L’utile Microbiota
di Nicola Berretta
Se c’è un tema che in questi ultimi anni sta uscendo fuori sempre più prepotentemente nel campo delle Neuroscienze è lo stretto legame tra le nostre funzioni cerebrali e la nostra pancia, o più precisamente, il nostro intestino. Sappiamo tutti che quest’ultimo costituisce un ambiente ideale per un enorme numero di micro-organismi (attorno ai 100 mila miliardi di batteri), denominati collettivamente “MICROBIOTA”, i quali utilizzano gli alimenti che attraversano il nostro tratto alimentare per il loro sostentamento, e poi ci ricambiano a loro volta il favore in vari modi, tra cui il più noto è forse quello di consentirci una migliore digestione. Questo tema, tra l’altro, è tanto più attuale in quanto ci fa riflettere su quanto questi elementi microscopici, come i virus e i batteri, non debbano essere visti necessariamente come dei nemici del nostro organismo, ma semmai come utili coadiutori, sebbene ci accorgiamo della loro esistenza solo quando incontriamo la loro controparte meno amichevole.
Nell’ottobre dello scorso anno, la rivista Nature ha pubblicato dei risultati davvero interessanti, ottenuti nei laboratori della Cornell University di New York (USA)[1].
Gli autori hanno studiato una forma di apprendimento molto nota tra gli psicologi sperimentali: l’estinzione del condizionamento da paura. Si tratta di uno sviluppo del più noto condizionamento “pavloviano”, quando cioè l’animale impara ad associare uno stimolo innocuo (ad es. il suono di un campanello) a uno stimolo doloroso, per cui dopo un po’ presenta una reazione di paura al solo sentire il suono del campanello. Se però si continua ad esporre l’animale al suono del campanello senza associarvi lo stimolo doloroso, nel tempo il condizionamento si estingue. Cioè, l’animale impara a non reagire inutilmente a quello stimolo, giudicandolo innocuo. Questa estinzione del condizionamento da paura costituisce un modello interessante perché, qualora assente o deficitario, potrebbe rappresentare un modello di disturbi neuropsichiatrici, quali i disturbi d’ansia. Anche in questi, infatti, si osserva una difficoltà a soppesare le proprie reazioni di paura all’oggettività del pericolo presentato. Non si riesce, cioè, a selezionare quegli stimoli che dobbiamo temere, perché forieri di un pericolo reale, rispetto a quelli che possiamo ritenere innocui, da cui deriverebbe uno stato di ansia continua e immotivata.
In questo studio gli autori espongono dei topi ad un trattamento antibiotico volto a eliminare il microbiota intestinale, dopodiché dimostrano che questi animali, pur presentando una normale capacità di acquisire una risposta condizionata allo stimolo doloroso, non riescono più ad estinguerla. A differenza dei topi con microbiota normale, questi animali continuano nel tempo ad avere reazioni di paura allo stimolo innocuo, malgrado quest’ultimo non sia più associato a uno stimolo doloroso.
Un secondo aspetto significativo che viene messo in luce in questo lavoro – e al limite anche più inquietante – è che il microbiota sembra essere essenziale immediatamente dopo la nascita. Hanno infatti usato animali del tutto privi di microbiota fin dalla nascita, in modo da poter generare sperimentalmente una flora batterica intestinale in momenti specifici dello sviluppo postnatale. Anche questi animali, come quelli trattati con antibiotici, non sono in grado di estinguere un condizionamento da paura. Questa incapacità permane anche se il microbiota viene sperimentalmente rigenerato nell’adulto. Se però il microbiota intestinale viene rigenerato immediatamente dopo la loro nascita, prima dello svezzamento, solo allora i topi, una volta divenuti adulti, presentano una normale risposta di estinzione del condizionamento da paura. Dunque, la flora batterica presente nelle fasi immediatamente successive al parto sarebbe essenziale al fine di consentire la presenza di questa forma di apprendimento per il resto della vita dell’animale.
Le conseguenze di queste ricerche sono intuibili. Questi studi infatti non metterebbero solo in luce l’importanza del microbiota intestinale per garantire una corretta funzione di quelle che consideriamo le funzioni cognitive superiori del nostro cervello, ma indicherebbero anche il possibile coinvolgimento di condizioni pregresse del microbiota, risalenti al periodo immediatamente successivo al parto, come causa prima di disturbi cognitivi presenti poi in età adulta.
Per concludere, forse da ora in poi dovremmo essere un po’ più cauti quando accusiamo qualcuno di ragionare con la pancia, visto che anche noi non stiamo ragionando solo con la testa. E soprattutto, da ora in poi potremo pensare che la nostra flora batterica intestinale non è importante solo per aiutarci ad andare in bagno, ma anche magari a rendere più proficue le nostre riflessioni quando ci andiamo…
[1] Cho C. et al (2019). The microbiota regulate neuronal function and fear extinction learning. Nature. Oct;574(7779):543-548. doi: 10.1038/s41586-019-1644-y.
Caro Nicola, interessante e sorprendente, ma la cultura popolare qualcosa già sapeva se si diceva “farsela addosso dalla paura” e i ragazzi paurosi venivano chiamati “cagasotto”! Io pensavo che questa reazione violenta legata al terrore avesse lo scopo di liberare da un peso per fuggire più veloce e anche ostacolare il nemico con armi sgradevoli.
Chissà, ulteriori studi potrebbero dimostrare che l’amore viscerale è una questione di batteri innamorati!
La reazione di cui parli, che riassumi nel termine “cagasotto”, in realtà non vede la partecipazione del microbiota, quanto piuttosto del sistema nervoso autonomo (SNA), che controlla la motilità gastrica e l’apertura degli sfinteri. L’articolo che ho commentato fa invece riferimento al legame funzionale tra microbiota e cervello. Legame che effettivamente in certi casi può usare il SNA come via di trasmissione, ma nel caso specifico gli autori lo escludono attraverso esperimenti che non ho riportato per semplicità. Se poi tra questi miliardi di batteri ci sono anche quelli che s’innamorano, non saprei… magari un giorno si scoprirà che i “filtri d’amore” di Maga Magò erano fermenti lattici!
Interessante articolo. Grazie! Non mi sembra di aver colto le possibili cause di assenza del microbiota in fase perinatale, ma apre dei percorsi di analisi e di studio sulla influenza di un adeguato accudimento, probabilmente anche prenatale, per il futuro sviluppo del bambino a livello emozionale e all’imprinting che le prime figure accudenti possono avere (paure, timori, ansie trasmesse poi difficilmente eliminabili).E siccome questo influenza anche il modo in cui si struttura la figura di Dio nella nostra mente…
Grazie a te, Gianfranco. Gli autori si limitano qui a descrivere questo fenomeno dell’importanza del microbiota subito dopo la nascita nel dar luogo a conseguenze successive permanenti nello sviluppo cognitivo, ma non ne indicano il meccanismo causale. Non saprei dirti se si possa parlare anche di influenze pre-natali, perché il microbiota si forma immediatamente dopo il parto. Semmai c’è una letteratura molto interessante su come, non solo l’allattamento (di per sé intuibile), ma persino le modalità stesse con cui avviene il parto, possano influenzare la composizione del microbiota che si sviluppa nell’intestino del neonato. Con questo non voglio dire che l’esperienza pre-natale non possa avere influenza sullo sviluppo anche affettivo. Tutt’altro. C’è ampia letteratura a riguardo. Ma probabilmente non attraverso un’azione del microbiota.