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Cristianesimo ed economia

di Roger E. Olson

Il cristianesimo e l’economia

L’economia è a ragione definita tradizionalmente “la scienza triste”. Anche i migliori economisti al mondo sono in radicale disaccordo fra di loro su come fare previsioni economiche di una società e su come programmare al meglio la sua distribuzione dei beni affinche venga promosso un benessere universale.

Una ragione per questo stato di cose è da rintracciare nei presupposti radicalmente differenti relativi alla distribuzione della ricchezza (definita qui come i “beni” in una società). Per esempio, la ricchezza è limitata o può crescere? La giustizia distributiva è un gioco a somma zero o si può creare nuova ricchezza? Gli economisti non si mettono d’accordo ma la differenza nel mondo la fa ciò che credi. Potrebbe sembrare che la ricchezza si sia accresciuta, ma gli economisti del gioco a somma zero sostengono che si tratta proprio di un’illusione (è cresciuta sulla carta). Questi economisti al contrario sostengono che i soli, “reali” beni sono quelli materiali, vale a dire la terra e quello che c’è su di essa e al suo interno. Ogni altra cosa è “solo sulla carta”.

Ci sono altre, numerose e profonde differenze di presupposti relativi all’economia e alla giustizia distributiva. Ma questa è una di fondo. La “giustizia distributiva” la si trova là dove si incontrano l’economia e l’etica. Per esempio, se credi che la ricchezza possa essere accresciuta, tenderai ad avere un’opinione diversa sulla giustizia retributiva rispetto all’opinione contraria, vale a dire che non può essere accresciuta. Se la ricchezza può crescere, potresti essere meno interessato a farti problemi di giustizia distributiva rispetto all’ipotesi secondo la quale la ricchezza non possa crescere.

Ancora, e tuttavia, anche se la ricchezza può essere aumentata non tutti sarnno capaci di beneficiare di un tale accrescimento a causa di vari generi di diversa abilità: per esempio, il caso dei bambini e dei giovani, di chi affronta sfide fisiche e mentali o anche a causa della semplice cattiva sorte. La giustizia distributiva – sia essa di natura religiosa o secolare – è la determinazione del modo migliore per la società di distribuire la sua ricchezza.

Tutti sono consapevoli di quanto sia semplice (perfino semplicistico) lo “spettro” delle posizioni economiche riguardo alla giustizia distributiva – dalla “estrema destra” alla “estrema sinistra”. All’“estrema destra” dello spettro ci sono le tesi definite del darwinismo sociale popolarizzate dalla filosofa e romanziera Ayn Rand (morta nel 1982). Molti filosofi dell’economia considerano che il suo darwinismo sociale, chiamato anche “oggettivismo”, fosse appoggiato dall’eticista di Harvard Robert Nozick (morto nel 2002). In quest’ottica, fatta propria anche da molti cristiani, la società non deve distribuire la ricchezza. Le persone capaci creano ricchezza o scoprono ricchezza e i “deboli” della società devono difendersi da soli. È contro natura il “prendere dal ricco per dare al povero” quale che sia il modo. Naturalmente i singoli individui sono sempre liberi di impegnarsi in azioni caritatevoli, ma la società in sé non ha obblighi verso i più poveri e i più deboli che sono al suo interno. La redistribuzione della ricchiezza da parte dei governi esige un enorme apparato burocratico che inevitabilmente sottrae libertà agli individui. Inoltre, aiutare i deboli e i poveri corrompe il corredo genetico e crea dipendenza. E mina la spinta a scoprire e inventare.

All’“estrema sinistra” dello spettro c’è il comunismo sostenuto dal filosofo Karl Marx (morto nel 1881) e di quelli ispirati dalle teorie sociali. Secondo queste convinzioni la ricchezza di una società dev’essere relativamente ed equamente distribuita: “Da ciascuno secondo le sue capacità; a ciascuno secondo le sue necessità”. L’argomentazione secolare a favore del comunismo è che ogni altro programma di giustizia distributiva porta inevitabilmente allo scrontro di classe e alla fine all’anarchia. Il comunismo preverrebbe l’anarchia ed è più umano del darwinismo sociale.

