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Quattro modi in cui i cristiani possono influenzare il mondo.

 

 

Riapriamo i contributi del Dirs, proponendo la traduzione di una predicazione di John Stott, pubblicato con il permesso della rivista Christianity Today, che qui ringraziamo. Il 2021 è l’anno per le celebrazioni di Stott, perché cade il centenario della nascita e il decennale della sua dipartita da questo mondo. Il predicatore inglese è stato uno delle persone più influenti del panorama evangelico del XX secolo. Ha dato alla missione cristiana uno spessore culturale notevole e, oltre ad essere stato l’ispiratore del Movimento di Losanna, ha ispirato diverse generazioni di pensatori evangelici. Abbiamo scelto di celebrare questo “gigante” della fede, dando la parola direttamente a lui, proponendo una sua predicazione, in cui si vede la sua profondità e tutta la sua grandezza come uomo di fede. Riteniamo anche che lo scritto sia di estrema attualità anche oggi e che la sua lettura del mondo contemporaneo fatta in diversi suoi libri (alcuni dei quali tradotti in italiano dalle Edizioni Gbu: il testo qui presentato riecheggia sicuramente Il messaggio del Sermone sul Monte,  https://edizionigbu.it/libreria/il-messaggio-del-sermone-sul-monte/ ) sia una delle più efficaci. Tale lettura del mondo moderno si allinea perfettamente a quella di un movimento che vuole portare il Vangelo nel mondo accademico. Buona lettura. (Valerio Bernardi)

 

Quattro modi in cui i cristiani possono influenzare il mondo.

Come possiamo essere sale della terra.

di John Stott.

 

Alienazione è in origine una parola marxista e Karl Marx indicava con essa l’alienazione dei lavoratori dal prodotto del proprio lavoro. Quando ciò che ha prodotto è venduto dal padrone della fabbrica, è alienato dal frutto del proprio lavoro. Ma al giorno d’oggi la parola alienazione ha il più ampio significato di impotenza. Ogni volta che ci si sente impotenti da un punto di vista politico od economico, ci si sente alienati. Jimmy Reid, un ben noto consigliere marxista a Glasgow e leader dei lavoratori portuali del Clydeside, quando era rettore dell’università di Glasgow, ha detto, “L’alienazione è il grido degli uomini che si sentono vittime delle cieche forze economiche oltre il loro controllo. L’alienazione è la frustrazione delle persone comuni che sono escluse dai processi decisionali”. Abbiamo una qualche influenza? Abbiamo un qualche potere? Questo è il problema.

La parola influenza può talvolta essere usata per una sete di potere auto-rerefenziale, come nel famoso libro di Dale Carnegie Come trattare gli altri e farseli amici. Ma si può anche usare per indicare il modo disinteressato dei Cristiani che rifiutano di accettare lo status quo, che sono determinati a vedere che le cose cambino nella società e che desiderano di avere una qualche influenza per Gesù Cristo. Sono senza potere? La ricerca del cambiamento sociale è senza alcuna speranza ancor prima che iniziamo? O i Cristiani possono esercitare una qualche influenza per Gesù Cristo?

C’è molto pessimismo oggi che afferra e paralizza le persone. Alzano le braccia in una sorta di sacro sgomento. La società è marcia dentro. Ogni cosa è senza speranza; non c’è nessuna speranza se non nel ritorno di Gesù Cristo. Come Edward Norman, decano della Peter House a Cambridge, ha detto una volta in un’intervista alla radio, “La gente è spazzatura”.

Ma la gente non è spazzatura. La gente è composta da uomini e donne fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Sono in realtà caduti, ma l’immagine di Dio non è stata distrutta. Sono capaci di fare qualcosa di buono? La dottrina della totale depravazione, che significa che ogni parte del nostro essere umano è stato contaminato dalla Caduta, non significa che siamo incapaci di fare qualcosa di buono. Gesù stesso ha detto che sebbene siamo malvagi, siamo capaci di fare cose buone e dare buoni doni ai nostri figli. Ora, naturalmente crediamo nella Caduta. Crediamo che Cristo è venuto di nuovo per mettere le cose a posto. Se si sviluppa una mentalità cristiana, non ci si sofferma esclusivamente sulla caduta dell’uomo e del sul ritorno di Cristo. Si pensa anche alla creazione ed alla redenzione per mezzo di Gesù Cristo. E dobbiamo permettere alla Creazione di essere, come lo è stata, qualificata dalla Caduta e la Caduta dalla Redenzione e la Redenzione dal Compimento. E la mente cristiana pensa nei termini di questo scopo totale di Dio, che include la Creazione, la Caduta, la Redenzione ed il Compimento.

