Ci fa evangelici “una solida e serena convinzione”
di Giacomo Carlo Di Gaetano
Note a margine della lettura del libro di Alessandro Iovino, Il racconto di un amicizia. Dialogo tra papa Francesco e il pastore Traettino, Eternity, Milano, 2024, pp. 182.
Iovino ha fatto un capolavoro giornalistico. Non c’è che dire, anche in considerazione della diffusione del libro. Non c’è giorno in cui non si aggiunga un opinionista, un recensore, un’intervista alla lunga sequela di coloro che segnalano la novità rappresentata dal libro.
Dobbiamo allora, in prima istanza, dire qualcosa sul progetto che sta dietro il prodotto editoriale.
Tutto parte dall’amicizia tra l’attuale Pontefice e il pastore Giovanni Traettino, figura di spicco dell’evangelismo pentecostale e carismatico italiano e punto di riferimento della “Chiesa della Riconciliazione”. Questa amicizia raggiunge l’apice nella visita che Francesco fa al pastore, alla sua famiglia e alla chiesa di evangelica di Caserta il 28 luglio 2014. Il libro contiene belle e preziose foto di questo evento, in particolare quelle nella casa del pastore Traettino.
Il lavoro di Iovino comincia all’indomani di questo evento con un percorso di avvicinamento allo stesso pastore, che l’autore rivela di non aver conosciuto in precedenza, e poi di preparazione dell’intervista vera e propria che si è svolta il 7 novembre del 2023 presso Casa Santa Marta, la residenza del pontefice, anche questo evento corredato di foto a colori.
Si tratta dunque di un libro che intende fissare subito, senza perdere tempo, il flusso di eventi che hanno ruotato e ruotano intorno a questa amicizia, facendola conoscere, raccontandola e caricandola, come è naturale che sia, di significati e prospettive che guardano al futuro.
Lo ribadiamo, una bella operazione “giornalistica”. Insisto sul qualificativo perché sarebbe un errore approcciare il libro da un lato con le lenti amplissime e indefinite dello sguardo ecumenico e, dall’altro lato, sbirciandolo dall’angustissimo e contraddittorio evangelico “buco della serratura”, che in altri tempi ho definito “approccio identitario al cattolicesimo”.
Tra questi estremi c’è infatti il ricco spazio costituito dal materiale proveniente da confronti e rapporti tra cattolici ed evangelici che richiede chiavi di lettura più adeguate e spendibili nell’unica ottica alla quale un evangelico può attenersi per leggere e interpretare i fenomeni della storia e della vita in generale, vale a dire quella del vangelo (faccio tutto per il vangelo … esclamava Paolo, 1 Cor 9). Abbiamo tra le mani dunque un libro relativo al rapporto tra cattolicesimo ed evangelismo – nella versione italiana di un simile rapporto. Questo è un fatto ineludibile che, ancor prima di essere declinato nella prospettiva della documentazione giornalistica, impone una riflessione preliminare.
Di che cosa parliamo quando parliamo di rapporti tra evangelici e cattolici? L’espressione potrebbe essere espressa con altre formule (cattolicesimo/protestantesimo – ma ho i miei dubbi sull’adeguatezza di questa formula per il libro di cui stiamo parlando, nonostante l’autore provi a inserire l’evento-intervista in un panorama più ampio, vedi pp. 53-55).
Io direi che ci sono almeno tre risposte da dare alla domanda relativa al contenuto di materiale che si occupa del rapporto tra cattolici ed evangelici.
