La fede e la scienza ai tempi del coronavirus

Nicholas Wolterstorff, filosofo americano, all’inizio della sua carriera scrisse un piccolo libretto dal titolo The reason within the bounds of Religion (1976): il titolo faceva il verso alla ben più famosa opera di Immanuel Kant, La religione nei limiti della semolice ragione (1792). L’intento era abbastanza chiaro: rilevare che, contrariamente al programma illuministico, esemplificato dal pensiero del filosofo di Konigsberg, la religione continuava ad allungare le sue propaggini in tutti gli ambiti dell’esistenza umana; la ragione, lungi dall’essere autonoma e deliberante in maniera assolutistica nel campo del sapere e dell’etica (tentativo questo già compiuto, per altri versi, da Schleiermacher) doveva fare i conti con quei “motivi di fondo” che molte correnti di pensiero dell’inizio del ‘900 rimandavano alla religione.

La neutralità in campo filosofico, ma anche scientifico, era un “mito” (per citare il titolo di un’altra opera del 1991, (The myth of religious neutrality) per certi versi riferibile al testo di Wolterstorff.

Ma proprio in quel piccolo libretto il filosofo nordamericano, nel tentativo di spiegare in che modo interagiscono queste due mega–strutture dell’esistenza umana, la religione e la ragione, e fondando la tesi dell’imprescindibilità della dimensione religiosa, pronuncia una piccola parola di precauzione. Nel dire ai sostenitori della ragione pura e, di conseguenza, della sola scienza considerata guida per la propria vita, che è necessario prendere in carico i motivi di fondo religiosi, afferma anche che ci sono momenti in cui la comunità di fede deve prestare attenzione alla ragione, alla scienza e alla comunità scientifica. Arrivando addirittura a modificare le proprie convinzioni “religiose” e, al limite, anche le proprie interpretazioni della Bibbia.

L’esempio per questo audace pronunciamento – audace per un credente – è, naturalmente, l’affaire Galileo, un passaggio storico in cui venne richiesto esplicitamente alla comunità di fede un cambiamento di lettura del testo biblico sulla base di precise indicazioni scientifiche e filosofiche.

Il matematico di Oxford John Lennox, negli ultimi anni, ha fatto molto per dimostrare la tesi secondo la quale dietro le rivoluzionarie assunzioni di Galileo c’era una visione del mondo cristiana, ergo, che dietro la scienza moderna c’è la Bibbia (I sette giorni della creazionexi, Edizioni GBU). Ma tuttavia il clima che la vicenda Galileo provocò rivelò quanto fosse difficile e complicato per la comunità di fede sottomettersi all’autorità della scienza empiricamente affermata e modificare le peroprie convinzioni e la propria lettura del testo biblico.

Nel Vangelo di Matteo viene narrato un miracolo compiuto da Gesù e consistente nella guarigione di un lebbroso (cap 8): questi, rompendo le convenzioni della profilassi del tempo, si avvicinò a Gesù giungendo fino a un contatto fisico con il Maestro. Nel breve dialogo di cui rende conto il Vangelo il lebbroso ha modo di esprimere la sua forte convinzione di fede, (convinzione che riecheggia anche negli altri miracoli dei capp. 8 e 9 di questo Vangelo: il centurione, il paralitico, la donna dal flusso di sangue, etc.): se tu vuoi tu puoi. Alla fine, il lebroso è guarito e il tocco di Gesù con il quale fu operato il miracolo ha avuto un’enorme risonanza nella storia degli effetti del testo (dalle pagine de I promessi sposi a Madre Teresa di Calcutta, etc.).

La fede, la fede cristiana biblica, quella che prende sul serio la narrazione biblica considerandola Parola rivelata di Dio, è il luogo dell’impossibile, il campo in cui tutto ciò che l’uomo costruisce o che riesce a spiegare può essere sconvolto dall’azione potente del Dio vivente (a Dio ogni cosa è possibile, Mt 19:26). Da sottolineare: la nozione di un Dio vivente per i cristiani non è una nozione astratta ma una che prende corpo e si rafforza grazie al racconto evangelico della risurrezione dai morti di un essere umano (Gesù di Nazaret), il quale proprio in virtù della risurrezione fu proclamato Signore (Atti 2 – lo era anche prima). La fede cristiana crede dunque nella rottura dei vincoli, nello scompaginamento delle barriere, anche sanitarie, che l’uomo può erigere in virtù della potenza di Dio. Interi movimenti di risveglio nella storia del cristianesimo stanno lì a dimostrare che la potenza di Dio, e dello Spirito, è attiva, quando si hanno le lenti giuste per identificarla. Il dibattito cessazionista (se cioè i doni spettacolari e miracolosi dello Spirito non fossero limitati esclusivamente – fossero cessati – all’epoca apostolica) a fronte della crescita esponenziale del movimento carismatico appare anacronistico.

Queste convinzioni cristiane sono divenute particolarmente battagliere negli ultimi vent’anni, nella stagione di quello che è stato definito il nuovo ateismo, quando cioè pensatori di varia estrazione hanno messo sul banco degli imputati la fede in un Dio onnipotente (in inglese si dice dock e God in the dock era già il titolo di un saggio di C.S. Lewis, ed 1979). La fede in un Dio onnipotente, di fatto inesistente, hanno sostenuto questi pensatori, è una fede pericolosa, dannosa. L’orizzonte principale di questa polemica era la violenza terroristica – le religioni e il cristianesimo in particolare sono la madre di tutta la violenza umana (si veda in proposito Dio è un Dio violento?, Edizioni GBU, 2018). L’accusa era rivolta a quella fede che, partendo dall’esistenza non provata di Dio, costruiva una vera e propria visione del mondo. Lo scontro è stato molto duro. Da questa stagione, e dai dibattiti Dio esiste/Dio non esiste, è emerso una sorta di nuovo dilemma etico: sottomettersi alla scienza o sottomettersi alla religione e alla fede cristiana? Le forze in campo infatti si confrontavano come forze onnicomprensive che richiedevano una vera e propria adesione totale.