Se siamo pessimisti e pensiamo che non siamo capaci di fare alcunché nella società umana di oggi, mi azzerderei ad affermare che siamo estremamente sbilanciati da un punto di vista teologico, se non addirittura eretici e nocivi. E’ ridicolo dire che i Cristiani non possono influenzare la società. E’ sbagliato biblicamente e storicamente. Il cristianesimo ha avuto una enorme influenza nella società attreverso la sua lunga e movimentata storia. Si guardi a questa conclusione di Kenneth Latourette nella sua opera in sette volumi sulla storia dell’espansione del cristianesimo:

“Nessuna vita mai vissuta su questo pianeta è stata così influente nelle vicende degli uomini come la vita di Gesù Cristo. Da quella breve vita e dalla sua apparente frustrazione è scaturita una forza più potente per la trionfante vittoria della lunga battaglia dell’uomo di ogni altra che sia stata conosciuta dalla razza umana. Da ciò milioni sono stati sollevati dall’analfabetismo e l’ignoranza e sono stati collocati sulla strada di una crescente libertà intellettuale e controllo sull’ambiente fisico. Ha fatto più per alleviare i dolori fisici della malattia e della fame di ogni altro impulso conosciuto dall’uomo. Ha emancipato milioni dalla schiavitù dei beni mobili e altri milioni dall’assuefazione al vizio. Ha protetto decine di milioni dallo sfruttamento dei loro compagni. E’ stato la fonte più fruttuosa per diminuire gli orrori della guerra e nel porre le relazioni tra uomini e nazioni sulla base della giustizia e della pace.”

Cristo e la sua chiesa hanno avuto un’enorme influenza. E se solo fossimo strenuamente impegnati per Gesù Cristo nella pienezza del nostro impegno, allora dovremmo avere ancora più influenza di quanto ne abbiamo.

Pertanto, via dal pessimismo e via anche dal cieco ottimismo, come se pensassimo che l’utopia fosse dietro l’angolo. No, i cristiani sono persone dalla mente sobria, realisti biblici, che hanno una dottrina ben bilanciata della redenzione e del compimento. Non siamo impotenti. Ho paura che siamo piuttosto spesso pigri e miopi, non fiduciosi e disobbedienti al mandato di Gesù.

 

Oltre la semplice sopravvivenza

Per molti di noi, i versetti di Matteo 5 diventano sempre più familiari. Vediamo la loro grande importanza oggi ed iniziamo a vederli di nuovo. Nel Sermone sul Monte, Gesù proclama, nel versetto 13: “Voi siete il sale della terra”. Versetto 14: “Siete la luce del mondo”. Versetto 16: “Così la vostra luce risplenda di fronte agli uomini, in modo che vedano le vostre buone opere e glorifichino vostro Padre, che è nel cielo”.

In tutte queste metafore del sale e della luce, Gesù insegna quale sia la responsabilità dei Cristiani in una società non-cristiana, o sub-cristiana, o post-cristiana. Mette in evidenza la differenza tra cristiani e non cristiani, tra chiesa e mondo, e mette in evidenza l’influenza che i cristiani dovrebbero avere su un ambiente non cristiano. La distinzione tra i due è chiara. Il mondo, dice, è come carne putrefatta. Ma si deve essere il sale del mondo. Il mondo è come una notte oscura, ma si deve essere la luce del mondo. Questa è la fondamentale differenza tra i cristiani e i non cristiani, la chiesa e il mondo.

Poi va dalla distinzione all’influenza. Come il sale nella carne marcia, i cristiani devono ostacolare la decadenza sociale. Come la luce nel buio prevalente, i Cristiani devono illuminare la società e mostrare una via migliore. E’ molto importante comprendere questi due stadi nell’insegnamento di Gesù. Più cristiani accettano che c’è una distinzione tra cristiani e non cristiani, tra la chiesa ed il mondo. La nuova società di Dio, la chiesa, è differente dalla vecchia società come il sale dalla carne putrefatta e la luce dalle tenebre.

