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Dio sussurra nei nostri piaceri, parla nelle nostre coscienze ma grida nelle nostre sofferenze

C.S. Lewis nelle sue conferenze sulla sofferenza (The problem of pain – 1940; tr. it. Il problema della sofferenza – 1988) affermò che la sofferenza potrebbe essere considerata come una sorta di megafono con cui Dio cerca di parlare e a un mondo sordo ai suoi richiami.

Il regista Richard Attenborough, trasponendo cinematograficamente in Shadowlands (Viaggio in Inghilterra, 1983) un altro scritto dell’apologeta inglese Diario di un dolore (tr. it. 1990) in cui questi raccoglieva il suo calvario interiore per la morte della moglie Joy, metteva giustamente in contrapposizione la fulgida certezza della metafora riportata sopra con lo sconforto provato dallo scrittore dopo che quel megafono gli aveva strillato nelle orecchie, privandolo della moglie.

In quella vicenda la sofferenza era espressione di quello che i filosofi chiamano male naturale, il male come si manifesta nelle pieghe di una natura matrigna. È difficile (anche se non impossibile), in quei casi, pensare a un Dio che ti voglia parlare usando quel tipo di megafono.

La stessa condizione vivono sicuramente tutti coloro che nella pandemia che stiamo soffrendo stanno sperimentando il lutto e le separazioni (al 28 marzo, almeno in Italia, i morti sono ben 9134)!

Tuttavia la pandemia presenta un altro aspetto, non meno inquietante, del male naturale: esso è rappresentato dai miliardi di persone che, per evitare il contagio, sono costrette a vivere il distanziamento sociale; in pratica a recludersi e a immaginare il male che vaga nei dintorni della propria casa, cercando di intrufolarvisi ogni volta che si tocca una maniglia …

È pensando a questa massa enorme di donne e di uomini che è stato assemblato il libro che presentiamo dal titolo Lutero e la pandemia. La pandemia scopre la nostra fragilità di uomini minacciati da un elemento naturale che non si presenta, almeno non direttamente, con i contorni della tragedia diretta, improvvisa o deturpante come può essere un terremoto o un cancro. La scoperta della nostra fragilità avviene nel lento scorrere del tempo in quarantena, mentre i mezzi di comunicazione ci mettono al corrente dei numeri e delle notizie che rendono conto dell’ampliarsi del contagio e del restringersi dei nostri spazi vitali. In queste circostanze è possibile pensare alla sofferenza, a questo tipo di sofferenza, come a un messaggio che rintrona nelle nostre orecchie come se fosse trasmesso da un megafono, o da un altoparlante.

Dio sta parlando? Per i credenti è facile intravedere i tratti di questo discorso; lo è un po’ meno per chi credente non è. Il nostro testo vuole provare a raccogliere in uno le certezze del credente e i dubbi del non credente, rintracciando tutti i registri con i quali è possibile mettersi all’ascolto del megafono di Dio.

Queto instant book esce nel mentre l’OMS calcola che al mondo siano più di 300.000 i contagi mentre i morti arrivano a 15.000. Alcuni elementi caratterizzano il testo. Il primo è rappresentato dalla composizione: è evidente che il lbro è composto da due parti. Nella prima il fulcro è rappresentato dalla traduzione della lettera di Lutero sul comportamento dei cristiani nell’epidemia che imperversava nella seconda metà degli anni ’20 in Germania e che aveva coinvolto anche Wittenberg (Se sia lecito fuggire da una pestilenza mortale). Il testo di Lutero è preceduto da un’introduzione che ricostruisce il contesto storico e da un commento al testo medesimo da parte di uno studente di teologia ciinese della zona di Wuhan.
Nella seconda parte, segnata dal sottotitolo “la fede ai tempi del coronavirus”, sono raccolti i contributi in parte pubblicati sul nostro blog del DiRS–GBU.

Il secondo elemento che caratterizza questo libro è il fattore temporale: tutti i contributi, soprattutto quelli della seconda parte, riportano la data in cui sono stati pubblicati. Scorrendoli si ottiene una sorta di time lapse dell’esperienza della pandemia che, mentre pubblichiamo, è ben lungi dal permetterci di vedere all’orizzonte la luce in fondo al tunnel.

Nel darlo alle stampe nutriamo la fiducia che, pur nell’alternanza di certezze e interrogativi, il testo possa contribuire a farci cogliere il messaggio che Qualcuno vuole forse comunicarci.