Poi sono arrivate le notizie da Wuhan, e il paziente 1 di Codogno, e il coronavirus ha imperversato!

Che ne è del dibattito tra scienza e fede alla luce dello scenario che stiamo vivendo? Sto scrivendo all’indomani della dichiarazione da parte del Governo italiano dell’Italia “tutta” come zona protetta (10 marzo 2020).

La parola d’ordine oggi è quella di seguire una serie di regole di comportamento tutte discendenti da alcune assunzioni scientifiche. Ci viene chiesto, in soldoni, di sottometterci all’autorità della scienza.

Dawkins sembra essere in vantaggio, a questo punto!

Continua la lettura in Lutero e l’epidemia. La fede ai tempi del coronavirus

2 commenti
  1. Daniele
    Daniele dice:

    “Il succo del ragionamento è semplice: credenti o meno, quale che sia la nostra posizione su scienza e fede, a questo punto dobbiamo sottometterci, tutti, all’autorità della scienza; chinare le nostre ginocchia (sì proprio così) a un’autorità che “in questo momento” ha la parola finale!
    […]Quello che vorrei però enfatizzare, nuovamente, è che adesso, da oggi in poi, dobbiamo sottometterci alla scienza! Questo è un dato che la fede deve prendere in carico.”

    Potresti spiegare meglio?
    Perché le parole «Sottomettersi», «inginocchiarsi» all’autorità della scienza o alla scienza stessa… Non equivalgono a sottomettersi alla ragione? E quindi sottomettersi all’uomo e quindi alla creatura creata da DIO?
    Comunque al di là delle cose, io mi sottometto alla volontà di DIO e a Lui solo piegherò le mie ginocchia.

    Rispondi
  2. Marcello Favareto
    Marcello Favareto dice:

    Caro Giacomo Carlo, condivido tutta la prima parte del tuo scritto, ma ben poco della seconda, l’applicazione alla pandemia del corona virus. E non capisco da dove emerga il “nuovo dilemma etico: sottomettersi alla scienza o sottomettersi alla religione e alla fede cristiana?” di cui parli. Ci sono forse nella Bibbia affermazioni di carattere biologico che possono confliggere con la scienza? Non mi pare.
    Tu citi Wolterstorff che nel suo libro del 1976 “afferma anche che ci sono momenti in cui la comunità di fede deve prestare attenzione alla ragione, alla scienza e alla comunità scientifica. Arrivando addirittura a modificare le proprie convinzioni “religiose” e, al limite, anche le proprie interpretazioni della Bibbia.” E io sono assolutamente d’accordo con lui. Peccato che due anni dopo nel 1978 la Dichiarazione di Chicago sull’inerranza biblica abbia affermato (Art 12) “… Respingiamo l’opinione che limita l’infallibilità e l’inerranza della Bibbia ai temi spirituali, religiosi o inerenti alla redenzione ed esclude le affermazioni relative alla storia e alle SCIENZE.” Affermazione senza basi bibliche, ma solo ideologiche, tragico dogma evangelico paragonalbile al dogma cattolico dell’infallibilità papale.
    Partendo da queste basi potrei capire il conflitto tra scienza e “religione”, se la religone avesse qualcosa da dire sulla natura del virus. Ma non mi pare che in questo caso ci sia alcun conflitto.
    In effetti tu parli, invece, di dilemma etico, come se i suggerimenti della scienza, trasformati in ordinanze delle autorità, fossero in contrasto con l’etica cristiana. Dove mai l’etica cristiana ci suggerisce di correre stupidamente il rischio di infettare o di essere infettati?
    L’idea del conflitto etico, mi pare, ti deriva dal contrasto tra una visione razionale, diciamo pure naturalistica, della scienza e l’idea della fede cristiana che è, come scrivi, “il luogo dell’impossibile, il campo in cui tutto ciò che l’uomo costruisce o che riesce a spiegare può essere sconvolto dall’azione potente del Dio vivente (a Dio ogni cosa è possibile, Mt 19:26)”. Ma mi sembrerebbe piuttosto strana una fede che chieda a Dio di fare miracoli ad ogni piè sospinto. Sarebbe come vedere un conflitto fra il parapetto che mi impedisce di cadere dalla torre di Pisa a causa della legge di gravità e il lanciarmi nel vuoto perchè Dio può mandare i suoi angeli a sostenermi.
    E, permettimi ancora una piccola osservazione, se arrivo ad imitare il Maestro e a toccare il lebbroso non lo faccio perchè ho fede che non mi infetterò, ma perchè ho una ragione per farlo più importante del rischio che corro.
    Ecco allora dove io trovo il dilemma etico: se vedo un infetto che sta per finire sotto il tram sono disposto a rischiare il contagio afferrandolo per fermarlo?
    Grazie a Dio in questo periodo medici e infermieri stanno facendo la scelta giusta!
    Con affetto
    Marcello

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