Ma ci sono troppe persone che si fermano qui; troppe persone la cui sola preoccupazione è con il sopravvivere, ovvero con il mantenere la distinzione. Il sale deve mantenere la sua sapidità, dicono. Non deve diventare contaminato. La luce deve mantenere la sua brillantezza. Non deve essere soffocata dalle tenebre. E’ vero. Ma questo è semplicemente sopravvivenza. Sale e luce non sono soltanto un po’ differenti dal loro ambiente. Il sale deve essere sparso sulla carne per evitare che marcisca. La luce deve brillare nelle tenebre. Deve essere sistemata in una plafoniera e deve dare luce all’ambiente. Questo significa influenzare l’ambiente ed è piuttosto differente dalla semplice sopravvivenza.

Quattro poteri

 

Qual è la natura di questa influenza? Voglio suggerire alcuni modi in cui noi cristiani abbiamo potere.

In primo luogo, c’è potere nella preghiera. Vi supplico di non considerarlo un pio luogo comune. Non lo è. Ci sono dei cristiani che sono degli attivisti sociali che non smettono mai di pregare. Hanno torto non è vero? La preghiera è una parte indispensabile della vita dei cristiani e della vita della chiesa. Ed il primo dovere della chiesa verso la società e suoi leader è pregare per loro. “Esorto, dunque, prima di tutto”, scrive Paolo nella sua prima epistola a Timoteo, “a fare suppliche, preghiere, intercessioni, rendimenti di grazie per i re e per tutti quelli che sono in posizione di preminenza, perché trascorriamo un’esistenza quieta e calma, in tutta pietà e dignità”.

Se nella comunità c’è più violenza che pace, più indecenza che modestia, più oppressione che giustizia, più secolarismo che religiosità, è perché la chiesa non sta pregando come dovrebbe? Credo che nei nostri normali culti, dovremmo prendere con maggiore serietà i cinque o dieci minuti di intercessione, in cui, come comunità, ci inginocchiamo davanti a Dio e portiamo a lui il mondo ed i suoi leader, e gli richiediamo di intervenire. E lo stesso è vero nelle nostre riunioni di preghiera, nei gruppi di fratellanza, e nelle nostre preghiere private. Penso che molti di noi, me stesso incluso, siamo più provinciali che globali nelle nostre preghiere. Ma non siamo cristiani globali? Non condividiamo le nostre preoccupazioni globali con il nostro Dio globale? Dovremo esprimere le nostre preoccupazioni nelle nostre preghiere.

In secondo luogo, c’è il potere della verità. Tutti noi crediamo nel potere della verità del Vangelo. Amiamo dire “Infatti, non mi vergogno del vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rom. 1: 16). Siamo convinti della potenza del vangelo nell’evangelismo, che porta salvezza e redenzione a coloro che rispondono e credono in Gesù. Ma non è soltanto il Vangelo che è potente. Tutta la verità di Dio è potente. La verità di Dio di qualunque tipo è molto più potente delle bugie del Diavolo. Lo credete, o siete pessimisti? Pensate che il Diavolo è più forte di Dio? Pensante che le bugie siano più forti della verità? I cristiani credono che la verità è più forte delle bugie, e che Dio è più forte del Diavolo. Come Paolo scrive in II Corinzi, 13: 8: “Non possiamo nulla contro la verità, ma solo a favore della verità”. Come Giovanni ha detto nel suo prologo per il quarto vangelo: “La luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non prevaranno”. Naturalmente non possono; quella luce è la verità di Dio.

Aleksandr Solzhenitsyn, il leggendario dissidente sovietico, credeva nel potere della verità sopra le bugie. Quando ricevette il premio Nobel per la letteratura, fece un discorso intitolato “Una parola di Verità” Gli scrittori, dice, “non hanno missili da far esplodere. Non…guidiamo neanche il più insignificante veicolo di supporto. Non abbiamo nessun potere militare. Pertanto cosa può fare la letteratura di fronte all’assalto spietato della violenza manifesta?” Solzhenitsyn non dice che non abbiamo alcun potere. Dice: “Una parola di verità prevale sul mondo intero”. Se qualcuno dovrebbe chiedere una cosa del genere sono i Cristiani. E’ vero. La verità è molto più potente delle bombe, dei carri armati e delle armi.

Come vedremo il potere della verità all’opera? Persuasione attraverso l’argomentazione. Abbiamo soltanto bisogno di apologeti della dottrina nell’evangelismo che sostengano la verità del Vangelo, alla stessa maniera ci occorrono apologeti dell’etica nell’azione sociale per sostenere la verità e la bontà della legge morale di Dio. Abbiamo bisogno di pensatori cristiani che usino le loro menti per Gesù Cristo, che vogliano parlare e scrivere e parlare alla radio ed andare in televisione con lo scopo di influenzare la pubblica opinione.

