuole che coltiviamo l’isolamento, non le relazioni. Provo vergogna, quindi, perché devo vergognarmi.
La vergogna è presente ovunque ed è insita nel DNA dello sforzo narrativo umano. Possiamo anche figurarcela come un tutor personale. Immagina di avere a tua completa disposizione un tutor sensibile a ogni tua percezione, immagine, emozione, idea e attività. Immagina però che questo tuo tutor, la vergogna, non abbia buone intenzioni; che non si preoccupi di te ma d’infondere elementi non verbali e verbali di giudizio in ogni momento della tua vita. La parola tutor o tutore sulle prime può sembrare poco indicata dato che di solito si riferisce a qualcuno che ha a cuore il nostro migliore interesse. È così, però, che la vergogna funziona: è un lupo in veste d’agnello.
Non dobbiamo fare molta fatica a immaginare come un sostanziale senso di vergogna possa portarci a giudicare, nasconderci, metterci sulle difensive e isolarci. Non è così scontato comprendere che esporsi è la sola cosa necessaria per guarire dalla vergogna. Visto quanto ci sentiamo costretti ad allontanarci, ad attaccare noi stessi dall’interno o gli altri in risposta alla vergogna, non ci viene intuitivo un repentino movimento verso l’altro quale via d’uscita dal problema. Quando siamo in mezzo a una tempesta di vergogna, sembra sostanzialmente impossibile tornare a voltarsi per guardare in faccia qualcuno, anche qualcuno con cui altrimenti potremmo sentirci a nostro agio. È come se il nostro solo rifugio fosse il nostro isolamento; la prospettiva di mettere in piazza quello che proviamo, attiva le nostre previsioni di altra vergogna.
La vulnerabilità
… nessuno prova mai il morso acuto della vergogna a prescindere dall’iniziale interazione con qualcun altro che, pur senza avere forse nessuna consapevole intenzione di farlo, attiva la risposta della vergogna. Risultato: quantunque la vergogna riguardi soprattutto me, non riguarda mai solo me, neppure quando l’esperienza che ne ho sembra emergere in tutto e per tutto dalle profondità dei recessi della mia mente.
Quando, in presenza di qualcun altro, mi prende un senso di disagio, anche se è facile che attribuisca alla persona esterna alla mia pelle la responsabilità del mio turbamento, il vero problema è molto più vicino a me, perché in definitiva è dentro di me.
Abitiamo un mondo in cui abbiamo ereditato, geneticamente, epigeneticamente, generazionalmente e culturalmente la tendenza a nasconderci in risposta al timore indotto dall’evocazione della nostra vulnerabilità. Non, però, semplicemente della nostra vulnerabilità come un dato bensì come una percepita implicazione: l’imminente abbandono di cui stiamo per essere oggetto profetizzato dalla vergogna.
Un’esplosione distruttiva di vergogna influisce profondamente sul senso del sé di chiunque. Anche se, però, nella nostra esperienza la vergogna è una reazione interamente e autonomamente interna al nostro essere, essa emerge in risposta a un nostro incontro con qualcun altro.
Eppure, è nel movimento verso l’altro, verso la connessione con qualcuno di fidato, che veniamo a conoscere la vita e la libertà da questa prigione.
Paradossalmente, la soluzione sta nel fare proprio quello che la vergogna ci convince essere l’atto più pericoloso e minaccioso che potremmo compiere.
Noi saremo insufficienti. Nella nostra cultura, ammettere di non avere le nostre vite ben confezionate e impacchettate, di essere nel caos, di avere bisogno dell’aiuto di qualcun altro, è quasi una bestemmia. Ammettere di non conoscere qualche cosa, di non essere bravi in qualche cosa o di avere commesso un errore, essere vulnerabilmente conosciuti, non è certo qualche cosa in cui siamo maestri.
Abbiamo però il terrore della vulnerabilità necessaria proprio per questo contatto. La vergogna è la variabile che veicola tale paura del rifiuto di fronte alla vulnerabilità.
L’Altro
… come la tripartizione fra mente, cervello e relazionalità può essere distrutta dalla vergogna, allo stesso modo le relazioni sono lo strumento con cui la vergogna è controllata e guarita mediante il conseguimento di un attaccamento sicuro (eco di Dio che viene a noi incarnato in Gesù).
