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L’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC)

I tempi che stiamo vivendo (in piena pandemia per il coronavirus), come era facile immaginare, ma anche auspicabile, stanno spingendo gli uomini a dare fondo a tutte le risorse per contrastare la pandemia. Gli stati elaborano misure di profilassi sanitaria estrema (lockdown), con il correlato di misure economiche; la comunità scientifica è impegnata in una corsa contro il tempo per trovare la cura e un vaccino; i media tentano una copertura totale del fenomeno, etc.
La dimensione religiosa dell’essere umano non poteva mancare ed è probabile, così come nel passato che, tramite le grandi fedi mondiali, giocherà un ruolo sempre più rilevante nello sviluppo di questo straordinario e drammatico momento storico.
L’appello di Francesco (capo – non tanto indiscusso – della Chiesa di Roma) ai cristiani di qualsiasi confessione, e orientmento a rivolgere al cielo tutti insieme una preghiera, la preghiera (il Padre Nostro), è solo uno dei tasselli di una vicenda che è destinata a ingrossarsi.
A questa iniziativa dall’afflato inclusivo fanno da contraltare, c’era da aspettarselo, le pratiche esclusivistiche di tutti. Lo stesso Papa ne ha dato prova con l’indizione dell’indulgenza plenaria. Dall’altro lato altre confessioni e denominazioni (e qui mi avvicino al focus di queste note), non sono state da meno e hanno messo in campo iniziative speculari sia inclusiviste (appelli alla preghiera e all’unità) sia esclusiviste.

Non poteva mancare, in questo quadro, anche la polemica religiosa e identitaria, soprattutto da parte evangelica, contro “l’idolatria” della Chiesa di Roma. Non ho ancora notizia di qualche prelato o intellettuale cattolico che punti il dito per questo “giudizio divino” contro i soliti mali della modernità, alla base dei quali ci sarebbe la Riforma protestante (ricordate il famoso discorso di Ratisbona di Benddetto XVI?).

Veniamo dunque al nostro tema: che cos’è l’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC)?
Si tratta di una prospettiva interna all’evangelismo italiano che si tenta di esportare a livello globale, come è testimoniato dalle polemiche e dalle schermaglie che suscita in organismi evangelici internazionali.

1. Qual è il focus di questo approccio?
Per spiegarlo, è utile una piccola digressione. Quando un bibliotecario deve identificare il soggetto di un libro parla, usando un termine inglese, di aboutness (ciò di cui il libro veramente parla). L’identificazione di un soggetto infatti è un’operazione complessa che deve tener conto di diverse variabili tra le quali spicca l’ambiguità del titolo: spesso infatti non corrisponde al soggetto che il libro svilupperà ma risponde a esigenze di mercato o di indicizzazione.

Quando gli evangelici dicono di volersi occupare di cattolicesimo, si stanno veramente occupando di cattolicesimo? Ne fanno veramente un oggetto di studio che richiede l’adozione di tecniche di interpretazione identificabili e tendenti all’oggettività? Ogni studio “scientificamente” accurato ha poi il suo risvolto pratico e appplicativo. A questa logica non sfugge neanche lo studio del cattolicesimo. Perché si studia il cattolicesimo? Le risposte potrebbero essere tante.
Chi scrive ritiene, per esempio, che l’unica ragione che dovrebbe spingere un evangelico a fare del cattolicesimo un oggetto di studio sia il vangelo, inteso nel più radicale dei significati (la buona notizia di Dio che è venuto sulla terra per compiere un’opera di salvezza nei confronti di donne e uomini di tutti i tempi). Ma questa ragione, le esigenze del vangelo, da sola, sarebbe sufficiente a fare un oggetto di studio anche dell’evangelismo, e del protestantesimo!