(Giacomo Carlo Di Gaetano)

Il cristianesimo in tempi di epidemie

(John Wyatt)

Nel mondo antico le epidemie erano una fonte di terrore. Si sarebbero abbattute sulle città dell’Impero romano portando devastazione. Quella che viene chiamata l’epidemia di Cipriano fu una pandemia che afflisse l’Impero romano all’incirca dal 249 al 262 d.C. In questo periodo, al culmine della sua esplosione, si disse che nella stessa città di Roma morivano 5000 persone al giorno.

Ponzio di Cartagine scrisse una descrizione di prima mano: «In seguito, scoppiò una terribile piaga (peste), e l’eccessiva distruzione di destabile malattia invase ogni casa, una dopo l’altra, della popolazione tremolante, portando via giorno dopo giorno, con rapidità improvvisa innumerevoli persone, ciascuna dalla propria casa. Tutti tremavano, scappavano, cercavano di scansare il contagio, mettendosi empiamente a contatto con i proprio amici, esponendoli a rischio, come se, con l’esclusione della persona che sicuramente sarebbe morta di peste, uno potesse respingere anche la morte stessa. Intanto, ricoprivano tutta la città, non più di corpi, ma di carcasse di tanti e, la contemplazione di una sorte che a turno sarebbe stata la loro, esigeva che gli stessi passanti avessero compassione per se stessi. Nessuno considerava altro che il proprio crudele egoismo. Nessuno tremava al ricordo di un evento simile. Nessuno faceva all’altro quello che egli stesso avrebbe voluto sperimentare… »

Sorprendentemente, non ci sono giunti dei resoconti di prima mano relativi ai sintomi clinici e ai segni esteriori della piaga da parte dei medici ippocratici del tempo. Sebbene fossero rendicontate le descrizioni cliniche di molte altre malattie è stato notato che le descizioni mediche coeve della piaga sembrano vaghe e semplicistiche.

Perché? Sicuramente una ragione sta nel fatto che alle prime avvisaglie della piaga i medici ippocratici avrebbero disertato le città e sarebbero fuggiti nelle campagne per mettersi in salvo! Quando l’epidemia mise in pericolo Roma, il grande medico Galeno si spostò rapidamente in una tenuta di campagna dell’Asia Minore dove vi rimase fino a che non passò il pericolo.

Nell’opera ippocratica De arte lo scopo del medico era definito come «l’eliminazione della sofferenza del malato, ridurre la virulenza delle malattie e rifiutare coloro che sono già dominati dai loro malanni con il rendersi conto che in tali casi la medicina è impotente». Curare chi stava morendo equivaleva probabilmente a gettare discredito sulla reputazione della professione e mettere a rischio la fiducia nella capacità di guarire del medico.


È dunque notevole il fatto che fu un vescovo cristiano, Ciprano, che ci ha fornito la più accurata e dettagliata descrizione clinica dell’antica piaga: «Queste erano indicate come prova: mentre la forza del corpo si dissolve, le viscere si dissipano in un flusso; un fuoco che inizia nelle parti più profonde sale e brucia le ferite nella gola; gli intestini si scuotono a causa di un perpetuo vomitare; gli occhi bruciano per la pressione del sangue; ad alcuni, l’infezione della putrefazione mortale mozza i piedi o altre estremità; e mentre prevale la debolezza per i fallimenti e le perdite dei corpi, si paralizza il passo si perde l’udito si resta ciechi».


La descrizione di Cipriano ci fa pensare che la piaga del terzo secolo di cui egli fu testimone possa essere stata un’infezione virale emorragica, altamente infettiva e letale, simile al virus di ebola, sebbene continui il dibattito sulla natura di queste antiche epidemie.


Ciò che è chiaro è che c’erano scene di orrore – le strade piene di corpi sanguinanti dei moribondi e c’era il disperato tentativo della popolazione di salvarsi quali che fossero le conseguenze per gli altri. Qui c’è un’altra testimonianza di Dionigi di Alessandria: «Alla prima manifestazione della malattia i pagani allontanavano i malati e fuggivano dai loro cari gettandoli nelle strade prima che fossero morti e lasciavano i loro corpi non sepolti come si trattasse di immondizia, sperando così di evitare la diffusione e il contagio della malattia fatale; facevano quel che potevano ma era difficile per loro sfuggire …».