Per quanto allettante sia la speranza di poter eliminare la vergogna dalla nostra dieta relazionale, si tratta di un vano desiderio. La nostra speranza sta invece nel cambiamento del nostro modo di risponderle lungo il nostro comune cammino verso il regno di Dio, già presente anche se non ancora in tutta la sua pienezza.
Ecco quello che fa il Dio della narrazione biblica. Cerca. Riesce a trovarci. Nella nostra percezione, spesso si sta allontanando, lasciandoci al di fuori della sua mente. Questo forse dice più della nostra capacità percettiva che dei suoi movimenti e della sua presenza.
Non dobbiamo dimenticarcene: siamo fatti di polvere e respiro e la guarigione della vergogna implicherà necessariamente di operare diversamente con il nostro corpo. Ci muoveremo, quando prima eravamo letteralmente incapaci di farlo a causa della nostra paralisi emotiva. Parleremo quando prima tacevamo. Manifesteremo un concreto agire nel mondo reale, come Dio ha fatto in Gesù, dicendo agli altri di stendere le loro mani (Mc 3:5), di prendere i loro lettucci e camminare (Gv 5:11) e di andare a lavarsi (Gv 9:7). La guarigione della vergogna non è mai soltanto un’operazione interiore. (192)
… non si deve fare molta fatica a riconoscere la vulnerabilità di Gesù e la realtà del tentativo, da parte della vergogna, di farlo letteralmente a brandelli, riducendolo a una condizione di dis–integrazione.
Possiamo essere qualsiasi cosa: genitori, pastori, contadini, allevatori, giocatori di basket, falegnami, agenti di polizia, ingegneri delle strutture; queste attività le facciamo in risposta all’amore e alla vergogna in competizione fra loro per la nostra attenzione, in lotta per il controllo sulla nostra memoria, le nostre emozioni, le nostre percezioni e i nostri comportamenti. Queste due forze emotive governano l’universo e rappresentano la lotta fra il bene e il male. Dentro ciascuno di noi questi due stati emotivi, rappresentati dalla presenza dello Spirito Santo da un lato e da quell’eminenza grigia che è la vergogna dall’altro, sono in guerra per noi e la cultura che stiamo plasmando. Nello Spirito riecheggia la voce del nostro Padre che ci dice che siamo sue figlie e suoi figli; egli ci ama e si compiace in noi. Il nostro tutor, la vergogna, ci ricorda, a volte in modi eclatanti, altre volte in modi più sottili, che tut …..
Se però crediamo di fare parte di un grande arazzo che Dio sta intessendo, allora ogni momento in cui scegliamo consapevolmente di vivere in modo vulnerabile, esponendo la nostra vergogna in un contesto comunitario sicuro e salutare, mettiamo, con l’aiuto di Dio, un altro mattone nel suo regno che è al tempo stesso già e non ancora. Nel processo, narriamo la grande storia della speranza, della fede e della gioia, a dispetto del difficile lavoro necessario per portate un grande dramma al suo momento culminante. (230)
Abbiamo così chiuso il cerchio. Abbiamo studiato la natura fondamentale della vergogna e visto che non è un mero artefatto, bensì una componente dell’esperienza umana brandita intenzionalmente dal male, che se ne serve per dis–integrare, in modo subdolo e silenzioso, le nostre menti, le nostre relazioni e le nostre comunità. Abbiamo anche visto che la guarigione della vergogna comporta una nostra disponibilità a non essere così sciocchi da aspettare che sia lei a trovarci ma a stanarla noi (seguendo l’esempio di Gesù). Infine, abbiamo visto come le nostre abitudini narrative incomincino a casa, siano affinate nella famiglia di Dio e ci accompagnino poi in ogni ambito vocazionale da noi occupato. Osserviamo in questo modo come l’obiettivo che il male si prefigge in rapporto alla vergogna non sia semplicemente quello di rendere miserevoli le nostre vite interpersonali; egli vuole distruggere ogni cosa pensata da Dio per la bontà e la bellezza del mondo. Il suo intento non è solo quello di affossare la nostra creatività come artisti, ingegneri, insegnanti: vuole anche che ci sentiamo, semplicemente, scontenti di noi stessi.
(Curt Thompson)