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Queste sono le nostre convinzioni evangeliche

Nel mentre è in corso negli Stati Uniti la Campagna per le presidenziali di Novembre, con la polarizzazione che tutto il mondo conosce, un gruppo di intellettuali evangelici ha elaborato questa professione di fede alla quale si stanno aggiungendo tantissimi altri intellettuali, sempre di area evangelica. Tra loro spiccano i nomi di Russell Moore, Richard Mouw, Nichoals Wolterstorff e tanti altri (la lista è on line e consultabile). La traduzione è stata autorizzata.

La professione di  fede si trova a questo indirizzo: https://www.evangelicalconfession2024.com/

 

Il vangelo ci convince di queste cose

In questo frangente storico segnato da conflitti e divisioni politiche, vogliamo far conoscere l nostre, seguenti convinzioni cristiane:

Primo: la nostra totale fiducia è posta unicamente in Gesù Cristo

Affermiamo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e l’unico capo della Chiesa (Col 1:18). Nessuna ideologia politica o autorità terrena può rivendicare l’autorità che appartiene a Cristo (Fil 2:9–11). Ribadiamo di attenerci al suo vangelo che si distingue da ogni agenda faziosa. È acclarato che Dio non condivide la sua gloria con qualcun altro (Is 42:8). Il nostro culto si rivolge solo a lui (Es 20:3–4) poiché la nostra speranza più profonda non si appunta su qualche partito, leader, movimento o su qualche nazione ma sulla promessa del ritorno di Cristo quando egli rinnoverà il mondo e regnerà su tutte le cose (1 Cor 15:24–28).

Respingiamo il falso insegnamento secondo il quale qualcun altro, che non sia Gesù  Cristo, sia stato unto da Dio come nostro Salvatore  e che la lealtà cristiana debba essere indirizzata verso qualche partito politico. Respingiamo qualsiasi messaggio che promuove la devozione a un leader umano o che tenta di adattare il culto a una forma di partigianeria.

 

Secondo: ci facciamo guidare dall’amore e non dalla paura

Affermiamo che la potenza salvifica rivelata in Gesù sia motivata dal suo amore per il mondo piuttosto che dall’ira (Gv 3:16). Poiché Dio ha profuso il suo amore su di noi, possiamo amare gli altri (1 Gv 4:19). Riconosciamo che questo mondo è pieno di ingiustizia e di sofferenza, ma non siamo intimoriti poiché Gesù Cristo ci ha promesso che non ci abbandonerà mai (Gv 16:33). A differenza delle false sicurezze promesse dall’idolatria politica e dai suoi araldi, l’amore di Cristo caccia via da ogni paura (1 Gv 4:18). Per questo, non ricorriamo alla paura, alla rabbia o al terrore quando ci impegniamo nella nostra missione; al contrario, seguiamo la via più eccellente di Gesù che è quella dell’amore (1 Cor 12:31––13:13).

Respingiamo lo strumento della paura e il ricorso ai pericoli ritenendo tutto ciò una forma illegittima di santa motivazione e ripudiamo l’uso della violenza per il conseguimento di fini politici, considerandola incongruente con la via di Cristo.

 

Terzo: ci sottomettiamo alla verità della Scrittura

Sosteniamo che la Bibbia sia l’ispirata Parola di Dio, autorevole in materia di fede e di condotta (2 Tm 3:16–17). Ci impegniamo a interpretare e ad applicare la Scrittura fedelmente, guidati dallo Spirito Santo per l’edificazione del popolo di Cristo e la benedizione del suo mondo (Gv 16:3). Crediamo che ogni autentica parola profetica debba allinearsi all’insegnamento della Scrittura e al carattere di Gesù (1 Gv 4:1–3). Parallelamente, riteniamo che mentire sugli altri, incluso gli oppositori politici, è un peccato (Es 20:16). Per questo motivo ci impegniamo a esprimerci con verità e amore (Ef 4:15), sapendo che l’inganno disonora Dio e nuoce alla reputazione della Chiesa.

Respingiamo l’uso sbagliato della Scrittura per sanzionare una singola agenda politica, provocando odio o seminando dissensi sociali, mentre crediamo che usare il nome di Dio per promuovere la disinformazione o la menzogna al fine di ottenere un guadagno politico o personale equivalga a usare invano il nome di Dio (Es 20:7).