Eppure in molte di quelle città dell’Impero romano c’era un piccolo corpo di credenti, spesso osteggiati e stigmatizzati come “atei” (per il fatto che nelle loro case e nei loro luoghi di radunamento non c’erano state e idoli) oppure definiti “galilei”. Come reagivano in questo tempo di distretta e orrore? Scappavano anch’essi in campagna per salvare le proprie vite?

Il racconto di Dionigi prosegue: «La maggior parte dei nostri fratelli, dunque, senza avere alcun riguardo per se stessi, per un eccesso di carità e d’amore fraterno, accostandosi gli uni agli altri, visitavano senza preoccupazione gli ammalati, li servivano meravigliosamente, li soccorrevano in Cristo e morivano assai gioiosamente con loro; contagiati dal male degli altri, attiravano su di sé la malattia del prossimo e ne assumevano volentieri le sofferenze. Molti poi, dopo aver curato e ridato forza agli altri, morirono essi stessi [ . . . ]».


Seguendo l’esempio di Cristo i cristiani credenti offrivano cure compassionevoli ai loro vicini pagani – accogliendoli nelle loro case, lavando le ferite, pulendo il sangue e gli effetti delle perdite, offrendo acqua, cibo e medicinali di base, «li soccorrevano in Cristo», anche se sapevano che esponevano se stessi a un rischio estremo.


Il mondo antico non aveva mai visto qualcosa del genere. Rodney Stark, uno storico della società ha intrapreso un’analisi dettagliata gingendo alla conclusione che le azioni dei cristiani al tempo dell’epidemia fu uno dei fattori più importanti nella crescita esplosiva della chiesa cristiana in questo periodo.


Quando ho letto questi racconti mi sono sentito indegno di portare lo stesso titolo di un servo cristiano. Quanto poco ho sperimentato il costo della cura simile a quela di Cristo se i paragono alle mie sorelle e ai miei fratelli del terzo secolo.
Ma nei secoli successivi i servi cristani si sono comportati allo stesso modo dalla storia tragica della piaga dell’epidemia di Cipirano del 250 fino all’epidemia di ebola del 2014 e fino ad oggi. Molti degli infermieri e dei dottori della Sierra Leone che hanno sacrificato le loro vite per curare le vittime di ebola erano cristiani credenti. Sapevano che l’equipaggiamento protettivo era scadente e che nonostante tutte le loro precauzioni, non avrebbero potuto difendersi. Eppure essi si sono presi cura, come le loro antiche sorelle e i loro fratelli che ministrarono ai malati nel nome di Cristo.


Non ho dubbi che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi verranno fuori le storie di sacrificio eroico. Va detto che nel mondo moderno non sono solo i cristiani credenti che si sacrifiano nella cura degli sconosciuti. Dobbiamo celebrabre l’impegno nella cura di tutti a prescindere dal loro credo o motivazione. E naturalmente, come professionisti dobbiamo essere sapienti nel prendere le precauzioni, sì da poter continuare a curare il più possibile, piuttosto che infettarci anche noi. Ma non dobbiamo dimenticare la nobile storia del cristianesimo in tempi di epidemia, ricordando le parole di Gesù, come fecero i primi cristiani: « In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me» (Matteo 25:40).

John Wyatt è Professore emerito di Neonatal Paediatrics alla UCL e Senior Researcher presso il Faraday Institute for Science and Religion, dell’Università di Cambridge

In italiano si può leggere, dello stesso autore, Questioni di vita e di morte. Dilemmi moderni alla luce della fede cristiana, Edizioni GBU, 2018.


L’articolo è stato ripreso dal blog di CMF (Chrisrian Medical Fellowship) ed è stato tradotto con permesso. (https://cmfblog.org.uk)

UN SALMO PER L’EPIDEMIA: LA FIDUCIA TRIONFA SULLA PAURA

di Pablo Martinez (Spagna)
Traduzione di Daniela Buraghi

“Chi abita al riparo dell’Altissimo riposa all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: “Tu sei il mio rifugio e la mia fortezza, il mio Dio, in cui confido!”