L’AIC afferma di occuparsi di cattolicesimo (e nauralmente questo è in parte vero – c’è sempre una relazione tra il titolo di un libro e il suo contenuto) ma di fatto, anzi de jure, il suo focus è “l’approccio evangelico al cattolicesimo” (AIC). Questo è il “soggetto” di AIC (l’aboutness). Il succo è: studiamo il cattolicesimo per comprendere il modo in cui interagiamo con esso. Se c’è qualcosa che non va in questo approccio, allora lavoriamo su noi stessi. Da qui il presupposto “identitario” di questo approccio: approccio identitario al cattolicesimo (AIC). Uno dei grandi presupposti è che lo scopo, neanche tanto velato, del cattolicesimo sarebbe quello di portare tutti gli evangelici sotto Roma!

Chris Castaldo, pastore americano legato alla Gospel Coalition, lascia trapelare questa curvatura dell’approccio al cattolicesimo quando afferma, in un libro del 2015 dal titolo Talking with Catholics about the Gospel. A Guide for Evangelicals: “non è abbastanza comprendere semplicemente che cosa sono i cattolici. Dobbiamo anche fermarci un attimo e considerare l’approccio (attitude) e la postura con i quali ci relazioniamo a essi” (p. 41).

Castaldo esplicita questo passaggio rendendosi subito conto che non esiste UN approccio evangelico al cattolicesimo ma ne esistono molteplici, tanto da riportare una tassonomia di ben sette. Nel proseguire la sua indagine Castaldo adotta un metodo descrittivo di questi approcci per poi fare la sua proposta, che è una proposta classica: quali sono i punti di convergenza e quelli di differenza tra evangelici e cattolici?

L’approccio identitario al cattolicesimo (AIC), dal momento che “de jure” è interessato, sotto il titolo di “studio del cattolicesimo”, alle nostre reazioni al cattolicesimo non si limita alla descrizione di queste reazioni ma diviene prescrittivo. Nel senso che tenta di correggere quelli che ritiene approcci sbagliati e per tale motivo legge e studia il cattolicesimo per motivare la prescrizione.

2. La semplificazione identitaria
L’approccio “identitario” al cattolicesimo (AIC) impegna dunque le maggiori risorse nell’analisi e nella valutazione degli atteggiamenti e delle posture evangeliche verso il cattolicesimo. Da qui deriva che la rappresentazione del cattolicesimo ricorrere al metodo della semplificazione di una realtà complessa. Questa semplificazione può avvenire in diversi modi. Alcuni sono raffinati: per esempio il cattolicesimo, che ha dimensioni storiche, sociali, teologiche, istituzionali, di spiritualità, viene ritenuto un sistema coerente, espressione a sua volta di uno o due pochi principi di fondo. In qualsiasi sistema (limitiamoci qui solo al versante teologico) possono esserci elementi portanti. È indubbiamente un asse portante del pensiero “ufficiale” del cattolicesimo quello già ben focalizzato da Vittorio Subilia, vale a dire che nel credo della Chiesa di Roma la “chiesa” non sia altro che la prosecuzione dell’incarnazione di Gesù. Ma quanto un tale asse riesca ad aggregare del pensiero e della prassi del cattolicesimo è da dimostrare. Così come è da dimostrare un altro principio che secondo i teorici dell’AIC ricapitola in sé tutta la complessità del cattolicesimo: mi riferisco a un punto del pensiero di  Tommaso d’Aquino relativo alla relazione tra natura e grazia (la grazia perfeziona la natura, detto così in soldoni). Questo principio, per esempio, secondo AIC condizionerebbe la soteriologia cattolica.

Nel caso di quest’ultimo principio ci troviamo di fronte a un’altra strategia di semplificazione tipica di AIC, vale a dire la riduzione di elementi della storia del pensiero a elementi sub specie aeternitatis, cioè non più elementi che devono essere compresi nel loro contesto storico ed eventualmente nella loro evoluzione sempre storica (ce lo insegna l’ermeneutica) ma come chiavi interpretative globali dalla tonalità molto spesso negativa (oltre a natura/grazia, possiamo pensare a termini quali “umanesimo”, sinergismo, pelagianesimo, etc.).