Per prima cosa potremmo avere a che fare con materiale che si occupa del cattolicesimo in sé e per sé, con un approccio tipico di studiosi di storia della chiesa, di storia del dogma, di teologia, etc.. In questo approccio il punto di partenza dello studioso (evangelico o cattolico o secolare) conta un po’ meno. L’idea è che nel descrivere un mondo, e il cattolicesimo è un’intera costellazione di mondi, ci si sforzi di essere il più obiettivi possibili nella sua descrizione. Sarà importante, in questo approccio, tra le tante precauzioni metodologiche, fare attenzione per esempio ai registri comunicativi con i quali il cattolicesimo, i suoi esponenti o sezioni quali Conferenze episcopali, etc. oppure lo stesso pontefice, si esprimono. Un’intervista ha una collocazione che è differente da un documento ufficiale e nello studio bisognerà pensare al modo opportuno di articolare queste due fonti. Il ricorso a spot o a frasi ad effetto per parlare di cattolicesimo non appaiono adeguati in questo primo approccio che, ribadiamolo, ha lo scopo di descrivere il cattolicesimo. La descrizione obiettiva si presta poi a essere usata per diverse finalità. Sicuramente, la testimonianza cristiana al vangelo potrebbe giovarsi di simili descrizioni.
All’estremo opposto dell’approccio focalizzato sul contenuto c’è l’approccio focalizzato sull’interesse di chi parla di cattolicesimo. L’ho definito approccio identitario al cattolicesimo (AIC). In questo caso tutto lo studio del cattolicesimo (ma anche di qualsiasi altro oggetto di studio) ha lo scopo di far emergere gli approcci evangelici al cattolicesimo. Si studia il cattolicesimo, de jure e de facto, per capire che cosa pensano e fanno gli evangelici (di tutto il mondo) nei suoi confronti. L’approccio identitario al cattolicesimo è allora un mascherato studio della condizione dell’evangelismo, volto a suggerire una maggiore circospezione e tutela nei confronti di ipotetici complotti finalizzati a portare gli evangelici sotto la cupola di Roma. Questo approccio, che non si pone lo scopo della testimonianza al vangelo, potrebbe intravedere nel lavoro di Iovino un pericoloso precedente. Unico motivo, più o meno dichiarato, è quello di intruppare gli evangelici in una novella e gigantesca dieta planetaria (dieta era il termine usato nel XVI secolo per i dibattiti, a volte sanguinosi, tra cattolici ed evangelici) con tanti emuli di Lutero e Calvino intenti a segnare i limiti di ciò che non può essere attraversato, nel rapporto con il cattolicesimo.
Ma c’è un terzo modo di intendere e studiare il rapporto tra cattolici ed evangelici. Non centrato sull’oggetto studiato (il cattolicesimo); non sull’interesse di chi studia (approccio identitario) ma semplicemente focalizzato sul rapporto in sé e per sé.
Di cosa stiamo parlando, nel nostro caso? Di un incontro tra un pontefice e un pastore evangelico (PUNTO).
Sicuramente è qualcosa di straordinario e Iovino non lesina espressioni enfatiche per il suo capolavoro giornalistico (un momento di luce purissima, p. 57). Il libro appartiene allora a un materiale, prezioso, che racconta ciò che è accaduto tante altre volte, magari a livelli inferiori, quanto ad autorevolezza dei protagonisti. E non mi riferisco agli incontri ecumenici veri e propri ma a una lunga sequela di eventi, incontri, dibattiti che si organizzano a livello di parrocchie, di sedi arcivescovili, in contesti di celebrazioni storiche, di presentazioni di iniziative sociali e di varia natura, etc.
Questo materiale non deve essere derubricato al livello di indicazione universale, ma neanche nazionale, su quello che è lo stato dei rapporti tra il cattolicesimo e l’evangelismo. È al contrario un materiale prezioso che testimonia di una vera e propria provvidenza divina che ha permesso il superamento dei secoli e dei decenni bui in cui queste comunità di fede si guardavano in cagnesco. Nel libro sono presenti numerosi accenni a questi tempi bui: c’è la testimonianza di Bergoglio (pp. 32); c’è il riferimento alla Circolare Buffarini-Guidi (pp. 52sg.), etc. Per inciso: Iovino non conosce forse pienamente la storia ottocentesca dell’evangelismo italiano e la faticosa conquista, condita di stragi e attentati, della libertà di culto. Il materiale relativo ai rapporti tra cattolici ed evangelici racconta dunque una bella storia di rispetto crescente, stima e apprezzamenti. Grazie a Dio per questo.
