Il teologo della speranza
Si è spento ieri, dopo 98 anni di vita su questa terra, il teologo riformato Jürgen Moltmann, uno dei massimi pensatori della seconda metà del XX secolo, che ha avuto il merito di influenzare non solo la teologia luterana e protestante mainline, ma anche quella evangelica, grazie ai diversi dottori di ricerca di area evangelica che si sono formati con lui.
Volevo partire da un mio ricordo per delineare brevemente il panorama dei suoi studi e della sua influenza. Giovane studente di filosofia entusiasta della propria ricerca (così si deve essere a 22 anni) mi rivolsi a lui per un colloquio chiedendo un suo parere sulla mia tesi di laurea. Devo dire che ne uscii deluso in parte perché criticò il mio interessarmi ad un pensatore come Martin Heidegger ed al suo rapporto con la teologia. Negli anni 1980 riteneva che la tematica dell’esistenza umana e del suo rapporto con il divino e della sua possibilità di decisione fosse “superata” dagli eventi. Oggi, cum grano salis, devo dire che in parte comprendo meglio le sue critiche ed il suo volersi posizionare al di là del dibattito teologico e filosofico che vi era stato nei paesi di lingua tedesca tra le due guerre e che sicuramente aveva prodotto grandi pensatori (mi riferisco a K. Barth, a Bonhoeffer ed a R. Bultmann) ma che aveva fatto vivere uno dei periodi più infausti della sua storia ad un Paese in cui il protestantesimo in realtà poco aveva fatto per fronteggiare il Nazismo (in qualche modo vi si era anche compromesso), era giusto anche perché bisognava creare un nuovo orizzonte di pensiero in cui muoversi ed in cui costruire una teologia che avesse una visione ottimista della vita.
Il punto di partenza del pensatore tedesco sarà duplice, come dovrebbe essere per chiunque si ponga il problema di parlare di Dio nel proprio: confrontarsi con il tempo presente e guardare alla tradizione da cui si proviene mettendo la riflessione sul testo biblico al centro. Il punto di riferimento teorico iniziale (perché da lì si andrà oltre) sarà il testo monumentale (tra l’altro poco letto in Italia) del filosofo marxista tedesco Ernst Bloch Il principio speranza. Bloch aveva pubblicato il suo libro negli anni 1950 ed aveva iniziato a concepirlo prima del secondo conflitto mondiale per concluderlo poco dopo, cercando di costruire un nuovo modello utopico che potesse dare una visione verso il meglio alla società che risorgeva dalle ceneri del secondo conflitto: lo stesso filosofo, benché ateo, aveva dato attenzione alla questione escatologica nel pensiero teologico. Questa intenzionalità di Bloch sarà ripresa da Moltmann nel suo primo grande libro teologico, Teologia della speranza, dove, con diretto riferimento all’opera del pensatore marxista, si dava spazio ad una delle cosiddette tre virtù teologali e si faceva divenire la speranza il perno di un nuovo modo di vedere teologico che avesse al centro la riflessione sulle cose ultime, sul Regno di Dio e sulla promessa di un mondo migliore. Pubblicato nel 1964 le reazioni furono positive da parte di alcuni che usarono il testo come spunto per una “nuova” teologia politica, più negativa da parte dei teologi “classici” del protestantesimo (come lo stesso Barth) che vedevano nel puntare alle cose ultime un esito poco realistico della teologia e poco centrato sul Solus Christus.
Bisogna però dare atto che il superamento di una certa teologia di origine riformata portò sicuramente dei frutti positivi anche nell’analisi del testo biblico e nella ripresa dei temi escatologici che erano stati in parte abbandonati dalla teologia protestante del XX secolo e che furono ripresi proprio in questo periodo. In parte per rispondere alle obiezioni mossegli agli inizi degli anni 1970 il pensatore tedesco pubblicò Il Dio crocifisso, che aveva come sottotitolo la Croce di Cristo come fondamento e critica della teologia cristiana. Sulla base di una lettura attenta dei testi biblici, Moltmann guarda alla morte di Cristo non dalla parte antropologica (ovvero quella che concerne il perdono dei peccati dell’uomo) ma dalla parte della sofferenza di Dio che perdona e che diventa il vero centro della teologia cristiana, la proposta di un “contropotere” di Dio rispetto ai soprusi degli uomini. L’opera susciterà anch’essa grande discussione, e, forse, talvolta si è dato troppo peso al suo valore nella teologia politica piuttosto che nella riflessione sul divino che rimane assolutamente importante.
Moltmann continuerà la sua riflessione volutamente non sistematica (nonostante il superamento del pensiero barthiano si ammette implicitamente l’impossibilità di poter scrivere una nuova Dogmatica completa, ma di potersi occupare soprattutto di argomenti fondamentali in opere singole) con riflessioni sulla Trinità (in Trinità e regno di Dio abbraccerà la visione economica della tre persone più che quella ontologica, ritenendola più utile per capire la dinamicità del divino), sulla Chiesa (La Chiesa nella forza dello Spirito) in cui si ribadirà l’importanza della terza persona della divinità per conferire il senso di comunione alla Chiesa e comunità paritaria, nel confronto con l’ebraismo (i suoi dialoghi con Pinchas Lapide sono tra i primi fatti da un teologo luterano con il pensiero ebraico dopo il Nazismo).
Quando lo incontrai nel 1985 era impegnato su un nuovo fronte, quello della costruzione di una teologia della creazione in stampo ecologista, anticipando di molti anni (almeno per l’Italia) una discussione “teologica” di problemi che oggi sono alla ribalta e su cui poca attenzione è stata data dal mondo evangelico. Il Creato va pertanto salvaguardato con attenzione e con cura e l’uomo è responsabile di fronte a Dio della cura del mondo in cui siamo stati posti. La teologia “verde” di Moltmann lo ha portato negli ultimi anni alla riflessione sui grandi temi dell’etica e, quindi, in una sorta di cerchio, ad un ritorno su quelle che possono essere considerate le cose penultime.
Tralasciando gli scritti autobiografici, quelli scritti con la moglie (Moltmann-Wendel) che si possono, insieme agli altri citati, tutti leggere in lingua italiana, data l’attenzione che è stata data a questo pensatore anche da parte del mondo cattolico postconciliare, volevamo soffermarci sul suo lascito nel mondo evangelico, citando almeno tre autori che ne hanno subito l’influenza. Il primo è John Stott che scrisse la Croce di Cristo anche in risposta ad un Cristo troppo “politico” e poco “annunciante” che poteva emergere dall’opera di Moltmann ma che ne subì l’influenza anche nell’organizzazione del Movimento di Losanna come momento di raccolta degli evangelici. Ancora più forte è stata l’influenza su due importanti pensatori odierni che sono Bauckham e Volf. Entrambi allievi di Moltmann con cui hanno studiato, hanno il primo continuato la sua opera nel campo dell’escatologia e della teologia della creazione, il secondo nel campo della teologia della Speranza e della Croce collegata alla riconciliazione, alla teologia politica ed al vivere con gioia e bene la vita che Dio ci dona. Quindi, a prescindere da quello che possiamo pensare su alcune sue interpretazioni dei testi biblici che potrebbero sembrare poco ortodosse, rimane un pensatore che ha attraversato la seconda metà del XX secolo ed il cui contributo è stato determinante nella formazione dell’odierno pensiero teologico. La nostra raccomandazione pertanto è di leggere i suoi testi che ormai possono essere considerati dei classici del pensiero teologico.
Valerio Bernardi – DIRS GBU
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