Ci sono poi le strategie più terra terra che AIC in qualche modo sdogana, propaganda e anche legittima, vale a dire l’armamentario tipico della controversia del XVI secolo. Ray Galea, nel suo libretto A mani vuote. Cattolici ed evangelici di fronte al messaggio della salvezza (GBU, 2010), sulla base della sua esperienza da ex sacerdote cattolico mette per esempio in guardia sulla famosa retorica secondo la quale il cattolicesimo predicherebbe una salvezza per SOLE opere: “A volte protestanti poco formati accusano il Cattolicesimo di insegnare la «salvezza per opere» in opposizione alla concezione pro­testante di «salvezza per fede». Quest’accusa non è esatta. Il Cattolicesi­mo insegna la salvezza per fede più le opere…” (p. 61).

Il risvolto complementare dell’impegno di AIC è che gli approcci evangelici al cattalicesimo possano essere corretti se il cattolicesimo (ridotto a sistema) fosse affrontato dagli evagelici sistemicamente. L’idea di uno studio sistemico (“sistemico” è diverso da “sistematico”) di una realtà religiosa complessa o di una realtà complessa dalle fattezze religiose ha un suo preciso pedigree storico che affonda le sue radici nel neocalvinismo olandese della fine dell’800.
L’AIC, in buona sostanza, quando parla di cattolicesimo, si rivolge a noi e ci chiede di adottare un sistema da cpontrapporre a un altro sistema. Detto in parole povere: bisoga essere più protestanti di quelo che siamo. Questa è la semplificazione identitaria: a identità si contrappone identità.

3. L’AIC è funzionale al relativismo
Qualche anno fa fece scalpore la visita di Papa Francesco alla comunità pentecostale del suo amico, il pastore Giovanni Traettino. In quella circostanza Francesco fece un discorso di tipo ecumenico, come sempre accade in questi casi, e non c’è da stupirsi. La particolarità fu che prese in prestito alcuni concetti e soprattutto l’immagine del prisma del teologo luterano Oscar Culmann. In sintesi: il discorso ecumenico non deve appoggiarsi su Giovanni 17 (la preghiera di Gesù per l’unità dei cristiani) ma su 1 Corinzi 12 (il discorso di Paolo sull’unico corpo di Cristo) che ha tante membra diverse. Le tradizioni teologiche (e qui semplifichiamo), incluso cattolici e protestanti, sono carismi dello Spirito, rifrazioni misericordiose dell’unico raggio della rivelazione che si rifange in tanti colori diversi. La chiamata di tutti i cristiani è quella di coltivare ognuno la peculiarità e l’identità del carisma ricevuto. Se sei un protesante (questo lo aggiungo io) non è necessario pensare ce tu divenga cattolico (e viceversa): sii più protestante!
Questo suggestivo sforzo ecumenico sembra implicare dunque la coltivazione delle proprie identità, se considerate alla luce del diversità dei doni e delle membra.

Tutti sanno, però, anche, che questa è la porta d’ingresso e la strada maestra del relativismo, nonché una straordinaria risposta ecumenica, di base, da rivolgere alla testimonianza del vangelo che possiamo renderci reciprocamente (protestanti e cattolici). Perché prendere in carico la peculiarità delle visioni evangeliche su Maria, così come affondano nel testo biblico, quando in realtà questa peculiarità è il portato precipuo del dono e del fascio di luce che le tradizioni protestanti hanno ricevuto?
La risposta alla poemica anti–cattolica, all’AIC, potrebbe essere un clamoroso gesto di affetto da parte di un interlocutore cattolico! Che bello, sii più protestante!

L’AIC diviene in tal modo un ostacolo alla testimonianza da rendere al vangelo.