Un’altra caratteristica di questo tipo di materiale, a cui appartiene a pieno titolo il nostro volume, è quello rappresentato dal sentimento espresso dai protagonisti di questi eventi; essi tendono a proiettare l’esperienza positiva del singolo evento verso un futuro che potrebbe riservare ulteriori tappe. Nel libro si parla di raggiungere una maggiore unità nella diversità (p. 55). Non ho la sfera di cristallo ma penso di poter dire che questa speranza è molto bella in quanto restituisce l’atmosfera positiva dell’evento che racconta (figuriamoci: l’intervista a un papa da parte di un giornalista evangelico, p. 47); dice naturalmente poco a proposito del futuro. I protagonisti dell’approccio identitario al cattolicesimo potranno stare tranquilli: ci saranno sempre evangelici che passeranno dall’altra parte così come cattolici che faranno il percorso inverso. Le cose non cambieranno di molto. Speriamo, questo sì, che, grazie a iniziative del genere, cresca il rispetto e la stima reciproca e si possa, in nome di un’stanza superiore, quella del vangelo, permettere che le anime conoscano la salvezza in Gesù.
Adesso veniamo al libro, che si presenta diviso in tre parti.
Nella prima c’è la cronaca dell’Intervista vera e propria, con un resoconto dettagliato delle domande e delle risposte dei due protagonisti in un clima, manco a dirlo, di amicizia, cortesia e con accenti di indubbia, trasparente, cristiana e, perché no, evangelica (in senso lato) comunanza.
Nella seconda parte, dal titolo “Ascoltiamoci”, l’autore cerca di fare un bilancio dell’evento-intervista, ripercorrendo il percorso delle domande e corredandolo di sue personali riflessioni e di citazioni bibliche. Mi pare di capire, o di interpretare, che queste citazioni vogliano creare, in qualche modo, una zona cuscinetto tra due mondi che non sono solo rappresentati plasticamente dai titoli dei personaggi coinvolti, il pastore evangelico e il pontefice, ma che attraversano, lo si percepisce molto bene, l’intimo del giornalista e del credente Alessandro (Non è semplice trovare buoni motivi per sostenere le proprie aperture, non è semplice trovare parole per spiegare il bisogno di smuovere stati di immobilità durati decenni, p. 64). È questa la parte più autoriale, se così possiamo dire, del libro, quella in cui il giornalista si improvvisa teologo.
La terza parte è una raccolta, preziosa, di fonti (discorsi, interviste e testimonianze) che hanno fatto seguito all’evento del 2014 e giungono fino al giorno d’oggi (pp. 105-173).
In questa terza parte sono riportati i discorsi del pontefice e di Traettino in occasione della visita di Francesco a Caserta.
L’intervista si sviluppa seguendo una successione di domande. Mi pare che non venga spiegata la successione dei temi e delle domande (sono tredici e sono elencati opportunamente nell’indice). I temi che scandiscono le domande erano comunque presenti nei due discorsi del 2014, tenuti a Caserta. Ma a un lettore attento come potrebbe essere il sottoscritto avrebbe fatto piacere una giustificazione della loro articolazione, per esempio quale domanda prima e quale domanda poi. Questa nota sulla successione dei temi ha anche a che fare con un altro fatto, vale a dire che non sempre si coglie una simmetria nelle risposte che forniscono i due protagonisti.
Mi spiego e faccio l’esempio del tema della diversità (pp. 38-44). Non si capisce perché su questo tema Bergoglio parli di migrazioni e dunque di diversità culturali, di globalizzazione e di integrazione mentre il pastore Traettino si sofferma sulla diversità che si registra tra cristiani. Sarebbe stato interessante ascoltare Bergoglio affrontare di petto, e nel contesto dell’intervista, il tema della diversità all’interno del cristianesimo, e dello stesso cattolicesimo, così come ascoltare Traettino parlare di diversità culturale, di immigrazione e così via. Questo non significa che i protagonisti non affrontino i temi relativi alle differenze tra cattolici ed evangelici. Ma non si capisce perché proprio in quel punto le risposte non rispettino una certa simmetria.