 

 Quarto: crediamo che il vangelo sani e possa sanare le divisioni presenti nel mondo

Affermiamo l’unità di tutti i credenti in Gesù Cristo (Gal 3:28) e che per mezzo del suo sacrificio sulla croce, egli ha rimosso le barriere che ci separavano (Ef 2:14–18), facendo si che gente di ogni nazione, tribù, popolo e lingua costituissero una nuova famiglia (Ap 7:9). Siamo chiamati a essere operatori di pace (Mt 5:9) mentre l’unità controculturale della chiesa deve essere un segno per il mondo dell’amore e della potenza di Dio (Gv 13:35; 17:20–21).

Respingiamo ogni tentativo di dividere la Chiesa, che è il Corpo di Cristo, con barriere e confini di parte, etnici o di nazione mentre consideriamo ogni messaggio, che ritiene essere un desiderio di Dio la perpetua segregazione dell’umana famiglia sulla base di razza, cultura o etnia, non sia altro che un messaggio contrario al vangelo.

 

Quinto: ci atteniamo alla missione profetica della chiesa

Sosteniamo che il regno di Cristo non sia di questo mondo (Gv 18:36) e per questo, necessariamente, la Chiesa sia separata da ogni potere politico terreno, di modo che possa parlare profeticamente a tutta la gente, a tutta la società e alle autorità. Alla Chiesa è stata affidata la divina missione della riconciliazione (2 Cor 5:18–21). In primo luogo, invitiamo chiunque a essere riconciliato con Dio mediante la proclamazione del vangelo, nel mentre insegniamo ovunque e a tutti di seguire la via di Gesù (Mt 28:19–20). In secondo luogo, cerchiamo di riconciliare le persone fra di loro, affrontando i temi della giustizia, dell’uguaglianza e della pace (Am 5:24). Svolgiamo questo compito amando il nostro prossimo (Mc 12:31), e impegnandoci pubblicamente con umiltà e integrità, avendo di mira il bene comune così come esso è definito dalla nostra fede in Cristo (Rom 12:18).

Rigettiamo sia l’invito a che la Chiesa si tenga in disparte nei confronti delle problematiche sociali o per paura della contaminazione politica, così come respingiamo qualsiasi tentativo di distorcere la Chiesa rendendola un mero strumento del potere politico o sociale.

 

Sesto: consideriamo ogni persona fatta all’immagine di Dio

Sosteniamo che ogni persona porta l’immagine di Dio e possiede un’intrinseca e infinita dignità (Gen 1:27). Gesù conferì dignità a coloro che la sua cultura svalutava e ci ha insegnato che il nostro amore, al pari di quello di Dio, deve estendersi ai nostri nemici (Mt 5:43–48). La nostra fede in Cristo, dunque, ci costringe ad agire con amore e misericordia verso tutti, dall’inizio della vita alla sua conclusione, e ad onorare chiunque quale portatore dell’immagine di Dio, indipendentemente dall’età, dalle sua capacità, dalla sua identità, convinzione politica o affiliazione (Gv 13:34–35). Ci impegniamo a schieraci in favore del valore di chiunque la nostra società ferisca o ignori.

Rigettiamo ogni pronunciamento che fa ricorso a una retorica disumanizzante che tenta di restringere il campo di chi è degno dell’amore di Dio o che impone limitazioni al comando di «amare il prossimo», dopo che Cristo ha rimosse tali limitazioni.

 

Settimo: i leader saggi li riconosciamo dal loro carattere morale

Riteniamo che il carattere dei leader, sia politici sia spirituali, sia una cosa che conti. Nella Chiesa, seguiamo come leader coloro che mostrano un’evidenza del frutto dello Spirito – amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo (Gal 5:22–23). Gesù ci ha messo in guardia contro i falsi insegnanti che vengono a noi come lupi vestiti da pecore (Mt 7:15). Voci del genere ci tenteranno con l’adulazione, con la cattiva dottrina e con messaggi che a noi fa piacere ascoltare (2 Tm 4:3). Essi servono i falsi idoli del potere, della ricchezza e della forza piuttosto che il vero Dio. Al di fuori della Chiesa prendiamo in considerazione i leader sulla base delle loro azioni e del frutto del loro carattere, non semplicemente sulla base delle loro promesse o del loro successo politico (Mt 7:15–20). Quando qualche leader sostiene di avere l’approvazione di Dio, si trovi egli nella Chiesa o nella politica, noi non vogliamo scambiare l’efficacia con la fedeltà, ma vogliamo discernere attentamente chi è veramente da Dio (1 Gv 4:1).

Respingiamo l’idea che il potere, la popolarità e l’efficacia politica di un leader sia una conferma del favore di Dio o che ai cristiani sia permesso di ignorare l’insegnamento di Cristo sul fatto che essi debbano guardarsi dal potere mondano.