4. L’AIC ritiene insufficiente lo spazio indipendente del vangelo

È noto che nella controversia tra cattolici ed evangelici spesso si è fatto ricorso a modelli intepretativi che giustificassero una situazione che il Nuovo Testamento non lascia presagire (questo è un altro schema di lavoro). Il modello forse più famoso è di assimilare la tradizione cattolica al farisaismo e quelle protestanti alla predicazione di Paolo. Dopo ondate di rinnovamento degli studi biblici, l’affinamento di strumenti interpretativi, il campo si è un po’ confuso.
Nella lettura reciproca che ci facciamo (noi leggiamo e studiamo il cattolicesimo, ma avviene anche il contrario!) appare necessario allora cercare un punto indipendente, che non significa “neutrale”. Questo equivarrebbe, nel nostro interagire con amici e fratelli cattolici, a rinunciare alla nostra tradizione per favorire la strada al vangelo.

Ci proviamo: nel capitolo 4 del Vangelo di Giovanni troviamo il famoso dialogo di Gesù con la donna samaritana, nei pressi di un pozzo. La donna, aldilà della sua condizione personale, esprime una preoccupazione che affonda le sue radici nella coscienza identitaria di quei tempi: dove bisogna adorare? Là dove punta la tradizione samaritana (su questo monte – dice la donna) o al contrario dove punta la tradizione dei Giudei (a Gerusalemme?).
Conosciamo la risposta di Gesù che chiede a tutti i partiti in campo di non fare più riferimento a se stessi ma a qualcos’altro (Gesù le disse: «Donna, credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. … Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità» – Giovanni 4:21sg.).

Nello studio del cattolicesimo non dobbiamo studiare i nostri approcci al cattolicesimo ma i nostri approcci al vangelo!
E in questa zona indipendente, che è il vangelo, dobbiamo uscire dalle nostre tradizioni.

Siamo partiti in questa lunga disamina dell’approccio identitario al cattolicesimo (AIC) dalle condizioni che stiamo vivendo, dalla pandemia che sta imperversando fuori dalle nostre case (e non troppo) e abbiamo evidenziato l’impegno sempre più marcato delle religioni che tentano di dare all’uomo speranza e risposte. Abbiamo evidenziato sia i contributi inclusivi sia quelli esclusivistici e polemici, e da qui siamo partiti per l’analisi dell’AIC. Nel leggere alcuni di questi contributi dell’AIC mi sono ricordato di un vecchio libro evangelico sul cattlicesimo: La chiesa romana allo specchio (1971), scritto da un autore francese, Jacques Blocher. L’autore racconta nella Prefazione di aver scritto questo libro che analizza le dottrine della Chiesa di Roma all’indomani di un’esperienza molto forte, simile a quella che stiamo vivendo noi oggi – i campi di concentramento nazisti – un’esperienza vissuta insieme a sacerdoti cattolici. Per la conclusione lascio volentieri a lui la parola.

“Quest’opera sulla Chiesa Romana [il libro], è stata scritta con un grande zelo per la verità e senz’alcuna cattiveria. L’autore, durante l’ultima guerra mondiale, trovandosi in campo di concentramento, ha avuto occasione d’aver per camerati dei sacerdoti cattolici, molti dei quali gli son restati intimi amici. Essi hanno scoperto assieme che il loro culto spirituale era diretto e rivolto allo stesso Dio e al medesimo Salvatore, Gesù Cristo, nato dalla Vergine Maria. Nelle loro conversazioni, hanno compreso quello che li univa ed anche ciò che li separava. È questa esperienza di comunione fraterna che ha spinto l’autore a fare un esame sistematico delle dottrine e delle pratiche cattoliche dalla luce della Rivelazione Biblica e della Storia. Questo chiaro esame è esposto in modo molto sereno e lautore spera di non ferire alcuno, anzi è particolarmente lieto di vedere finalmente quest’opera tradotta in italiano, poiché egli ama grandemente l’Italia ed i cuoi cittadini” (Jacques Blocher).

(Giacomo Carlo Di Gaetano)