Vivere e confrontarsi con …
Prima parte: Vivere.
di Giacomo Carlo Di Gaetano
Questo è lo schema del titolo degli ultimi Convegni Studi GBU. L’anno scorso (il 16° Convegno, 2023) è stato dedicato all’ateismo: Vivere e confrontarsi con l’ateismo.
Quest’anno (il 17° Convegno, che si terrà dal 31 ottobre al 3 novembre nella storica sede del Grand Hotel Montesilvano) il tema sarà “Vivere e confrontarsi con l’Islam“.
È possibile dire qualcosa sui due verbi, vivere e confrontarsi? Che idea intendono veicolare del rapporto dei cristiani con gli universi rappresentati da questi come da altri “ismi” (p.es. Islam – Islamismo).
Cominciamo con VIVERE
È indubbio che questo verbo non si limita alla vita della mente, che pur sempre vita è (si dice mente viva, vivace, sveglia …). Guarda a un orizzonte più ampio, al “mondo della vita”, come lo definiva un filosofo e che richiama tutto ciò che è pre – che sta prima – anche dell’intelligenza e dei suoi prodotti (pre–teorico).
I cristiani devono porsi il problema di come vivere insieme a … Il che implica che con i nostri “prossimi” condividiamo tutto. Andiamo insieme in autobus, compriamo nello stesso scaffale, partecipiamo alle riunioni di condominio, abbiamo i figli nelle stesse scuole votiamo alle stesse elezioni (speriamo il prima possibile anche per chi non è “di sangue” italiano – che brutta espressione!).
Dire “Vivere e (confrontarsi) con l’ateismo” significa dire, molto semplicemente, che viviamo insieme, in mezzo, al fianco a donne e uomini in carne e ossa che si professano atei e che, nelle migliori espressioni di questo “ismo” (Bertrand Russell?) vivono, o cercano di farlo, come se Dio non ci fosse.
“Vivere e (confrontarsi) con l’Islam”, va da sé, significa vivere insieme ai musulmani, con tutto ciò che questo comporta in termini di contaminazioni geo–politiche e sociali (immigrazione, terrorismo, educazione, culture materiali, rapporti di genere etc.).
Se dicessimo, per domani, “vivere e confrontarsi con la tecnologia”? Si potrebbe giungere anche a dire, in extremis, vivere insieme, con e al fianco di robot (?).
Postumanesimo!
Il verbo, mi pare, non fa altro che richiamare la precauzione di Gesù rivolta a Dio in preghiera e a noi comunicataci come rivelazione, e secondo la quale pur non essendo del mondo, per un meccanismo teologico glorioso ma complesso (siamo cittadini del cielo), siamo tuttavia NEL mondo (Gv 17 ma anche 1 Cor 7).
C’è dunque una lealtà da esprimere “al mondo” per la quale dovremmo scoprire o riscoprire molti insegnamenti. È esclusa l’ipotesi di scappare dal mondo.
Si tratta forse di ri–scoprire il creato? Non semplicemente facendo i creazionisti e vincendo qualche dibattito su creazione ed evoluzione. Neanche costruendo un “ordine creazionale” schiacciato sulle dimensioni bio–fisiche senza tener conto che il creato è continuamente ricreato dall’azione dell’uomo. Che non c’è solo la natura ma anche la cultura!
O ancora, di intepretare al meglio il “già” sperimentato dai seguaci di Gesù Cristo a cui è stata data assicurazione che il “Regno di Dio” è dentro di voi e, dunque, sulla base di quella assicurazione anticipare, nella totalità dell’esistenza, questa presenza che un giorno (altra assicurazione) sarà onnicomprensiva?
Per esempio vivendo e manifestando il “frutto dello Spirito” (Galati)
Oppure si tratta dello sperimentare in pieno il “non ancora” della redenzione, il che significa fare esperienza dell’incompletezza, della mancanza … e della speranza (maranatha) rispetto a ciò che è stato anticipato duemila anni fa con l’arrivo del vero Re (il regno di Dio si è avvicinato).
E nello stesso tempo fare esperienza dell’umiltà che ci suggerisce di tenerci lontani dalle teologie trionfalistiche, dai valori cristiani che vorrebbero fare del mondo, come è adesso, appunto, un mondo “cristiano”, magari ricorrendo alla politica, dimenticando che no, non siamo giunti ancora a regnare (1 Cor).
Oggi in tema di “vivere con …” stiamo assistendo a un clamoroso rovesciamento epistemologico. La presenza dei cristiani nel mondo sembra non sia più da esprimere con l’espressione “vivere con …” ma, al contrario, pare sia culturalmente e politicamente opportuno, finalmente, riflettere su come gli “altri” devono vivere con i cristiani. Quanto meno in Occidente.
È una vera e propria rivoluzione copernicana che non va però dalla terra ferma al sole al centro con la terra che gli ruota intorno. Ma torna indietro, dal sole fermo alla terra al centro e il sole che gli gira intorno; dalla sfera alla terra piatta! Un mondo a rovescio?
C’è un sintomo evidente di questo rovesciamento per cui, sembra, non dobbiamo più essere noi a vivere con … ma piuttosto gli altri a vivere con noi.