 

Conclusione

Siamo unanimi nella nostra professione di fede in Gesù Cristo, determinati a sostenere la verità del vangelo nei confronti delle pressioni politiche e delle derive culturali. Ci impegniamo per essere una luce nel mondo (Mt 5:14–16) e dei fedeli testimoni della potenza dell’amore di Cristo che trasforma. Preghiamo affinché lo Spirito di Dio faccia rivivere la sua Chiesa e rafforzi il popolo di Dio affinché siano agenti della sua presenza e della sua benedizione, in un tempo così turbolento.

 

A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire irreprensibili e con gioia davanti alla sua gloria,  al Dio unico, nostro Salvatore per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, siano gloria, maestà, forza e potere prima di tutti i tempi, ora e per tutti i secoli. Amen (Gd 24–25)

 

 

 

Tre domande a Valerio Bernardi sulle tradizioni popolari

  1. Le tradizioni popolari fanno parte di quel grande campo di studi che è l’antropologia culturale; che cosa offrono quanto a ricostruzione delle peculiarità dell’essere umano gli studi sui riti e le credenze che rappresentano la sostanza delle tradizioni popolari?

Va subito precisata una cosa. La demologia (così si chiama lo studio delle tradizioni popolari) in Italia ha preceduto lo studio dell’antropologia culturale che è arrivato nel nostro Paese a pieno titolo solamente nella seconda metà del Novecento. Cosa offre oggi la demologia? La possibilità di studiare le usanze, i costumi di quelle che erano chiamate le classi subordinate all’interno della propria società (A.M. Cirese parlava di dislivelli interni di cultura), del cosiddetto popolo che adotta proprie usanze e riti diversi da quelli che appartengono alla cultura ufficiale. Appare chiaro che tale studio ha attraversato diverse fasi e periodi. Nel nostro Paese, gli studi demologici, almeno sino agli anni Novanta del secolo scorso (ma anche oltre) hanno studiato soprattutto le “tradizioni” delle popolazioni contadine, scarsamente alfabetizzate sino agli anni Cinquanta e con una serie di riti e credenze che potevano risalire anche a tempi molto antichi ma che erano state rielaborate sicuramente a partire dalla fine del Cinquecento, sotto il rigoroso controllo della Chiesa Cattolica.

Oggi la demoantropologia si occupa della cultura popolare all’interno delle nostre società complesse e può anche studiare, dal punto di vista qualitativo, fenomeni che hanno a che fare con il popolare odierno. Lo spettro delle inchieste è pertanto più ampio e ci si occupa anche di argomenti come i social, il consumo, le abitudini alimentari non solo delle classi subalterne, ma della società in generale, leggendole come i nuovi riti sociali. Sicuramente la demologia della società contemporanea è profondamente diversa nell’oggetto dello studio da quella precedente. Il lascito della storia delle tradizioni popolari in Italia rimane, però, lo studio della cultura delle classi contadine disagiate, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.

 

  1. In Italia le tradizioni popolari sono nella stragrande maggioranza dei casi legate al cattolicesimo; molte di esse hanno addirittura una radice controriformistica. Come spieghi questo nesso tra tradizioni popolari e religione cristiana?

Il cristianesimo è stato per molto tempo un fenomeno cittadino che, almeno in zone come l’Italia, non aveva coinvolto in maniera diretta e sentita le masse popolari, rappresentate dai contadini che abitavano nelle campagne. Non è un caso che il termine pagano, derivi proprio da pagus, il contado. Per diverso tempo il Cattolicesimo dei contadini in Italia (ma anche in buona parte in Europa) era legato a credenze che provenivano da culti di tipo naturale ed animistico che erano diffusi sin da tempi remoti.

Dopo il XVI secolo la Chiesa Cattolica, che doveva per la prima volta in Europa Occidentale fronteggiare un reale nemico, il Protestantesimo, cercò di “conquistare” al cattolicesimo queste masse. L’operazione effettuata fu quella, dopo il Concilio di Trento, di legare al culto dei Santi e in particolare di Maria la devozione e la credenza delle classi subordinate. Se si legge un’opera come l’Altra Europa dello storico Galasso, si scoprirà che il culto di Maria si diffonderà moltissimo nell’Italia Meridionale dopo la metà del XVI secolo.

Tutto ciò fu fatto attraverso la spettacolarizzazione di processioni, la rivalutazione di forme di pellegrinaggio anche locale verso santuari dove si supponeva fossero avvenute visioni di santi, la rassicurazione della popolazione che viveva una vita incerta ed insicura attraverso l’affidarsi a riti e personaggi questa volta controllati dalla Chiesa. Anche le pratiche di bassa magia o i culti animistici furono messi sotto controllo e calendarizzati secondo l’anno liturgico.