Vi farò velocemente qualche esempio. Non si possono forzare le persone ad andare in chiesa facendo una legge. Non li puoi forzare a riposare la domenica. Non possiamo semplicemente citare dalla Bibbia come se così risolvessimo il problema. Ma dobbiamo portare avanti le nostre migliori argomentazioni. Dobbiamo argomentare che, psicologicamente e fisicamente, gli esseri umani hanno bisogno di un giorno di riposo ogni sette, e che socialmente è bene per la famiglia che sono separate durante la settimana di stare un giorno insieme la domenica. Possiamo essere a favore di una legislazione che protegge i lavoratori dall’essere costretti a lavorare ed incoraggi la vita famigliare. In questo esempio, non stiamo né imponendo la nostra visione cristiana, né stiamo lasciando i non cristiani soli nelle loro idee, né stiamo citando la Bibbia in maniera dogmatica. Stiamo semplicemente usando ogni argomentazione (fisica, psicologica, sociologica) per raccomandare la saggezza e la verità dell’insegnamento biblico. Perché? Perché crediamo nel potere della verità.

Se si dubita della potenza delle forme secolari delle argomentazioni per illuminare la verità biblica, allora si consideri un articolo apparso nella rivista americana Seventeen intitolato “Il caso contro la convivenza”. E’ un’intervista con Nancy Moore Clatworthy, una sociologa dell’Ohio State University. Per dieci anni, Clatworthy aveva studiato il fenomeno delle coppie non sposate che vivevano insieme. Quando aveva iniziato, era favorevole a tale pratica. “I giovani”, diceva, “ci hanno detto che è una cosa meravigliosa”. E diceva che gli credeva. Le sembrava che fosse un accordo opportuno, un passo utile nel corteggiamento in cui le coppie si conoscevano meglio. Ma la sua ricerca che comprendeva test fatti a centinaia di persone, sposate e non sposate, l’ha portata a cambiare idea. Ed è arrivata alla conclusione che convivere non stava funzionando come le coppie si aspettavano, in special modo per le ragazze. Le aveva trovate tese, timorose, guardando al di là di ogni retorica al possibile dolore ed agonia.

Clatworthy fa due considerazioni: nell’area della felicità, rispetto ed accomodamento “le coppie che convivono prima del matrimonio hanno più problemi della coppie che si sposano prima”. In ogni campo, le coppie che convivono prima del matrimonio sono in disaccordo più spesso delle coppie che non lo hanno fatto. Convivere, conclude, non risolve i problemi.

La sua seconda considerazione era sull’impegno, le aspettative che una persona ha sui risultati di una relazione. L’impegno è ciò che permette al matrimonio ed al convivere di funzionare. Ma qui sorge il problema: “Sapere che qualcosa è provvisorio, come convivere non sposandosi, influisce sul grado di impegno in esso. Così le coppie non sposate sono meno impegnate nel far funzionare e nel proteggere la propria relazione. E, di conseguenza, il 75 per cento di loro interrompono la relazione. E specialmente le ragazze sono fortemente ferite da ciò.” Conclude, “statisticamente si sta molto meglio sposandosi che convivendo, perché per le persone che sono innamorate, nulla meno di un impegno è una scappatoia.”

Ora non penso che Clatworthy sia cristiana. Il suo appello non è all’autorità della Scrittura ma ai risultati delle ricerche sociologiche. E tuttavia la sua ricerca sociologica difende l’etica cristiana e la sua applicazione all’istituzione del matrimonio. Ci ricorda che la verità di Dio ha potenza, sia nella forma biblica che non biblica.

Il nostro terzo potere è il potere dell’esempio. La verità è potente quando è argomentata. E’ ancora più potente quando è mostrare. Alle persone non occorre soltanto comprendere l’argomentazione. Gli occorre vedere i benefici dell’argomentazione con i propri occhi. E’ difficile esagerare la potenza per il bene che una famiglia realmente cristiana può esercitare, per esempio, nello sviluppo di un vicinato di case popolari. L’intera comunità può vedere marito e moglie che si amano e si onorano a vicenda, che sono devoti e fedeli l’un l’altro, e trovano compimento l’uno nell’altro. Vedono i bambini crescere nella sicurezza di una casa amorevole e ben regolata. Vedono una famiglia non ripiegata su sé stessa, ma che si volge all’esterno, che si intrattiene con gli estranei, facendoli sentire i benvenuti, mantenendo la propria casa aperta, cercando di essere coinvolti nei problemi della comunità. Un’infermiera cristiana in un ospedale: un insegnante cristiano in una scuola; un cristiano in un negozio, in una fabbrica, o in un ufficio potranno fare la differenza, per il bene o per il male.

