Usiamo bene la nostra vita?
di Fabio Russo
Pur lavorando da tempo nel Gruppo FIAT, ora Fiat Chrysler Automobiles (FCA), non conoscevo bene Sergio Marchionne. Certo, l’ho incontrato alcune volte in alcune occasioni, come le presentazioni dei piani industriali o le conferenze ai dipendenti.
Ritengo comunque giusto ricordare un manager come lui che, attraverso i risultati professionali che ha saputo ottenere, ha segnato un prima e un dopo non solo nella nostra azienda ma anche nel mondo dell’automobile.
Nato in Italia, cresciuto in Canada, affermatosi in Svizzera e divenuto personaggio in Italia, catapultato nel 2004 alla guida di un gruppo “tecnicamente fallito”, come lui stesso lo definì, guidato da un unico obiettivo – quello di creare valore per l’azienda -, ha saputo riportare FCA nelle mappe dell’automotive che conta, individuando – con straordinaria e “illuminata” bravura- opportunità d’alleanze invisibili agli altri, prima fra tutte la fusione con la Chrysler.
Ciò ha inevitabilmente comportato scelte impopolari o in grado, talora, di suscitare scandalo, se funzionali a un obiettivo di sviluppo, ribaltando senza timori reverenziali meccanismi sedimentati dalla consuetudine.
Un uomo duro e accentratore, implacabile con le sue prime linee e allo stesso tempo amato dai dipendenti (soprattutto negli USA) perché la sua visione e la sua instancabile determinazione di salvare e rafforzare l’azienda ha garantito loro un futuro.
A proposito della scomparsa di Marchionne, Beppe Severgnini ha scritto in un articolo sul Corriere della Sera qualche giorno fa: “Se la scomparsa di Sergio Marchionne ha colpito a fondo la sensibilità dell’Italia — nazione che di questi tempi ama mostrarsi insensibile, mentendo a se stessa — il motivo è un altro. Forse più semplice, più profondo e più difficile da confessare. Un uomo di successo, ricco e invidiato, se n’è andato di colpo, lasciandosi tutto alle spalle. Ori e stracci: la ricchezza, il successo, l’invidia e l’adulazione. Istintivamente, ci siamo posti una domanda: se tutto è così veloce e drastico, stiamo usando bene la nostra vita?
La morte è didattica, nella sua semplicità. C’è un prima e c’è un dopo. E nel prima, nel tempo che ci viene dato, ci affanniamo inutilmente. Mi è accaduto di sentire spesso, nei giorni scorsi, commenti come questo: «Ci affanniamo per fare, per accumulare, per primeggiare. E poi guarda là, scompare tutto in un attimo». Non è la versione social dell’Ecclesiaste, una ripetizione stanca della «vanità delle vanità». È la constatazione che il nostro tempo è limitato, e bisogna usarlo bene. «Siate come i giardinieri: investite le vostre energie in modo che qualsiasi cosa facciate duri una vita intera e anche di più», ha detto Sergio Marchionne due anni fa, parlando agli studenti dell’Università, a Roma.”
Avete mai pensato che le nostre vite raccontano una storia? In ogni situazione – buona, cattiva, o indifferente – le persone intorno a noi guardano e ascoltano la storia che stiamo raccontando.
La nostra storia viene comunicata non solo attraverso le nostre parole, ma anche attraverso i nostri atteggiamenti e le azioni, mentre abbiamo a che fare con i colpi duri e le benedizioni della vita.
Paolo ci ricorda che, come seguaci di Gesù, le nostre vite sono come una lettera “conosciuta e letta da tutti gli uomini; … una lettera di Cristo … scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente” (2. Cor 3,2-3).
Che storia si può leggere nella lettera della nostra vita?
Se abbiamo sperimentato la gioia di una vita piena della grazia che viene dallo Spirito di Dio in noi, allora che la nostra vita racconti sempre la storia dell’amore e della misericordia di Cristo al mondo intorno a noi e che possiamo essere una testimonianza coraggiosa del Signore.
Fabio Russo ha fatto parte dei GBU di Torino ed è stato membro del Comitato editoriale delle Edizioni GBU; oggi e Corporate Affairs Senior Specialist presso FCA Group a Torino; è anche responsabile di una chiesa evangelica del capoluogo piemontese.