La connessione tra cristianesimo (cattolico) ed usanze deriva da un tentativo di contestualizzazione nell’ambito culturale. Si cercava di adattarsi alla cultura delle popolazioni che non avevano accesso ai dibattiti teologici e che non era in grado di seguirli nella stessa maniera del ceto borghese che via via si autonomizzava dalla Chiesa. L’operazione controriformistica fu sicuramente un successo. Ovviamente da un punto di vista evangelico non si può non dire che tutto questo andava a spese di un autentico cristianesimo evangelico che veniva offuscato da diffusi atteggiamenti paganeggianti che erano assecondati senza una reale opera di evangelizzazione. Contemporaneamente bisogna anche ammettere, però, che l’operazione portata avanti dal cattolicesimo controriformistico rispondeva ad esigenze reali di alcuni territori e di alcuni ceti sociali.

 

  1. Oggi per ragioni di ordine sociale, ma anche turistico e ambientali, si tende a far rivivere, dai piccoli comuni alle grandi città, il clima e gli scenari delle tradizioni popolari ritenendole come un deposito di valori positivi. Quale deve essere l’approccio di un cristiano evangelico a questo mondo? E’ sufficiente la condanna degli elementi idolatrici presenti nelle tradizioni popolari? Possono le tradizioni popolari rappresentare un campo in cui tentare di entrare in dialogo con i sentimenti e i bisogni religiosi, e umani che le animano?

Negli ultimi anni, soprattutto all’interno della rivisitazione di itinerari turistici alternativi diverse di queste tradizioni hanno avuto, dopo un periodo di crisi dovuta all’avanzare della secolarizzazione in ogni parte d’Europa, un recupero ed una ripresa.. La rivalutazione è dovuta più che a motivazioni di tipo religioso a quelle tipo economico. Il folklore porta sempre “colore” e cattura pubblico disposto a passare una giornata per vedere una manifestazione che può destare curiosità. Proprio per questo motivo il ritorno alla tradizioni popolari è visto come una risorsa e come un guardare al passato valorizzando la memoria delle comunità locali. Cosa dire da evangelico? Sicuramente rimane la perplessità della confusione tra l’annuncio del Vangelo e pratiche di tipo pagano che rimane; da studioso, invece, la perplessità deriva dalla ripresa con approcci ancor più consumistici di pratiche che il territorio aveva abbandonato. Oggi lo studioso di antropologia è consapevole che non esiste l’episodio “autentico” e che andrebbero accettati anche i cambiamenti, ma, allo stesso tempo, guarda con una certa criticità alla ripresa di usanze ormai desuete che rischiano anche di dare un’immagine sin troppo localistica del mondo.

Allo stesso tempo non penso che le “tradizioni popolari” appartengano ad un campo che sia assolutamente da evitare. Le manifestazioni culturali vanno comprese e vi sono anche delle occasioni in cui la spiegazione di alcuni fenomeni può aiutarci a comprendere come entrare nel contesto specifico della società in cui bene o male viviamo.

Qualche decennio fa Ernesto De Martino, il più noto etnologo italiano, spiegava alcuni di questi fenomeni (tarantismo, pianto rituale, pratiche di bassa magia) con la categoria della “crisi della presenza”, mutuata dalla psicologia fenomenologica. La crisi della presenza avviene nel soggetto umano quando, di fronte ad un mondo in cui la vita è incerta, o vi sono manifestazioni di disagio (il soggetto in preda a convulsione dovuta al morso della “taranta”) o ci si affida a dei taumaturghi esterni che ognuno cerca di propiziarci. Sono convinto che la crisi della presenza sia un’immagine interessante di quello che avviene in certi fenomeni connessi alle tradizioni popolari.

Io penso che gli evangelici, pur condannando alcune delle tradizioni popolari (non bisogna fare di tutt’erba un fascio, non trovo nulla di male nei vari palii o sagre o nei canti popolari non a sfondo religioso) debbano anche comprendere quanto spazio di manovra di annuncio del Vangelo ci sia nel bisogno espresso dalle masse popolari nell’esigenza di ricercare un rifugio dalle asperità della vita. Pertanto uno studio adeguato delle tradizioni popolari potrebbe portare anche alla ricerca di una maniera originale di annunciare il Vangelo. Il discorso di Paolo in Atti 17 rimane attuale anche in questo campo di studi.

Valerio Bernardi è docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Quinto Orazio Flacco di Bari e presso l’UNiversità degli Studi della Basilicata. E’ membro del Comitato Editoriale di Edizioni GBU e del DiRS-GBU