I cristiani sono persone segnalate. Il mondo sta guardando. E il modo maggiore per Dio di cambiare la vecchia società è impiantare in essa la sua nuova società, con i suoi valori differenti, i suoi standard differenti, le gioie differenti e gli scopi differenti. La nostra speranza è che il mondo che guarda vedrà queste differenze, e le troverà attraenti, che “vedano le vostre buone opere e glorifichino vostro Padre che è in cielo” (Mat. 5: 16).

In quarto luogo, i cristiani hanno il potere di un gruppo solidale, il potere di una minoranza dedicata. Secondo il sociologo americano Robert Belair, dell’Institute for Advanced Study dell’Università di Princeton, “Non dovremo sottostimare il significato di piccoli gruppi che hanno la visione di un mondo giusto e gentile. La qualità di un intera cultura potrebbe essere cambiate quando il due per cento delle proprie persone hanno una nuova visione.”

Quella era il modo in cui agiva Gesù. Ha iniziato con un piccolo gruppo composto da solo 12 persone dedicate. Entro pochi anni, gli ufficiali romani si lamentavano che stava mettendo il mondo sotto sopra. C’è una grande necessità di gruppi di cristiano dedicati ed impegnati reciprocamente, impegnati per una visione di giustizia, impegnati per Cristo; gruppi che vogliono pregare assieme, pensare insieme, formulare politiche insieme e mettersi all’opera insieme nella comunità.

Volete vedere la nostra vita nazione essere più gradevole a Dio? Avete la visione di una nuova religiosità, una nuova giustizia, una nuova libertà, una nuova equità, una nuova compassione? Volete pentivi del pessimismo sub-cristiano? Volete riaffermare la vostra fiducia nella potenza di Dio, nella potenza della preghiera, della verità, dell’esempio, dell’impegno di gruppo, e del vangelo? Offriamo noi stessi a Dio, come strumenti nelle sue mani, come sale e luce nella comunità. La chiesa potrebbe avere un enorme influenza per il bene, in ogni nazione sulla terra, se vogliamo impegnarci totalmente per Cristo. Diamo noi stessi a lui che ha dato sé stesso per noi.

(tr. it. Valerio Bernardi, per gentile concessione di Christianity Today, articolo originale al seguente link: https://www.christianitytoday.com/ct/2011/october/john-stott-four-ways-christians-can-influence-world.html)

Rene Padilla (1932-2021) Padre della missione integrale

Il padre della missione integrale

Lo scorso 27 aprile, all’età di 88 anni, è andato con il Signore uno dei maggiori teologici evangelici sudamericani: René Padilla. Nato in Ecuador, Padilla ha collaborato con diverse organizzazioni missionarie interdenominazionali. È stato, tra le altre cose, per diversi anni un membro dello Staff di IFES ed uno degli ispiratori del Movimento di Losanna. Proprio nel 1974 fece uno famoso discorso nel grande convegno missionario, dove ribadì la centralità nella missione anche dei paesi emergenti del mondo, mostrando come il mondo evangelico, sino a quel momento, era stato sin troppo eurocentrico (il titolo del discorso di Losanna è Evangelism and the World e lo si può leggere in inglese al seguente link: https://lausanne.org/content/evangelism-and-the-world). Autore di diversi saggi, è stato l’inventore dell’espressione missione integrale. Abbiamo pensato, poiché praticamente nulla è stato tradotto di questo importante esponente dell’evangelismo mondiale, che fosse utile proporre una sua conferenza del 2003.

Ringraziamo El Camino Network per averci concesso il permesso di tradurre il testo che vi proponiamo e che si sofferma proprio sulla missione integrale. Nonostante siano passati diversi anni, riteniamo il concetto ancora perfettamente attuale soprattutto per un’organizzazione che vuole proclamare il Vangelo da “studente a studente”.