Le differenze teologiche vengono trattate con un approccio fenomenologico piuttosto che dottrinario. Il che restituisce delle convergenze suggestive. Penso per esempio al tema della confessione, declinato da Bergoglio in chiave comunitaria, declinazione nei confronti della quale Traettino non può che essere d’accordo. Eppure la confessione è e resta un sacramento. Idem per la questione del vicariato, così come sul ruolo della Madre di Dio.
È probabile che il clima di rispetto e di apprezzamento reciproco, a cui abbiamo alluso, abbia bisogno di questo ampio spazio fenomenologico in cui i singoli dogmi vengono in qualche modo sfumati per lasciare lo spazio nel dialogo a ciò che di positivo creano. Bello. Ma i dogmi ci sono e questo lo sanno sia Traettino sia Bergoglio. Non dobbiamo suggerirglielo noi.
Ci sono due punti in cui l’autore nelle domande e gli intervistati nelle risposte usano l’espressione “teologia”: teologia dell’essenziale (p. 18) e teologia del poliedro (p. 23). Concentriamoci un attimo su questi due punti perché essi mi sembrano i più qualificanti del volume.
Teologia del poliedro. Bergoglio allude alla figura del poliedro, con buona pace di Iovino che ci confessa non essere bravo in matematica (geometria), quando, nel suo discorso del 2014, parla della diversità tra evangelici e cattolici (cioè proprio l’argomento che manca nella risposta a Iovino). Lì Bergoglio prendendo spunto da un’espressione che, se la memoria non mi inganna, era di Oscar Cullman, vale a dire “diversità riconciliata” e facendo leva sull’azione dello Spirito (con un riferimento abbastanza esplicito a 1 Corinzi 12) afferma che l’unità tra i cristiani assomiglia a un poliedro (anche un prisma?) in cui ogni faccia è beneficiaria dell’unica azione dell’unico Spirito ma si esprime nelle sue proprie peculiarità che siano quelle della chiesa di Roma, delle chiese della Riforma, o del movimento pentecostale: “il poliedro è una unità, ma con tutte le parti diverse; ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità” (p. 106). Bergoglio riteneva che questa figura potesse esprimere un nuovo volto del vecchio progetto ecumenico.
Il vecchio progetto ecumenico, che pure aleggia in alcune risposte e in tutto il volume, prendendo spunto da un altro brano neotestamentario (Giovanni 17 – vi allude Traettino – p. 110) poneva capo a un’altra figura “geometrica”, quella del cerchio (una ruota) in cui i raggi convergono al suo centro dove il centro, fuor di metafora, è Cristo.
Qui abbiamo un ampio campo di confronto tra evangelici e cattolici che si avvantaggia del fatto che non si sviluppa a suon di versetti sparati l’uno contro l’altro o di costruzioni teologiche che si contrappongono. No, ancora una volta, ricorrendo alla mediazione dei fenomeni a cui danno vita le costruzioni teoriche, abbiamo il vantaggio di discutere a partire da costellazioni metaforiche e figurative.
Giusto un piccolo assaggio. La figura dell’ecumenismo storico, il cerchio, se da un lato esprime un grande afflato teleologico (si va tutti verso Cristo) pone il problema di quale sia il punto di partenza. Gesù Cristo non è solo l’omega ma anche l’alfa; non è solo un punto di arrivo ma anche un punto di partenza. Parliamo dello stesso Cristo quando riflettiamo e tiriamo dentro al discorso ecumenico tutta la vicenda della ricerca del Gesù storico nel suo rapporto con il Cristo della fede? O qual è lo status del Risorto in rapporto a due segmenti della storia del cristianesimo, vale a dire la chiesa nella sua condizione istituzionalizzata (successione) oppure la predicazione della Parola che è viva in ragione del Vivente?