La debolezza di questi due “estremi dello spettro” è abbastanza evidente. Il darwinismo sociale e il suo compagno, il capitalismo lassez faire, porta alle sottocalssi sociali composte non solo da coloro che non si preoccupano di lavorare ma anche da coloro che per varie ragioni sono incapaci a lavorare (intendo dire incapaci a contribuire alla scoperta e/o alla creazione di nuova ricchezza). Il comunismo porta alla dipendenza dai governi ed è privo di incentivi a scoprire e creare ricchezza. Abbiamo così che molti economisti teorici occidentali hanno cercato di creare dei programmi economici di giustizia distributiva in qualche modo intermedi tra i due estremi.

Il  socialismo democratico si presenta in varie forme, tutte che tentano di combinare i sistemi degli incentivi e dei premi (per incoraggiare la partecipazione nell’invenzione, scoperta e creazione di ricchezza) con i sistemi di governo che tentano di redistribuire la ricchezza. In molta parte dell’Europa occidentale e del nord, per esempio in Danimarca, il “socialismo democratico” è considerato la norma. Qui la gente e le corporazioni sono molto tassati (all’incirca intorno al cinquanta per cento) mentre il governo eletto democraticamente gestisce l’economia per redistribuire la ricchezza secondo il “massimo principio della giustizia” di John Rawls, vale a dire la massimizzazione dello standard minimo di vita senza che questo rappresenti l’abolizione del sistema delle libertà e degli incentivi. Un esempio è un salario minimo molto elevato; un altro esempio è la libera scolarizzazione di tutti i cittadini dalla nascita fino all’università. Eppure sia gli individui sia i gruppi sono relativamente liberi, con qualche minima regolazione e sorveglanza governativa per iniziare delle attività e perfino diventare ricchi. Ma nessuno diviene “super ricco”. Il governo offre lavoro affinché il “sistema assistenzialistico” non divenga permanente. L’occupazione di tutti è l’ideale e l’obiettivo, anche se ciò potrebbe significcare che il governo assume una percentuale molto ampia della popolazione.

Il capitalismo moderno pianificato (non quello del laissez faire) si presenta anch’esso in molteplici forme che enfatizzano tutte l’incentivo economico in funzione della scoperta e della creazione di nuova ricchezza, rendendo minimo l’intervento del governo, della burocrazia e del welfare. Qui le funzioni economicamente primarie del governo sono quelle di “arbitrato” per moderare gli individui e i gruppi dal divenire troppo potenti (per esempio proibendo i gruppi monopolistici) mentre nello stesso tempo incoraggiando la creazione del benessere, per esempio tassando i redditi di investimento a un tasso inferiore rispetto ai redditi di lavoro. La redistribuzione della ricchezza è di solito limitata alla scuola pubblica per i livelli primario e secondario e a un minimo stato sociale per i poveri e in particolare per i disabilitati.

Il socialismo democratico e il capitalismo moderno pianificato si sovrappongono in molti punti ma hanno diversi impulsi che li spingono verso gli estremi opposti dello spettro o della giustizia distributiva o l’altro. Tuttavia tutte e due le posizioni vedono la necessità sia degli incentivi a scoprire e creare ricchezza e sia qualche grado di gestione governativa dell’economia e della redistribuzione della ricchezza.

Ci sono teorie economiche e di giustizia distributiva contemporanee ma, quando esaminate attentamente molte, se non tutte, ricadono sotto una di queste quattro categorie “ombrello”.

È facile trovare pensatori cristiani che appoggiano tutte queste teorie, trattate come “assiomi medi” (se le definiscono in tal modo o meno) per implementare l’etica del Regno nel mondo che non è ancora il Regno di Dio.

Alcuni pensatori cristiani appoggiano fortemente il comunismo purgato dell’ateismo marxista che, sostengono, non fa parte e non è un ingrediente del comunismo in quanto teoria economica. Alcuni di loro sostengono che il comunismo deve iniziare dentro la chiesa e poi diffondersi al di fuori nella società. Altri pensano che I cristiani debbano “saltare” direttamente nel dibattito economico–politico e perfino combattere e allearsi con i comunisti secolari per far nascere quel sistema, se necessario anche ricorrendo alla rivoluzione. La loro argomentazione è che nel Regno di Dio non ci sarà differenziazione di ricchezza e dunque in quanto cristiani non possiamo sentirci a nostro agio qui e ora con questa situazione (Jose P. Miranda, teologo della liberazione messicano in Marx and the Bible).