(Valerio Bernardi – DiRS GBU)

 

Che cos’è la missione integrale?
(di René Padilla)

Sebbene sia da un po’ diventato di moda usare il termine missione integrale, l’approccio alla missione che esso esprime non è nuovo. La pratica della missione integrale risale a Gesù stesso e alla chiesa cristiana del primo secolo. Inoltre, un numero crescente di chiese sta mettendo in pratica questo stile di missione senza necessariamente usare questa espressione per riferirsi a ciò che stanno facendo: missione integrale non fa parte del loro lessico. È chiaro che la pratica della missione integrale è molto più importante dell’uso di questa nuova espressione per riferirsi ad essa.

L’espressione missione integrale (misin integral) è entrata in uso nella Fraternità Teologica Latino Americana (FTL) circa vent’anni fa. È un tentativo di mettere in evidenza l’importanza di concepire la missione della chiesa in una struttura più biblico–teologica di quella tradizionale, che è stata accettata nei circoli evangelici grazie all’influenza del moderno movimento missionario. Negli ultimi anni l’espressione è stata così ampiamente usata che la traduzione letterale è gradualmente diventata parte del lessico di coloro che stanno premendo per un approccio più olistico alla missione cristiana, anche al di fuori della cerchia evangelica di lingua ispanica.

Che cos’è questo approccio alla missione? In che aspetti si differenzia dall’approccio tradizionale?

 

L’approccio tradizionale alla missione

Nell’approccio tradizionale, che ha preso forma nel moderno movimento missionario, specialmente dalla fine del diciottesimo secolo, la missione cristiana era concepita principalmente in termini geografici: consisteva nell’attraversare le frontiere geografiche con lo scopo di portare il vangelo dall’Occidente cristiano ai campi di missione del mondo non cristiano (i pagani). In altre parole, parlare di missione significava parlare di missione transculturale.

Lo scopo della missione era salvare anime e piantare chiese, principalmente in paesi stranieri, attraverso la predicazione del vangelo. Gli agenti della missione erano principalmente i missionari, la maggioranza dei quali erano affiliati alle società missionarie, sia denominazionali che interdenominazionali (le missioni di fede). Le qualifiche dei missionari variavano, ma si dava per scontato che il primo requisito (in aggiunta, naturalmente, all’esperienza di conversione a Gesù Cristo) era quello di sentire, generalmente a un livello soggettivo ed individuale, di essere stati chiamati da Dio al campo missionario. Rispondere alla chiamata di Dio alla missione, come nel caso della chiamata al pastorato, era solitamente considerata la chiamata più alta, il massimo impegno che un cristiano potesse fare nel servire Dio. In nessuna maniera si considerava fosse qualcosa che ci si aspettava da tutti i cristiani.

Qual era la responsabilità della chiesa locale in questo modello? Ad eccezione di poche chiese (specialmente tra le Assemblee dei Fratelli) che mandavano missionari senza l’intervento delle società missionarie, il ruolo della chiesa locale era ridotto a fornire il personale e il supporto spirituale e finanziario alla missione. Anche la preparazione e l’addestramento dei missionari era delegato dalle chiese locali a speciali istituzioni.

Si dovrebbe sottolineare, comunque, che con tutte le sue debolezze, questo concetto di missione, caratteristico del moderno movimento missionario ha ispirato (e in molti casi continua ad ispirare) migliaia di missionari transculturali a fare ciò che Abramo ha fatto molti secoli fa: lasciare la propria patria e e la propria famiglia e andare verso la terra che Dio gli mostrava. Sono usciti per diffondere la buona notizia della salvezza in Gesù Cristo, e quindi hanno scritto alcune delle pagine più commoventi della storia della chiesa. Grazie all’opera di questi missionari tradizionali, veri eroi della fede, molti dei quali hanno dato le proprie vite per il bene di Gesù Cristo, oggi la chiesa è un movimento diffuso in tutto il mondo con comunità in pratica in ogni nazione della terra. Lode a Dio!

Dall’altro lato, bisogna riconoscere che l’identificazione della missione della chiesa con la missione transculturale ha avuto come risultato almeno quattro dicotomie che hanno avuto un effetto negativo sulla chiesa.

