Tre domande a Jonathan Lamb sulla Brexit
Jonathan Lamb
Nel mentre sto scrivendo molti dei miei amici e famigliari, di fatto tutti i miei connazionali inglesi, hanno celebrato oppure hanno fatto cordoglio per la nostra recente separazione dall’Europa. Durante la mia vita niente è stato così divisivo e polarizzante nella società britannica come questa questione. Essa ha fatto venir fuori differenze sostanziali in ordine a identità, cultura e tradizioni ed è stata caratterizzata da una retorica divisiva, segnata dalla perdita del garbo nel dibattito pubblico, e aizzata da posizioni stridenti sui social media. L’intero dibattito è stato amplificato dalle tribù cibernetiche che sembravano incapaci di espressioni sfumate o di legittimare posizioni di compromesso o finanche incapaci della cortesia dell’ascolto. Tutto ciò che è accaduto provoca degli interrogativi di fondo.
Chi ha ragione?
Dobbiamo sicuaramente ammettere che, come in tutti i dibattiti nazionali, ci sono motivazioni e importanti argomentazioni da entrambe le parti. Per coloro che desideravano separarsi (to leave) le preoccupazioni includevano la necessità di una gestione sapiente dell’immigrazione, il problema della sovranità nazionale (espresso dal ritornello «riprendiamoci il controllo» “take back control”), e la libertà di sviluppare nuove opportunità commerciali. Queste preoccupazioni evidenziano l’importanza della libertà, della democrazia, della trasparenza e della responsabilità.
Per coloro entusiasti di continuare a far parte dell’Europa (to remain) i temi erano costituiti dalla vitale importanza di una forte partnership economica con i nostri vicini, una posizione proiettata verso l’esterno rappresentato dalle diverse culture e i diversi popoli del mondo e un convinto sostegno a una significativa alleanza che ha garantito la pace in Europa per 70 anni. Queste preoccupazioni rivelano l’importanza dell’interdipendenza, dell’aperture, della diversità e della generosità.
Il fatto è che entrambe le parti del dibattito contengono delle verità che devono essere riconosciute e portate avanti e da solo questo fatto spiega perché un semplice referendumo binario “si/no” sia stato un meccanismo veramente povero per prendere una simile, significativa decisione. Inoltre, la scelta binaria ha portato a una polarizzazione a partire dalla quale non è più possibile giustificare l’altra parte o riconoscere la forza dell’argomentazione dell’altra persona, in pratica si è trattato di una ricetta adatta per ulteriori divisioni.
Che cos’è che è importante?
È evidente che al momento ciò che serve maggiormente nella società britannica è una narrazione unficante e resta il dubbio se esista una leadership politica capace di creare una cosa del genere nonché una opinione pubblica vogliosa di abbracciare una simile narrazione.
Così come la cosa è stata presentata sembrava una semplice scelta, ma le ragioni che soggiacciono alla polarizzazione sono molteplici. C’è un bisogno urgente di una maggiore eguaglianza sociale ed economica, molta più empatia nel dibattito sociale, una grande volontà di forgiare coalizioni piuttosto che apprfondire le linee di divisione e un’atmosfera aperta in cui possiamo ascoltarci attentamente gli uni gli altri piuttosto che alzare la voce a partire dalle nostre posizioni.
E mentre riflettiamo sull’Europa, molti di noi provano una notevole tristezza per il fatto che, ai nostri numerosi cittadini e residenti all’interno dell’UE e oltre, siamo apparsi ostili – altro tema questo che necessita di essere risolto positivamente affinché l’integrazione sociale sia incentivata e la nazione benefici della ricca diversità della sua popolazione. Non c’è spazio per i crimini di odio, gli atteggiamenti razzisti o quelli rabbiosamente polarizzati. Quale che sia la nostra idea della Brexit, per una popolazione isolana come quella britannica fa bene ricordare la nstra dipendenza dagli altri. “Nessun uomo è un’isola” dichiarò John Donne 400 anni fa aggiungendo che “ogni uomo è un pezzo di un continente”. In un tempo più vicino al nostro, Martin Luther Kijng Jr. epresse l’importanza dell’interdipendenza quando disse: “prima che finiate la vostra colazione di questa mattina, avete sperimentato la dipendenza da più della metà del mondo”.
Nel giorno della seprazione dall’Europa, il Primo Ministro inglese ha sostenuto che un bisogno urgente per l’Inghilterra è quello “che inizi la guarigione”. Come può accadere tutto ciò?
Qual è il prossimo passo?
Come membro della famiglia cristiana britannica ed europea condivido la convinzione di molti milioni sparsi nel continente e secondo la quale il vangelo parla direttamente alla nostra situazione e offre la speranza per un nuovo futuro. A livello personale come comunitario o nazionale la risposta alle sfide non è “l’egoismo”. I problemi all’interno delle nostre società europee che inquietano di più e che si sono affacciati nella mia nazione riflettono atteggiamenti e comportamenti profondamente radicati e che spesso emergono quando rigettiamo i valori della fede cristiana nella nostra vita personale e pubblica. Ciò risulta non solo nella frammentazione e nella divisione ma spiega anche gli atteggiamenti egoistici, collerici e pieni di odio e di orgoglio che sono stati in evidenza nel dibattito pubblico e nei social.
In un periodo di turbolenza, intorno alla metà del ventesimo secolo, il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman sostenne che la ricostruzione era possibile unicamente “in un’Europa profondamente radicata nei valori cristiani” e in questo fu accompagnato da altri leader europei per la costruzione di un progetto che doveva portare a una nuova e salutare partnership nel continente. La stessa cosa è vera oggi: i valori contano. Il vangelo ha tanto da dire a proposito della dignità e del valore di tutte le persone, quale che sia la loro cultura, nazionalità, classe o genere. L’apostolo Paolo si accorse che avendo conosciuto Gesù Cristo la sua visione delle altre persone ne er stata trasformata: “da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano” spiegò ai Corinti (2 Cor 5:16). Non giudichiamo la gente a partire dallo standard del successo terreno ma vediamo ognuno fatto all’immagine divina e come qualcuno per il quale Cristo è morto. In una società divisa la comunità cristiana è chiamata a modellare la guarigione, la riconciliazione e l’interdipendenza, cose alle quali il Primo Ministro inglese oggi si appella. In realtà, è possibile vivere tutto ciò solo quando noi stessi ci siamo riconciliati con il Dio che ci ha fatti.
Questo concetto è espresso più chiaramente da Gesù stesso. Non solo invitò i suoi discepoli ad amare il prossimo come se stessi ma andò anche oltre: “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano … e infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? (Mt 5:43-47). È questa la ragione per la quale l’insegnamento e l’esempio di Gesù sono così controculturali e hanno avuto un impatto così profondo sugli individui e sulle società intorno al globo. Essi scalzano l’arroganza autocentrata e l’indipendenza e richiamano all’umile dipendenza da Dio, la fonte di ogni saggezza e verità, e il cui scopo in Cristo è quello di stabilire un “nuovo uomo” (Ef 2:15).
Questa è la profonda visione che dovrebbe modellare le nostre speranze per il nostro futuro personale, nazionale e continentale.
Jonathan Lamb è autore e insegnante biblico. Molti dei suoi libri sono stati pubblicati da Edizioni GBU
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