Il Salmo 91, chiamato anche l’”Inno trionfale della fiducia”, è un gioiello. Ha dato respiro e pace a milioni di credenti che attraversavano il fuoco della prova. Secondo alcuni commentatori venne scritto nel bel mezzo di un’epidemia di peste (2 Samuele 24:13). Potrebbero essere state circostanze simili a quelle che stiamo vivendo oggi. Quindi, il suo messaggio è particolarmente rilevante per la nostra situazione attuale di epidemia.

Viviamo giorni di ansia e incertezza. Il mondo intero ha paura. All’improvviso abbiamo preso coscienza della fragilità della vita. Che cosa succederà domani? La fortezza nella quale l’uomo contemporaneo si credeva al sicuro è diventata debolezza, ci sono delle crepe nella roccia e noi ci sentiamo vulnerabili. La gente va in cerca di un messaggio di serenità e tranquillità. Dove trovarlo?

Il messaggio del Salmo 91 si riassume in una frase: la fiducia trionfa sulla paura.
Il salmista ci presenta tre frasi chiave che riassumono il “percorso” dall’ansia e dalla paura verso la fiducia:

“Il Mio Dio”: ciò che Dio è per me
“Egli ti libererà”: ciò che Dio fa per me
“Confiderò”: la mia risposta

1- “IL MIO DIO”: IL CARATTERE DI DIO

Il salmo inizia con un’illuminante descrizione del carattere di Dio. Nei due versetti iniziali si menzionano perfino quattro nomi diversi per spiegare chi è com’è Dio. Uno straordinario ingresso nella fiducia! Per il salmista Dio è l’Altissimo, l’Onnipotente, il Signore (Yahweh) e il Dio Sublime.

La consapevolezza della grandezza di Dio è il fondamento della nostra fiducia. Potremmo parafrasare il proverbio e affermare “dimmi com’è il tuo Dio e ti dirò com’è la tua fiducia”. Nel momento del timore il primo passo è alzare gli occhi al cielo, guardare a Dio e contemplare la sua grandezza e le sua sovranità. Nel farlo, il salmista sperimenta che Dio è il suo Riparo, la sua Ombra, il suo Rifugio e la sua Fortezza. Il ritratto di Dio in “quattro dimensioni”comporta una quadrupla benedizione. Conoscere come Dio è realmente è un passo imprescindibile nel percorso verso la fiducia.

Tuttavia, notiamo che il salmista si riferisce a Lui come il Mio Dio. Questa piccola parola, “mio”, ci apre una prospettiva particolare e cambia molte cose: il Dio del salmista è un Dio personale, vicino, che interviene nella sua vita e si preoccupa dei suoi timori e delle sue necessità. Siamo di fronte a uno dei tratti più caratteristici della fede cristiana: Dio non è soltanto l’Onnipotente, il creatore dell’Universo, ma anche un padre intimo, l’Abba (“papà”) che mi ama e mi protegge (Galati 4:6). Questo è il nostro grande privilegio: Dio ci tratta come un padre tratta i suoi figli perché in Cristo siamo fatti figli adottivi di Dio. Il salmista descrive questa esperienza con una bellissima metafora:

“Egli ti coprirà con le sue penne e sotto le sue ali troverai rifugio”. (v4)

2- “EGLI TI LIBERERÀ”: LA PROVVIDENZA DI DIO

“Certo egli ti libererà dal laccio del cacciatore e dalla peste micidiale… La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza. Tu non temerai… né la peste che vaga nelle tenebre, né lo sterminio che imperversa in pieno mezzogiorno… Nessun male potrà colpirti, né piaga alcuna s’accosterà alla tua tenda.” (v. 3-6,10)

Arriviamo al cuore del salmo: la protezione di Dio nella pratica. La conoscenza della grandezza di Dio deve essere accompagnata dalla consapevolezza della provvidenza di Dio. Siamo arrivati ad un punto cruciale, decisivo, dell’esperienza di fede. Se lo comprendiamo bene, sarà una fonte insuperabile di pace e serenità, però se lo interpretiamo male possiamo cadere in errori ed estremismi, oppure sentirci frustrati nei confronti di Dio.

La manipolazione del diavolo. È molto significativo che il diavolo tentò Gesù (Matteo 4:6, Luca 4) con una doppia citazione da questo salmo: “Poiché egli comanderà ai suoi angeli di proteggerti… Essi ti porteranno sulla palma della mano, perché il tuo piede non inciampi in nessuna pietra.” (v.11-12). Usare male le promesse della protezione divina è una tentazione molto di moda ai nostri giorni. Fate attenzione alla super spiritualità e alla super fede! Può essere un modo di tentare Dio, come ci insegna la risposta schiacciante di Gesù a Satana: “Non tentare il Signore Dio tuo” (Matteo 4:7). Confidare in Dio non ci esime dal comportarci in modo responsabile e saggio.