  1. La dicotomia tra le chiese che mandano i missionari (generalmente collocate nell’Occidente cristiano) e le chiese che ricevono i missionari (quasi esclusivamente nel cosiddetto mondo in via di sviluppo: Asia, Africa e America Latina). Questo modello sta cambiando, grazie al crescente numero di missionari inviati da paesi al di fuori dell’Occidente (o dalla periferia dell’Occidente, nel caso dell’America Latina). Si deve riconoscere, comunque, che sino a poco tempo fa la missione (transculturale) era portata avanti dai quartier generali in Europa (per esempio, Inghilterra, Scozia, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia) o negli Stati Uniti, Australia o Nuova Zelanda. Il movimento missionario transculturale con quartieri generali in Asia, Africa o America Latina è relativamente nuovo.
  2. La dicotomia tra casa, collocata in qualche paese dell’Occidente cristiano e il campo missionario, collocato in qualche paese pagano. Non è sorprendente che la maggioranza dei missionari in carriera (alcuni con diversi anni di servizio) decidessero di ritirarsi nella propria madrepatria.
  3. La dicotomia tra missionari, chiamati da Dio a servirlo e i comuni cristiani ordinari, che potevano godere dei benefici della salvezza ma erano esentati dal condividere ciò che Dio voleva fare nel mondo. Oserei suggerire che la dicotomia tra clero (inclusi i missionari e i pastori) e i laici è alla base dal problema delle masse di cristiani domenicali che frequentano le chiese evangeliche.
  4. La dicotomia tra la vita e la missione della chiesa. Se, per far sì che una chiesa fosse una chiesa missione, era sufficiente inviare e sostenere qualcuno dei suoi membri che servivano nelle missioni all’estero era allora possibile che una chiesa non avesse influenza significativa o impatto nel suo proprio ambiente: la vita della chiesa era portata avanti nei locali (a casa); la missione aveva luogo in un paese straniero (il campo di missione).

Tutte queste dicotomie erano il risultato della riduzione della missione agli sforzi missionari transculturali. Di conseguenza, la missione veniva ridotta principalmente al compito di evangelizzazione portato avanti dai missionari inviati dai paesi cristiani in campi missionari nel mondo; pertanto la responsabilità missionaria dell’intera chiesa era adempiuta dai rappresentanti o in maniera vicaria, per dirlo senza mezzi termini.

 

La missione integrale, un nuovo paradigma

Dalla prospettiva della missione integrale la missione transculturale è ben lontana dall’esaurire la significatività della missione della chiesa. La missione potrebbe o non potrebbe includere un attraversamento delle frontiere geografiche, ma in ogni caso significa primariamente un attraversamento della frontiera tra fede e non fede, sia nel proprio paese di appartenenza (a casa) sia in un paese straniero (nel campo missionario), secondo la testimonianza di Gesù Cristo come Signore di tutta la vita e di tutta la creazione. Ogni generazione di cristiani in ogni luogo riceve la potenza dello Spirito che rende possibile la testimonianza del vangelo a Gerusalemme in tutta la Giudea e la Samaria, sino alle estremità della terra (Atti 1:8). In altre parole, ogni chiesa, dovunque si trovi, è chiamata a condividere la missione di Dio che è locale, regionale e mondiale nel proprio scopo, iniziando da Gerusalemme. Per attraversare la frontiera tra fede e non fede non è indispensabile attraversare i confini geografici; il fattore geografico è secondario. L’impegno alla missione è la vera essenza dell’essere chiesa; perciò la chiesa che non è impegnata nella missione di testimoniare di Gesù Cristo e quindi di attraversare la frontiera tra fede e non fede non è più una chiesa, ma diventa un circolo religioso; semplicemente un gruppo di amici, o un’agenzia di assistenza sociale.

Quando la chiesa si impegna nella missione integrale e comunica il vangelo attraverso ogni cosa che è, fa e dice, comprende che il suo scopo non è diventare grande da un punto di vista numerico né di essere ricca materialmente né di essere potente politicamente. Il suo scopo è incarnare i valori del Regno di Dio e testimoniare l’amore e la giustizia rivelata in Gesù Cristo, mediante la potenza dello Spirito, per la trasformazione della vita in tutte le sue dimensioni, sia a livello individuale sia a livello comunitario.

La realizzazione di questo scopo presuppone che tutti i membri della chiesa, senza eccezione, per lo stesso fatto di essere diventati una parte del Corpo di Cristo, ricevano i doni e i ministeri per l’esercizio del proprio sacerdozio a cui sono stati ordinati nel loro battesimo. La missione non è responsabilità e privilegio di un piccolo gruppo di fedeli che si sente chiamato al campo missionario (di solito in un paese straniero), ma da tutti i membri, dal momento che tutti sono membri del reale sacerdozio e come tali sono stati chiamati da Dio a proclamare le sue lodi in quanto chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce (1 Pt 2:9), dovunque si possa essere. Come Brian McLaren giustamente afferma:

«Per Cristo, i suoi chiamati (che è ciò che il termine Greco chiesa significa realmente) saranno anche i suoi inviati (o missionari) … In questa linea di pensiero sulla chiesa non dobbiamo reclutare gente per essere clienti dei nostri prodotti o consumatori dei nostri programmi religiosi; li reclutiamo per essere colleghi nella nostra missione. La chiesa non esiste per soddisfare i bisogni da consumatori dei credenti; la chiesa esiste per equipaggiare e mobilitare uomini e donne per la missione di Dio nel mondo».

