Riflessioni teologiche su Israele e la Palestina
di Gerald R. McDermott
(questo articolo è tratto da un libro che Edizioni GBU si apprestano a pubblicare sul tema)
Il nuovo sionismo cristiano ha tre implicazioni per i teologi, quando riflettono sulla giustizia in relazione al conflitto israeliano–palestinese. In primo luogo, rimanda alla necessità, sia per gli Ebrei sia per gli Arabi, di «condividere la responsabilità dell’amarezza»[1]. Lo si può esprimere anche in un altro modo: su entrambi i versanti, serve umiltà. Con ragione gli Ebrei possono dire di avere legittimamente acquistato la terra dagli Arabi a cominciare dal XIX secolo, di avere trasformato enormi, aride distese in suolo produttivo e portato enormi vantaggi materiali alle popolazioni arabe. Dovrebbero però riconoscere che nelle guerre del 1948 e del 1967, una terra precedentemente posseduta e controllata da Arabi è passata in mani ebraiche. Gli Ebrei hanno buone ragioni per pensare che questi trasferimenti siano stati per la maggior parte portati avanti in modo corretto, tramite liberi scambi finanziari o a seguito di guerre iniziate dagli Arabi. Dovrebbero però anche ammettere che gli Arabi hanno perso la dignità e il possesso di molto. Gli Ebrei hanno vinto.
Gli Arabi devono riconoscere che se avevano dei diritti sulla terra prima delle guerre e del terrorismo, questi due tipi di tragedie hanno fatto loro perdere alcuni di questi diritti. Dico “alcuni” di questi diritti perché gli Arabi possiedono e controllano ancora gran parte della terra nell’Israele propriamente detto e l’Autorità palestinese controlla ancora tutta o quasi tutta la Cisgiordania. Hamas, un governo arabo, possiede e controlla tutta Gaza. Il passaggio di terre da una proprietà araba a una ebraica è avvenuto, per lo più, a causa di guerre incominciate e perse dagli Arabi. Altre terre sono state perse dagli Arabi a causa della recinzione (più comunemente nota come «il muro») costruita fra la Cisgiordania e alcune parti d’Israele. È stata costruita per bloccare gli attacchi terroristici provenienti dalla Cisgiordania aventi di mira i civili in Israele ed è in larga misura servita allo scopo.
A volte, quando i cristiani cercano di applicare la loro teologia a questioni legate alla giustizia in questo conflitto, lo fanno con più calore che luce. Ecco alcuni fatti poco noti, da cui però qualsiasi valutazione della disputa non dovrebbe prescindere.
- Durante la guerra del 1948, la Giordania invase la parte assegnata agli Arabi e la occupò, definendo quell’area la propria Cisgiordania. Per vent’anni, il mondo arabo non ha riconosciuto uno specifico popolo palestinese. Nel frattempo, la Giordania definì gli abitanti della Cisgiordania, Giordani, mentre la Siria li definì Siriani in quanto per secoli, sotto l’impero ottomano, la Palestina era stata considerata parte della Siria del sud.
- Dopo la guerra del 1948 vi fu uno scambio di rifugiati in Medio Oriente. Gli Ebrei persero almeno tante case quante ne persero gli Arabi. Mentre Israele assorbì quasi tutti gli 800.000 rifugiati ebrei fuggiti da territori arabi e musulmani dove avevano vissuto per secoli, se non millenni, le nazioni arabe rifiutarono di dare delle nuove case ai rifugiati arabi in arrivo (725.000) e decisero di tenerli in campi profughi da utilizzare come strumento propagandistico contro Israele.
- Nel trattato di pace con l’Egitto del 1978–1979, Israele ha restituito il 90% del territorio occupato, conquistato dopo la guerra dei sei giorni del 1967. Si trovava quasi tutto sul Sinai.
- Il “muro” ha reciso degli insediamenti palestinesi, danneggiato gli agricoltori palestinesi separandoli dalle loro piantagioni e dalle loro fattorie e in alcuni casi li ha ridotti in povertà. Lo stato ebraico ha assorbito più territorio. Al tempo stesso, però, il muro ha reciso più di 1.200 acri di territorio intorno a Gerusalemme, acquistato dagli Ebrei prima del 1948[2].