Detto questo, non possiamo minimizzare la potente azione protettrice di Dio sopra coloro che confidano in lui:

“Poich’egli ha posto in me il suo affetto, io lo salverò; lo proteggerò, perché conosce il mio nome. Egli m’invocherà, e io gli risponderò; sarò con lui nei momenti difficili; lo libererò e lo glorificherò.” (v. 14-15)

Una polizza per tutti i rischi? La parola chiave è “liberare”. Che cosa significa “Dio ti libererà”? La medesima espressione si applica a Giuseppe – “Dio lo liberò da ogni sua tribolazione” (Atti 7:10), tuttavia il patriarca dovette passare per molte valli dell’ombra della morte. Dio non gli evitò la prova, però lo riscattò da essa. Come disse Spurgeon, “è impossibile che nessun male accada a coloro che sono amati da Dio”. La fede non garantisce l’assenza della prova, ma garantisce la vittoria sopra la prova. L’apostolo Paolo sviluppa questa idea in forma magnifica nel cantico di Romani 8:28-39: “in tutte queste cose (le prove), noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati, Cristo.”

Quindi, la fede in Cristo non è un vaccino contro tutti i mali, bensì una garanzia di totale sicurezza, la sicurezza che “se Dio è per noi, che sarà contro di noi?” (Rom. 8:31). Questo salmo non è una promessa di completa immunità, ma è una dichiarazione di piena fiducia. Fiducia nella protezione di Dio espressa in tre maniere.

La tripla “C” della protezione di Dio. In ogni situazione di prova,

Dio conosce
Dio controlla
Dio ha cura (di me)

Nella vita dei figli di Dio nulla avviene senza la sua conoscenza e il suo assenso. Il caso non esiste nella vita del credente. La maestosa provvidenza del Dio personale risplende nei momenti più oscuri: “Cadranno al tuo lato in mille e diecimila alla tua destra; ma a te non arriveranno.” Niente succede se Lui non lo permette, come vediamo molto chiaramente nell’esperienza di Giobbe. Questa promessa viene ratificata dal Signore Gesù stesso:

“Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque; voi valete più di molti passeri.” (Matteo 10:29-31, Luca 12:6-7).

3 -LA MIA RISPOSTA: “CONFIDERÒ”

Dopo avere contemplato il carattere di Dio – ciò che Egli è per me – e la sua provvidenza – ciò che Egli fa nella mia vita – il salmista esclama con fermezza: “il Mio Dio, in cui confido!”.

È una sequenza logica. La fiducia è la risposta a delle certezze. Il salmista ha conosciuto Dio in maniera personale, intima – “perché conosce il mio nome” (v.14). Una tale conoscenza lo porta a innamorarsi di Lui – “ha posto in me il suo affetto” (v.14) e si stabilisce una relazione stretta. Qui troviamo, certamente, la sostanza della fede cristiana: è la fiducia che nasce da una relazione d’amore, la certezza che l’amato non mi tradirà perché “Egli (Dio) è fedele”.
La nostra vita non è in balia di un virus, ma è nelle mani di un Dio Onnipotente. In questo è radicata la certezza della nostra fede e il fondamento della fiducia che vince tutti i timori. Non c’è posto per i trionfalismi, ma certamente c’è un trionfo. È il trionfo che Cristo ci ha assicurato con la sua vittoria sopra il il male e il maligno alla Croce. È lo stesso Cristo le cui ultime parole furono:

“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. (Matteo 28:20)

Di Pablo Martinez potete leggere in italiano i seguenti libri, tutti editi da Edizioni GBU:
Abba Padre. Teologia e psicologia della preghiera (1998)
La spina nella carne. Come trovare forza e speranza nella sofferenza (2011)
Inseguendo l’arcobaleno. Oltre il dolore, il lutto e le separazioni (2014)

Di prossima pubblicazione:
Abbi cura di te stesso. Sopravvivere e progredire nel servizio cristiano (giugno 2020)
Gesù: pazzo o Dio? A proposito della più brillante delle menti (giugno 2020)