Alcuni pensatori cristiani appoggiano decisamente il capitalismo del laissez faire senza però definirlo né riconoscerlo come darwinismo sociale (molti negherebbero che sia basato su quella filosofia). Questi cristiani credono solitamente che il peccato originale e la depravazione umana richiedano forti incentivi al lavoro e che il governo “ingombrante” per qualsiasi sistema economico inevitabilmente prevarrà sulle libertà individuali, incluso la libertà religiosa. (Il teologo cattolico Michael Novak in The Spirit of Democratic Capitalism e il protestante Marvin Olasky in The Tragedy of American Compassion. Questi cristiani ritengono che le chiese e non il governo debba occuparsi del povero sebbene contemplino delle eccezini in casi di emergenza).

Si tenga conto che è possibile essere un comunista su come la chiesa debbapraticarela distrubuzione della giustizia al proprio interno e non essere comunisti per quanto concerne il come debba funzionare l’ordine socio–economico all’esterno.

Alcuni pensatori cristiani sostengono decisamente il socialismo democratico come una posizione di compromesso che prende sul serio la tendenza umana a diventare dipendenti dai programmi di assistenza sociale del governo ma riconosce anche che le chiese non possono occuparsi da sole di  tutti i poveri. Molti di questi pensatori cristiani sostengono che le chiese debbano praticare una forma di socialismo al loro interno con o senza pressione cristiana sui governi per essere aiutate. Molti sostengono che i cristiani si debbano schierare appasionatamente in favore del socialismo nel campo della giustizia distributiva delle proprie società (Esempi: Stanley Hauerwas per la pratica della chiesa come una sorta di socialismo interno e Walter Rauschenbusch e i suoi eredi a favore di una forma di pressione cristiana sulla società affinché adotti il socialismo).

Altri pensatori cristiani appoggiano fortemente il capitalismo moderno pianificato (il capitalismo contrario al lassez faire) come un compromesso che prende seriamente l’avidità e la pigrizia peccaminose. Per loro, dal momento che si è nella condizione del “non ancora” questa forma di capitalismo è la migliore politica pubblica che prende sul serio una tale realtà e nello stesso tempo si prende cura degli indigenti (i “veri poveri”). Tra questi pensatori c’è differenza sul fatto se la chiesa debba essere coinvolta nell’implementare o sostenere questo sistema sociale. Molti cristiani che l’appoggiano lo considerano come il sistema di fondo degli Stati Uniti nel XXI secolo e cercano unicamente di difenderlo dal cambiamento verso un altro sistema. Ma differiscono nel valutare quanto funzioni bene o quanto possa essere “affinato” per preservarlo in un mondo che cambia e renderlo più funzionale per ognuno.

Tutte e quattro queste principali opzioni  relative alla giustizia economica distributiva possono essere rinvenute tra i cristiani di tutto il mondo. La mia idea è che nel Regno messianico che viene sulla terra non ci sarà povertà ma ci sarà una ricchezza differenziata. Dunque, trovo la teoria di John Rawls (morto nel 2020) della giustizia come equità la teoria più compatibile nella prospettiva del Regno che viene e quella del Regno che non è ancora venuto. Per me è una sorta di assioma intermedio che mi aiuta, per esempio, nel decidere per chi votare.

Rawls ha sostenuto che, sotto il “velo dell’ignoranza” (un’ipotetica convenzione che sviluppa il contratto sociale e le politiche di una società in cui i partecipanti non conoscono i propri vantaggi e i propri svantaggi, anche se questi ci sono) ogni persona razionale voterebbe per una società che equilibri la libertà  e ciò che egli ha definito il principio di “massimizzazione”. Ci sarebbero incentivi a creare e scoprire benessere con la differenziazione della ricchezza che ne risulterebbe basata sulle capacità e sull’impegno. Ma ci sarebbero anche programmi per ridistribuire la ricchezza. Il principio di massimizzazione, semplicemente, è l’idea che allorquando una porzione della popolazione gode di un accrescimento degli standard di vita ne beneficiano anche coloro “che sono alla base”. Il sistema di giustizia distributiva in economia è “costruito” per massimizzare il minimo senza distruggere l’incentivo a creare nuova ricchezza. Tutto ciò richiede, naturalmente, qualche sistema di redistribuzione come un sistema fiscale altamente graduale, oltre a un sistema scolastico libero, l’avviamento al lavoro e il welfare per coloro che non possono lavorare. Rawls stesso però non specifica come implementare la sua teoria, Espone semplicemente i principi. Io credo che questa teoria della giustizia economica/giustizia distributiva si sposa meglio con l’insegnamento di Gesù sul denaro e sulla ricchezza, con la realtà che la gente abbisogni di incentivi per creare lavoro, con il fatto che il Regno di Dio non è ancora realizzato, e con l’importanza di operare contro i sistemi che contraddicono e si oppongono alla venuta del Regno. Personalmente, penso che il socialismo democratico (quello scandinavo) sia il sistema economico esistente più vicino agli intenti di Rawls e allo spirito del Regno di Dio già presente ma non ancora realizzatosi. Combina realismo e idealismo. Si tratta del più utile assioma di mediazione per la giustizia distributiva cristiana in campo economico.

