L’immagine di Dio negli “altri”

Come dovremmo trattare gli esseri umani, queste straordinarie immagini di Dio?

Voglio proporre quattro risposte.

 

Meraviglia
La prima reazione di fronte a un altro essere umano dovrebbe essere di meraviglia per quel miracolo della creazione che rappresenta. Di tutte le meraviglie della creazione è proprio quella dell’essere umano che dovrebbe destare l’ammirazione più grande. Per quanto possa apparire difficile in determinate circostanze, non dovremmo mai perdere lo stupore di trovarci al cospetto del mistero della vita di un altro essere umano. Si tratta dello stesso stupore che prova un genitore al momento della nascita del proprio bambino. Prima c’erano solamente due persone nella stanza, ora, invece, ce ne sono tre. Com’è potuto accadere?

Temo purtroppo che la perdita di questo senso di meraviglia sia abbastanza diffuso … Siamo divenuti supponenti e cinici; per noi queste sono diventate tutte cose già viste; stiamo facendo solo il nostro lavoro, il solito tran–tran quotidiano. Il pensiero cristiano però ci richiama a non perdere il senso di meraviglia di fronte al mistero di ogni essere umano.

 

Rispetto
Il senso di meraviglia si accompagna a quello di rispetto. Rispetto per la misteriosa, immutabile, dignità dell’immagine di Dio. Sono sempre più convinto che il rispetto per gli altri sia uno degli elementi distintivi di un’autentica compassione cristiana. Siamo chiamati a trattarci reciprocamente con lo stesso rispetto e la stessa dignità con cui Dio stesso ci tratta. Assistiamo a una tendenza dei filosofi contemporanei a guardare i deboli, i minorati mentali, i disabili, con un certo grado di disprezzo: sono delle non–persone, non sono autosufficienti, non contano nulla, le loro funzioni biologiche sono al di sotto degli standard richiesti, la loro corteccia cerebrale non funziona bene. Invece, il marchio distintivo del vero amore cristiano nei riguardi dei disabili, dei malati e di coloro che sono prossimi alla morte, non è una forma di pietà ma di rispetto. «L’amore che rispetta», come soleva chiamarlo Teresa di Calcutta.

Abusare, raggirare o maltrattare un altro essere umano equivale a mostrare disprezzo nei confronti di Dio. Riprendendo le parole dei proverbi biblici: «Chi opprime il povero offende colui che l’ha fatto, ma chi ha pietà del bisognoso, lo onora» (Pr 14:31). Abusare o raggirare un altro essere umano è, di fatto, una forma di blasfemia verso Dio, come sputare in faccia al creatore o trattare con disprezzo la sua immagine. Questo è il motivo per cui l’etica biblica non fa distinzioni tra il comportamento religioso (ciò che facciamo in chiesa) e quello secolare (ciò che facciamo quando siamo al supermercato oppure, tanto per dire, dentro un ospedale). L’ordine morale stabilito da Dio, l’ordine di creazione, deve permeare l’intera vita.

 

Empatia
Avere empatia significa immedesimarsi nell’esperienza dell’altro, condividere il suo dolore e la sua gioia. Dato che siamo tutti uguali nella materia grezza di cui siamo fatti, possiamo entrare in sintonia con l’esperienza dell’altro. È interessante notare che quei circuiti neurali e quelle capacità di elaborazione che ci permettono di entrare in empatia con gli altri, di immaginare come ci si possa sentire essendo l’altra persona, sono molto più sviluppati nel cervello umano che in quello di altri mammiferi.

Sembra quasi che possediamo la capacità unica di vedere il mondo con gli occhi di un’altra persona. Tutto ciò è parte della nostra natura umana creata. Siamo progettati per funzionare non come esseri isolati e autonomi, imprigionati nei nostri universi separati, ma come esseri in grado di condividere con gli altri le nostre gioie e i nostri dolori.
I filosofi contemporanei tendono ad enfatizzare l’abisso che separa i sani, coloro che possiedono funzioni normali, da coloro che hanno gravi disabilità o sono severamente malati: io sono una persona, tu invece, sei una non–persona; … La fede cristiana, al contrario, dice: «Siamo tutti e due degli esseri umani, tu e io. Condividiamo la stessa realtà e condivideremo lo stesso dolore».

 

Protezione
Infine, poiché ogni essere umano porta in sé l’immagine di Dio, ogni vita è sacra. Nel nono capitolo della Genesi troviamo la legge del taglione, una delle più antiche formule legali della letteratura mondiale, che prescrive la pena capitale per chiunque si renda colpevole dello spargimento di sangue di un altro uomo:

«Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine» (Gen 9:6).

Questo brano esprime l’idea secondo cui, a causa della straordinaria dignità della vita umana, e paradossalmente, solo la pena capitale costituisce una retribuzione sufficiente per colui che ha commesso un omicidio. Distruggere una vita umana innocente è eccezionalmente scandaloso, perché equivale a dissacrare l’immagine di Dio, il suo capolavoro. Secondo il modello di società proposto da John Harris, le persone più forti possono usare le non–persone, quelle col cervello malfunzionante, per i propri scopi. Ad esempio si possono prelevare gli organi da coloro che si trovano in stato vegetativo persistente oppure dai bambini malformati, per trapiantarli a qualcuno che vale più di loro. Il forte può usare il debole. Il pensiero cristiano è invece diametralmente opposto. Sono i deboli coloro che sono degni di una tutela speciale, proprio perché sono vulnerabili, mentre i forti hanno il dovere di proteggere i deboli dal raggiro e dall’abuso.

Meraviglia, rispetto, empatia e protezione: queste sono le risposte che siamo in dovere di dare gli uni agli altri, proprio per il modo in cui siamo fatti. Siamo portatori dell’immagine di Dio, ciascuno di noi è un riflesso misterioso della Deità.

John Wyatt, Questioni di vita e di morte. Dilemmi moderni alla luce della fede cristiana, Edizioni GBU, Chieti, 2018, pp. 517, 24,00 € (www.edizionigbu.it)