Lo ritrovo in una bella espressione di Pietro (trovano strano), che si trova nella prima delle sue Lettere neotestamentarie:
1 Pietro 4:1 Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che cioè colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, 2 per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio. 3 Basta già il tempo trascorso a soddisfare la volontà dei pagani vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle ubriachezze, nelle orge, nelle gozzoviglie e nelle illecite pratiche idolatriche. 4 Per questo trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza e parlano male di voi.
Pietro esprime la preoccupazione, per chi ha seguito Gesù Cristo, per il “tempo che resta da vivere nella carne”. Il discepolo dovrebbe comprendere che, sperimentando egli la stessa “sofferenza” di Gesù Cristo, a causa della rinuncia al peccato, ha da dedicare quel tempo, che poi sarebbe il tempo della nostra vita, a fare la volontà di Dio piuttosto che seguire le passioni degli uomini. Dovrebbe sapere infatti che ha già dedicato molto tempo a “soddisfare la volontà dei pagani”, e qui giù un tipico elenco neotestamentario di vizi che descrivono la società del primo secolo, di “gente senza Dio” (pagani, NVR): immoralità, insane passioni, ubriachezze, orge, bisbocce, abominevole venerazione degli idoli (NTV).
Che si fa allora? Non correte più dietro ai medesimi eccessi dice Pietro ai discepoli. E questo genera, NEI PAGANI, un clima di stupore e di meraviglia che, di conseguenza, trovando strano il comportamento dei cristiani, al pari di quello di uno straniero, invece di accoglierli, oltre a stupirsi, parlano male proprio di loro, dei cristiani.
Il senso si gioca tutto su una comune appartenenza dei termini relativi all’ospitalità dello straniero, che è “strano” perché si muove in modo eterogeneo nei confronti dei costumi della gente del posto, ponendo capo a due possibilità: essere accolto o respinto. In entrambe le possibilità questo strano (nel nostro caso i cristiani), creano stupore, perplessità, meraviglia … e ostilità.
A questo punto dobbiamo sottolineare che coloro che si stupiscono (e inveiscono e protestano e parlano male) sono i pagani; ciò che trovano strano è la rinuncia da parte dei cristiani a correre insieme a loro agli stessi eccessi mentre al contrario si adoperano a fare la volontà di Dio. I pagani alzano la voce e protestano; in qualche caso lo hanno fatto anche appellandosi alle autorità, scandalizzati dal comportamento dei cristiani.
I cristiani fanno altro. Neanche rispondono. Nel caso, “risponderebbero” della speranza che è in loro (3:15), per quello sono sono esortati a essere sempre pronti.
Torniamo a noi, oggi: Chi trova strano Chi?
Certo, là dove è in ballo l’integrità della vita dei discepoli (non le ipocrisie dell’ideologia Dio, patria e famiglia), come per esempio nelle terre di persecuzione, i “pagani” continuano a dire male, e non solo. Ma cosa accade qui in Occidente? I cristiani ora vestono i panni dei pagani e sono intenti a vociare contro i loro eccessi, che ora sono ritenuti strani, creano stupore (vedi ultime Olimpiadi di Parigi: il caso delle Drag Queen e della pugile algerina). I pagani, dal conto loro, molte volte, non corrono insieme ai cristiani ai loro eccessi (fanatismo, arroganza, spirito di superiorità). Tutt’al più continano a fare i pagani!
Noi non ci poniamo più nell’ottica di “vivere con …” loro, i pagani.
Pretendiamo che siano essi a vivere con noi!
E alle nostre condizioni!
Dobbiamo ri-scoprire che cosa significa “vivere con …”. Ben vengano a questo proposito le riflessioni di frontiera, contaminanti.
- Le riflessioni che ci ricordano che nel vivere con gli altri, con tutti, dobbiamo essere orientati dalla stella polare del vangelo, facendo bene allora a ricercare la pace con chiunque. Rinunciando alla spada (Gesù). O all’orgoglio tanto da far ingelosire gli altri (Rom 11:14); per noi evangelici, rinunciando all’affermazione della nostra identità “protestante” per esempio nell’Approccio Identitario al Cattolicesimo (AIC).
- Ben vengano le riflessioni che ci stimolano a vedere le continuità presenti nel mondo di Dio, non solo nell’universalità del peccato, ma anche nell’azione provvidente di Dio ovunque: anche nell’Islam?.
- Ben vengano le riflessioni che ci aiutano a fare autocritica. Che non attribuiscono il clima post-cristiano nel quale siamo ora immersi (l’aria che repiriamo) alla sciagura dell’Illuminismo o al genio perverso di Nietzsche; o all’evoluzionismo, etc.. Al contrario, riflessioni che si chiedono e ci chiedono: e le chiese dov’erano? Dov’erano nel mentre l’intellighenzia europea inveiva contro le ipocrisie e le contraddizioni del confessionalismo? Quando si chiudevano alle provocazioni della ricerca scientifica? Quando si voltavano dall’altra parte per non udire le rivendicazioni dell’universo femminile, etc.?
Vivere con … deve essere concepito come una vera e propria vocazione sociale, una vocazione nella quale i cristiani dovrebbero creare opportunità.
O forse è meglio dire, dovrebbero essere un’opportunità!
Vivere con …. a seguire: CONFRONTARSI CON …
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