Secondo questa visione, allora, qual è il ruolo della chiesa locale nella missione? Abbiamo già formulato la risposta nelle parole di McLaren: attrezzare e mobilitare uomini e donne per la missione di Dio nel mondo, non esclusivamente nella costruzione di edifici di culto, che potrebbero o non potrebbero esserci, ma in tutti i campi della vita umana: a casa, nel mondo degli affari, nell’ospedale, nell’università, in ufficio, nell’officina…in conclusione, dovunque, dal momento che non vi è posto che non sia nell’orbita della signoria di Cristo.

Compreso in questi termini questo rinnovato paradigma per la missione non è così nuovo ma è piuttosto il ripristino del concetto biblico di missione dal momento che, in realtà, la missione è fedele all’insegnamento della Scrittura nella misura in cui è collocato al servizio del Regno di Dio e della sua giustizia. Di conseguenza, è focalizzato sull’attraversare la frontiera tra fede e non fede, non soltanto in termini geografici, ma anche in termini culturali, etnici, sociali, economici e politici, per lo scopo di trasformare la vita in tutte le sue dimensioni, secondo il piano di Dio, cosicché tutte le persone e comunità umane possano avere l’esperienza della vita abbondante che Cristo offre. Pertanto la missione integrale risolve le dicotomie summenzionate nella seguente maniera.

  1. Almeno in principio, tutte le chiese mandano e tutte le chiese ricevono. In altre parole, tutte le chiese hanno qualcosa da insegnare e qualcosa da imparare dalle altre chiese. La strada della missione non è una via a senso unico dai paesi cristiani ai paesi pagani; è una strada a due sensi. Un buon esempio si vede oggi nel movimento missionario che proviene dai paesi del Sud del mondo, che sta inviando un crescente numero di missionari interculturali anche nei paesi del Nord del mondo.

 

  1. Tutto il mondo è un campo di missione e ogni bisogno umano è un’opportunità per il servizio missionario. La chiesa locale è chiamata a dimostrare la realtà del Regno di Dio tra i regni di questo mondo, non soltanto attraverso ciò che dice ma anche attraverso ciò che è e ciò che fa, in risposta ai bisogni umani in tutti gli aspetti. Francesco d’Assisi aveva ragione quando, dopo aver inviato i suoi seguaci a proclamare il vangelo, li esortava a proclamarlo con ogni mezzo a propria disposizione, e affermando che, se fosse stato realmente necessario, avrebbero usato le parole. La proclamazione del vangelo include ogni cosa che facciamo mossi dallo Spirito di Gesù che, quando vide le folle, ebbe compassione di loro, perché erano tormentate e senza aiuto, come un gregge senza pastore (Mt 9:36).

 

  1. Ogni cristiano è chiamato a seguire Gesù Cristo e ad impegnarsi per la missione di Dio nel mondo. I benefici della salvezza sono inseparabili da uno stile di vita missionario, e questo implica, tra le altre cose, la pratica del sacerdozio universale dei credenti in tutte le sfere della vita umana, secondo i doni e i ministeri che lo spirito di Dio ha liberamente conferito alla sua gente. È responsabilità dei pastori e degli insegnanti preparare il popolo di Dio per il lavoro del servizio [diakonia], in modo che tale corpo di Cristo possa essere incrementato (Ef 4:12)

 

  1. La vita cristiana in tutte le sue dimensioni, sia nell’aspetto individuale sia a livello comunitario, è la testimonianza primaria alla signoria universale di Gesù Cristo e alla potenza trasformatrice dello Spirito Santo. La missione è molto più che parole; implica la qualità della vita che si dimostra nell’esistenza che ripristina lo scopo originale di Dio per la relazione della persona umana con il suo creatore, con il suo prossimo e con tutta la creazione.

In conclusione, la missione integrale è il mezzo disegnato da Dio per portare, all’interno della storia, il suo scopo di amore e giustizia rivelata in Gesù Cristo, mediante la chiesa e nella potenza dello Spirito.