La fede e la scienza ai tempi del coronavirus

Nicholas Wolterstorff, filosofo americano, all’inizio della sua carriera scrisse un piccolo libretto dal titolo The reason within the bounds of Religion (1976): il titolo faceva il verso alla ben più famosa opera di Immanuel Kant, La religione nei limiti della semolice ragione (1792). L’intento era abbastanza chiaro: rilevare che, contrariamente al programma illuministico, esemplificato dal pensiero del filosofo di Konigsberg, la religione continuava ad allungare le sue propaggini in tutti gli ambiti dell’esistenza umana; la ragione, lungi dall’essere autonoma e deliberante in maniera assolutistica nel campo del sapere e dell’etica (tentativo questo già compiuto, per altri versi, da Schleiermacher) doveva fare i conti con quei “motivi di fondo” che molte correnti di pensiero dell’inizio del ‘900 rimandavano alla religione.

La neutralità in campo filosofico, ma anche scientifico, era un “mito” (per citare il titolo di un’altra opera del 1991, (The myth of religious neutrality) per certi versi riferibile al testo di Wolterstorff.

Ma proprio in quel piccolo libretto il filosofo nordamericano, nel tentativo di spiegare in che modo interagiscono queste due mega–strutture dell’esistenza umana, la religione e la ragione, e fondando la tesi dell’imprescindibilità della dimensione religiosa, pronuncia una piccola parola di precauzione. Nel dire ai sostenitori della ragione pura e, di conseguenza, della sola scienza considerata guida per la propria vita, che è necessario prendere in carico i motivi di fondo religiosi, afferma anche che ci sono momenti in cui la comunità di fede deve prestare attenzione alla ragione, alla scienza e alla comunità scientifica. Arrivando addirittura a modificare le proprie convinzioni “religiose” e, al limite, anche le proprie interpretazioni della Bibbia.

L’esempio per questo audace pronunciamento – audace per un credente – è, naturalmente, l’affaire Galileo, un passaggio storico in cui venne richiesto esplicitamente alla comunità di fede un cambiamento di lettura del testo biblico sulla base di precise indicazioni scientifiche e filosofiche.

Il matematico di Oxford John Lennox, negli ultimi anni, ha fatto molto per dimostrare la tesi secondo la quale dietro le rivoluzionarie assunzioni di Galileo c’era una visione del mondo cristiana, ergo, che dietro la scienza moderna c’è la Bibbia (I sette giorni della creazionexi, Edizioni GBU). Ma tuttavia il clima che la vicenda Galileo provocò rivelò quanto fosse difficile e complicato per la comunità di fede sottomettersi all’autorità della scienza empiricamente affermata e modificare le peroprie convinzioni e la propria lettura del testo biblico.

Nel Vangelo di Matteo viene narrato un miracolo compiuto da Gesù e consistente nella guarigione di un lebbroso (cap 8): questi, rompendo le convenzioni della profilassi del tempo, si avvicinò a Gesù giungendo fino a un contatto fisico con il Maestro. Nel breve dialogo di cui rende conto il Vangelo il lebbroso ha modo di esprimere la sua forte convinzione di fede, (convinzione che riecheggia anche negli altri miracoli dei capp. 8 e 9 di questo Vangelo: il centurione, il paralitico, la donna dal flusso di sangue, etc.): se tu vuoi tu puoi. Alla fine, il lebroso è guarito e il tocco di Gesù con il quale fu operato il miracolo ha avuto un’enorme risonanza nella storia degli effetti del testo (dalle pagine de I promessi sposi a Madre Teresa di Calcutta, etc.).

La fede, la fede cristiana biblica, quella che prende sul serio la narrazione biblica considerandola Parola rivelata di Dio, è il luogo dell’impossibile, il campo in cui tutto ciò che l’uomo costruisce o che riesce a spiegare può essere sconvolto dall’azione potente del Dio vivente (a Dio ogni cosa è possibile, Mt 19:26). Da sottolineare: la nozione di un Dio vivente per i cristiani non è una nozione astratta ma una che prende corpo e si rafforza grazie al racconto evangelico della risurrezione dai morti di un essere umano (Gesù di Nazaret), il quale proprio in virtù della risurrezione fu proclamato Signore (Atti 2 – lo era anche prima). La fede cristiana crede dunque nella rottura dei vincoli, nello scompaginamento delle barriere, anche sanitarie, che l’uomo può erigere in virtù della potenza di Dio. Interi movimenti di risveglio nella storia del cristianesimo stanno lì a dimostrare che la potenza di Dio, e dello Spirito, è attiva, quando si hanno le lenti giuste per identificarla. Il dibattito cessazionista (se cioè i doni spettacolari e miracolosi dello Spirito non fossero limitati esclusivamente – fossero cessati – all’epoca apostolica) a fronte della crescita esponenziale del movimento carismatico appare anacronistico.