- La teologia musulmana contribuisce al conflitto, in quanto il Corano profetizza che gli Ebrei vivranno dispersi, poveri e miseri[3]. La prosperità d’Israele appare perciò ai devoti musulmani una contraddizione sconcertante come minimo, esecrabile nella peggiore delle ipotesi. Al tempo stesso, il Corano attesta che Dio ha dato la terra d’Israele agli Ebrei: «[Faraone] voleva scacciarli [gli Israeliti] dalla terra [d’Egitto], ma Noi [Allah] li facemmo annegare, lui e quelli che erano con lui. Dicemmo poi ai Figli di Israele: «Abitate la terra [la terra d’Israele]!». Quando si compì l’ultima promessa [la fine dei giorni], vi facemmo venire in massa eterogenea» (Corano, sura 17:103–104). Uno sceicco contemporaneo lo prende per quello che è: «Il Corano riconosce nella terra d’Israele l’eredità degli Ebrei e spiega che, prima del giudizio finale, gli Ebrei torneranno ad abitarvi. Questa profezia si è già adempiuta»[4].
Una terza implicazione del nuovo sionismo cristiano per la nostra comprensione di questo conflitto è che c’è una buona ragione per cui questo conflitto riguarda il mondo intero. La Bibbia lascia capire che il destino delle nazioni è legato a quello d’Israele[5].
In Isaia 19:23–25 le nazioni dell’Egitto e dell’Assiria sono benedette a causa d’Israele e Zaccaria 12 profetizza che Dio farà di Gerusalemme una «coppa di stordimento» per le nazioni circostanti. In altre parole, non soltanto Israele è un testimone per le nazioni (Is 43:10); Dio interagisce con le nazioni attraverso Israele. Nel loro relazionarsi con Israele, le nazioni, in qualche modo misterioso, vengono in contatto con il Dio d’Israele. Rispondono a Dio e sono da Dio giudicate in questa segreta relazione. Dobbiamo subito confessare che c’è molto che non sappiamo a questo proposito. Non significa certamente che Israele abbia sempre ragione o non sia mai stato ingiusto nel suo modo di rapportarsi con le altre nazioni. Neppure significa che la teologia cristiana debba sempre prendere le parti d’Israele contro le altre nazioni, specie quando Israele ha chiaramente torto. La Scrittura, però, chiarisce che Dio governa le nazioni; Israele, come popolo e come terra, rientra ancora nella sua provvidenza segreta, non soltanto quando Dio tratta con Ebrei e gentili sul piano individuale ma anche quando giudica le nazioni in quanto tali. Devono fare attenzione a non essere come gli amici di Giobbe, che mossero delle false accuse contro Giobbe e affrontarono l’ira di Dio.
[1] James Parkes, End of an Exile: Israel, the Jews and the Gentile World, a cura di Eugene B. Korn e Roberta Kalechofsky, Micah, Marblehead, Micah, 2004, p. 43.
[2] Israel Today (febbraio 2007), p. 11, citato in David W. Torrance, George Taylor, Israel God’s Servant: God’s Key to the Redemption of the World, Paternoster, Londra, 2007, p. 19.
[3] Per esempio, Corano, sura 2:61 (La giovenca): «E furono colpiti dall’abiezione e dalla miseria e subirono la collera di Allah» (il testo inglese è ripreso dalla versione del Corano conservatrice nota come Sahih International; per il testo italiano cfr. www.ilCorano.net, traduzione a cura di Hamza Roberto Piccardo, ndt).
[4] Sceicco Professor Abdul Hadi Palazzi, “What the Qur’an Really Says”, ristampato da Viewpoint, inverno 1998, www.templemount.org/quranland.html (ultimo accesso dell’autore: 8 luglio 2015; ultimo accesso del traduttore: 12 settembre 2022). Palazzi è il segretario generale dell’Assemblea musulmana italiana nonché califfo per l’Europa dell’ordine Qadiri Sufi [A mio parere gli autori si screditano, citando un personaggio come lui; farei una valutazione prima di mantenere questa citazione nell’edizione italiana. Cfr. https://latanadellupo.forumcommunity.net/?t=50885225].
[5] Torrance e Taylor, Israel God’s Servant, op, cit., pp. 28, 62.
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