Torniamo però alla chiesa. È possibile possedere uno dei quattro “ideatipi” della teoria e della pratica economica secolare (giustizia distributiva) per l’ordine sociale al di fuori della chiesa e uno diverso per la stessa chiesa.

A me pare che la chiesa debba praticare una sorta di comunismo al suo interno – non necessariamente una “cassa comune” (non una vera e propria proprietà privata, la chiesa infatti deve possedere proprietà come date “in affidamento” da parte dei membri e nell’intento di distribuirle secondo il bisogno) – ma un ethos in cui la proprietà di ogni privato non sia realmente “privata” ma sia a disposizione di chi ne ha bisogno. Ogni chiesa cristiana deve essere una “comunità cristiana volontaria” che pratica al suo interno la giustizia distributiva ma assicurandosi che nessun membro soffra per la perdita o per la mancanza di beni necessari a portare avanti una vita di benessere e che nessun membro accumuli ricchezza al di sopra e oltre quello di cui necessita per un confortevole benessere. Naturalmente, e come sempre, “il diavolo si nasconde nei dettagli” ma se ogni chiesa seguisse questi principi di fondo, al meglio delle sue capacità, si avvicinerebbe a essere quell’“avamposto del Regno” che dovrebbe essere.

*C’è stato un tempo in cui molte chiese cristiane praticavano qualcosa del genere ma spesso senza un insieme di regole per governarlo e realizzarlo nella pratica. Per esempio, la chiesa in cui sono cresciuto fino agli undici anni definiva chiaramente un peccato il vivere nella lussuria e nel “consumismo sfrenato”. Ci si aspettava che i membri dessero il di più alla chiesa (o alla denominazione) per aiutare i poveri della chiesa e varie opere all’esterno (specialmente per le missioni all’estero). Ricordo una famiglia della chiesa che divenne relativamente benestante e iniziò a frequentare la chiesa la domenica con una nuova macchina di lusso. Il pastore gli fece visita personalmente e ricordò loro che l’avidità e il lusso sono dei peccati e che essi avrebbero dovuto vendere la macchina, acquistarne una meno costosa e dare la differenza alla chiesa. Occasionalmente predicava anche contro “il peccato del consumo sfrenato”. La famiglia benestante lasciò la chiesa. In qualsiasi situazione un membro cadeva in una situazione di povertà magari per responsabilità non proprie e non identificabili, la chiesa “organizzava un’offerta” per rispondere ai loro bisogni (non ai loro desideri). Nessuna ricchezza o bene era considerato proprio tale da disporne in qualche modo. Apparteneva a tutti della chiesa e in ultima istanza apparteneva a Dio.

**Ancora, e per di più, Martin Lutero, tra i grandi leader del passato, credeva che la società ideale dovesse essere una che aveva una cassa comune. Non cercò mai di realizzare una cosa del genere ma insegnava che questo dovesse essere il caso in una vera società cristiana. Il “socialismo” dunque non è un’idea che è nata con Karl Marx. Il leader pietista Philip Spener credeva e insegnava che è il dovere del governo garantire il lavoro a tutti. Era nel 1700. L’antico patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo insegnava che il lusso dei ricchi dovesse essere ridistribuito ai poveri. L’idea che l’economia individualista, l’economia liberalista è ed è sempre stata parte del cristianesimo è un’idea infondata.