La nuova figura per i rapporti ecumenici, quella del poliedro, è debitrice nei confronti di 1 Corinzi 12. Ma non sarebbe questa una sorta di santificazione e cristallizzazione dello status storico raggiunto dalle chiese? E se ogni faccia del poliedro ha la sua ragion d’essere nel carisma ricevuto, non sarebbe questa una gigantesca premessa per un relativismo teologico in cui è bene che ognuno stia al proprio posto, premesso che ci riconosciamo nei carismi ricevuti e che ce li teniamo cari senza metterli in discussione? Qui l’approccio identitario al cattolicesimo, quello in cui si studia il cattolicesimo per dirsi alla fine “dobbiamo essere più protestanti” trova una sua ragion d’essere proprio nel poliedro proposto da Francesco. In questo caso, veramente, si finisce sotto la cupola di Roma (sic). E infine, potrebbero darsi altre, nuove facce del poliedro? Chi le introduce, come verranno accolte, quale autorità potrà alla fine dire: ecco, il poliedro si è arricchito di una nuova faccia?
I due modelli, cerchio e poliedro, si dimostrano deficitari non nei confronti di questa o quella prospettiva confessionale, ma deficitari nei confronti del vangelo. Non hanno forse affermato i due protagonisti, Bergoglio e Traettino, in più punti, che bisogna pensare a un cristianesimo in cammino? Solo il vangelo è ciò che può mettere in cammino donne uomini che rinunciano alle loro identità, siano esse cattolica, protestante o pentecostale!
La teologia dell’essenziale (p. 18). Qui, se capisco bene lo sviluppo dell’ottimo lavoro fatto da Iovino, mi pare di percepire uno slittamento. Quando il pastore Traettino introdusse nel 2014 il tema dell’essenziale, riprendendo una frase di Raniero Cantalamessa (gli evangelici sono cristiani col carisma dell’essenzialità, p. 111), declinò egregiamente quella caratteristica in una una pagina impregnata di cristocentrismo con il chiaro riferimento a 1 Corinzi 3:11: “la conversione a Cristo; la relazione personale con Cristo; l’imitazione di Cristo …” (p. 112).
Quando il tema viene ripreso nell’intervista (pp. 18sg.) l’essenzialità viene declinata in modo diverso: “chiederei a entrambi di raccontarmi l’essenza dell’amore per Dio e dell’amore di Dio, facendo riferimento a quella che potremmo definire teologia dell’essenziale” (Iovino). Le risposte sono abbastanza conseguenti, volgendosi verso quello che appare essere il grande paradigma che il mondo post-cristiano chiede alle chiese cristiane di interpretare. Un paradigma in cui si esprima nell’amore (Vattimo parlava di caritas) il tutto del cristianesimo. Per carità, tutto potrebbe tenersi: il cristocentrismo è un’elaborazione che non esclude il tema dell’amore di Dio per il mondo e del possibile amore del mondo per Dio e degli uomini tra loro (“energia sorgiva per tutte le relazioni”, Traettino, p. 19).
Ma questa è una grande sfida epistemologica: il cristianesimo può essere ridotto a una sua essenza che si limiti a un afflato inclusivo generalizzato senza prevedere l’altro tema della verità e, ahimè, dell’esclusione?
Il libro in questo senso è un esercizio interessante che ci spinge a interrogarci. Hanno risposto Bergoglio e Traettino a questa sfida? Hanno colto le differenze che insistono tra il vangelo e le conseguenze del vangelo. Il pastore Traettino del discorso del 2014 mi piace di più del pastore che nel 2023 risponde alla domanda sull’essenzialità.
Devo concludere questa lunga riflessione. Questo è un libro che dà a pensare, che stimola anche là dove il lettore potrebbe aver desiderato maggiore coerenza. Un libro da non leggere con le lenti semplicisticamente ecumeniche ma neanche da leggere con i paraocchi dell’approccio identitario al cattolicesimo, magari suggerendo che esso potrebbe essere espressione di uno scivolamento che si vorrebbe evitare all’evangelismo italiano e addirittura mondiale.
Un libro, al contrario, da leggere con curiosità, con generosità nei confronti di chi lo ha pensato e assemblato. E se da questa venisse fuori la necessità di tornare a pensare sempre e di nuovo a partire dal vangelo, allora vuol dire che si è trattato di una “buona” lettura.
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