Dalla terra al cielo, volente o nolente

di Claudio Pasquale Monopoli

Non è più un segreto che in America ci sia un problema di razzismo che giunge a livelli tali da riuscire ad eliminare fisicamente altre persone, chiamate afroamericane, cioè persone con la pelle scura. È tristemente nota la notizia dell’ultima vittima di un atteggiamento errato da parte della polizia statunitense nei confronti di un uomo dalla pelle più scura della mia.

E mentre una parte dell’America si indigna, piange e manifesta in modalità più o (molto) meno pacifiche, l’altra esulta, e torna a guardare il cielo sognante, e ritorna a riempirsi di sano spirito patriottico. Infatti ieri, 30 maggio 2020, è stato lanciato nello spazio il razzo della SpaceX, che per la prima volta dal 2011 ha lanciato degli astronauti da suolo americano dopo che le missioni Shuttle furono cancellate in quell’anno. L’obiettivo della SpaceX, che può intraprendere grazie all’esito felice del lancio di ieri, essendosi guadagnata in tal modo l’approvazione dalla NASA per i suoi programmi spaziali, prevede entro pochi anni di tornare sulla luna per soste mediamente più lunghe delle precedenti, e iniziare chissà quando una colonizzazione spaziale.

Al di là delle discussioni scientifiche ed ingegneristiche che possiamo instaurare sulla plausibilità di abitare altri posti oltre la terra, è indubbiamente paradossale che una parte del paese sogni i viaggi su altri pianeti mentre l’altra lotti per rendere l’attuale un posto abitabile da tutti, bianchi o neri. Da una parte c’è chi pensa alla possibilità di ricominciare altrove, dall’altra chi, meno sognante, vive gli incubi di non riuscire a sopravvivere un altro giorno sulla terra. Ed è impossibile, anche per chi non è americano, non immedesimarsi in entrambi questi sentimenti, la gioia e il dolore, per due fatti altrettanto importanti, con implicazioni tanto diverse.

Forse in Italia non riusciamo veramente a capire la portata criminosa di un atteggiamento razzista che fa parte del sostrato culturale intessuto inconsciamente nell’anima della società statunitense. Un uomo di colore nero ogni 1000 muore ucciso dalla polizia. Per cercare di capire meglio, già venire ucciso durante un arresto in America non è così raro, ma il rischio aumenta di 2,5 volte se si è afroamericani. Ovvero, se siete neri e venite fermati dalla polizia e arrestati, la possibilità che perdiate la vita per qualsiasi motivo è 2,5 volte maggiore di chi invece ha la pelle più chiara. Ce ne sono tante di inchieste accurate e dati precisi reperibili in rete, mi soffermo solo sull’ultimo, più vicino a noi da un punto di vista cronologico e contestuale, da cui emerge che le persone afroamericani fossero state 4 volte di più a rischio incriminazione per la violazione del lockdown rispetto al resto della nazione.
Considerando che gli afroamericani in America sono poco più del 14% della popolazione totale, è interessante e triste pensare che il 14% dell’America è più in pericolo di morte rispetto alla popolazione restante. È indubbio che ci sia un problema di quello che semplificando chiamiamo razzismo. D’altra parte è impossibile non avere la pelle d’oca nel guardare il razzo della SpaceX staccarsi dal corpus della navicella e tornare sulla terra e parcheggiarsi da solo su una minuscola piattaforma nell’oceano, in quanto riutilizzabile, per la prima volta nella storia spaziale, in altre missioni.

Ed è proprio qui la contraddizione, il paradosso dell’anima degli USA, e dell’uomo in generale, tanto potente e intelligente da creare futuristiche navicelle spaziali che si guidano da sole e che ci porteranno alla colonizzazione di altri pianeti, troppo cieco per non riuscire a comprendere quanto grande sia il problema razziale, per debellarlo una volta per sempre.

Un cristiano non dovrebbe pensare che schierarsi in favore della vita umana sia fare politica, o che difendere la vita umana di qualsiasi genere, sesso e razza, sia necessariamente schierarsi con un orientamento partitico che non gli piace, che non lo rappresenta. Un cristiano dovrebbe solo fare sue le parole di Gesù di “amarci gli uni e gli altri” di “porre l’altra guancia” e di praticare la giustizia. Non può esistere una politica che si intrometta a garantire il diritto alla vita di un uomo. Troviamo nella genesi come Dio confuse gli uomini, e di fatto terminò il progetto più simile ad un razzo spaziale nell’antichità, la torre di Babele, perché questi si erano insuperbiti e volevano raggiungere il cielo per divenire immortali nella fama. Non credo che oggi la torre di Babele si possa identificare con i razzi spaziali, credo piuttosto che la superbia che riscontriamo negli uomini che volevano arrivare in cielo la ritroviamo in coloro che minimizzano il problema razziale, che si rendono superbi e svalorizzano una vita che Dio ha creato, magari giustificando un atto di violenza ingiustificabile, per la presunta colpevolezza di un uomo, senza peraltro ammettere che se fosse stato bianco, quell’uomo, avrebbe avuto 2,5 volte possibilità in più di continuare a vivere.

Per Dio ogni vita è importante, perché per noi non dovrebbe esserlo?

Dovremmo schierarci come cristiani contro ogni forma di violenza, razziale e non, ma in questo caso, in questi giorni specifici, lottiamo per terminare il razzismo, conscio o inconscio, dai nostri cuori e di conseguenza dalla nostra società. Prima di pensare di ricominciare una nuova vita, per non commettere gli errori e le atrocità di questa terra, pensiamo magari a rendere il nostro pianeta un posto vivibile da chiunque, in cui chiunque possa avere il tempo di ricevere l’annuncio del Vangelo senza che qualcuno spezzi la sua vita prematuramente. Posto che non vivremo mai in un luogo perfetto per via del peccato, e della nostra natura, credo fermamente che noi cristiani dobbiamo lottare perché comunque ciò possa potenzialmente accadere:

“Ma tu, uomo di Dio, fuggi queste cose, e ricerca la giustizia, la pietà, la fede, l’amore, la costanza e la mansuetudine” (1 Timoteo 6:11-12), dove sarebbe dunque il nostro amore se non ci prodighiamo a terminare le ingiustizie commesse di fronte a noi?

Non riusciremo mai a costruire un nuovo mondo migliore, che sia Marte o la luna, se prima non miglioriamo il nostro, se non diveniamo servi della luce, e della giustizia alla luce dell’amore del Signore Gesù. A volte è bene spostare gli occhi dal cielo, e puntarli sulla terra, dove si piegano tra la polvere e il sangue i più deboli. “In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere»” (Atti 20:35).

Claudio Pasquale Monopoli si è laureato in Filologia Moderna alla Sapienza di Roma, specializzandosi nel campo della critica letteraria. È stato coordinatore del GBU di Roma e attualmente è impegnato nella chiesa evangelica”La Via”  di Ciampino.