Queste convinzioni cristiane sono divenute particolarmente battagliere negli ultimi vent’anni, nella stagione di quello che è stato definito il nuovo ateismo, quando cioè pensatori di varia estrazione hanno messo sul banco degli imputati la fede in un Dio onnipotente (in inglese si dice dock e God in the dock era già il titolo di un saggio di C.S. Lewis, ed 1979). La fede in un Dio onnipotente, di fatto inesistente, hanno sostenuto questi pensatori, è una fede pericolosa, dannosa. L’orizzonte principale di questa polemica era la violenza terroristica – le religioni e il cristianesimo in particolare sono la madre di tutta la violenza umana (si veda in proposito Dio è un Dio violento?, Edizioni GBU, 2018). L’accusa era rivolta a quella fede che, partendo dall’esistenza non provata di Dio, costruiva una vera e propria visione del mondo. Lo scontro è stato molto duro. Da questa stagione, e dai dibattiti Dio esiste/Dio non esiste, è emerso una sorta di nuovo dilemma etico: sottomettersi alla scienza o sottomettersi alla religione e alla fede cristiana? Le forze in campo infatti si confrontavano come forze onnicomprensive che richiedevano una vera e propria adesione totale.


Poi sono arrivate le notizie da Wuhan, e il paziente 1 di Codogno, e il coronavirus ha imperversato!

Che ne è del dibattito tra scienza e fede alla luce dello scenario che stiamo vivendo? Sto scrivendo all’indomani della dichiarazione da parte del Governo italiano dell’Italia “tutta” come zona protetta (10 marzo 2020).

La parola d’ordine oggi è quella di seguire una serie di regole di comportamento tutte discendenti da alcune assunzioni scientifiche. Ci viene chiesto, in soldoni, di sottometterci all’autorità della scienza.

Dawkins sembra essere in vantaggio, a questo punto!

Continua la lettura in Lutero e l’epidemia. La fede ai tempi del coronavirus

Tre domande a Emanuele Negri sui Coronavirus

  1. Cosa sono i Coronavirus?

I Coronavirus sono una famiglia di virus ampiamente diffusa nella popolazione umana e sono in genere considerati insignificanti per quanto riguarda la loro pericolosità. Possono causare sintomi come il comune raffreddore arrivando ad essere responsabili del 10-30% delle malattie respiratorie acute. Sono però presenti anche in altre specie animali. Solitamente non c’è passaggio da una specie all’altra, ma a volte succede e questo può causare l’insorgenza di un “nuovo” virus con caratteristiche diverse per scambio di materiale genetico. Il nuovo virus diventa quindi potenzialmente importante a seconda della capacità di essere trasmesso tra uomini, del nuovo “aspetto” che lo rende sconosciuto al nostro sistema immunitario, della sua virulenza cioè della capacità di causare una malattia più o meno grave.

Con i Coronarovirus tutto questo è già successo in altre due occasioni: nel 2002 con il virus responsabile della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) e nel 2012 con quello responsabile della MERS (Middle East Respiratory Syndrome). Per la SARS le persone coinvolte (intese come infette accertate cioè con isolamento del virus) furono circa 8000 con un 10% di morti ed un 20-30% di ricoveri in terapia intensiva. La MERS ha coinvolto in forma più episodica circa  2500 con una mortalità del 30% ed un 50-80% di ricoveri in terapia intensiva.

  1. Quali sono i rischi di questo nuovo virus?

Pur essendo, per quanto sappiamo fino ad oggi, molto meno pericoloso a livello individuale del SARS-CoV e del MERS-CoV, questo 2019-nCoV (questo il nome tecnico) lo è di più come potenzialità di interessamento di una popolazione molto più numerosa.

Secondo i dati a disposizione la mortalità da infezione da 2019-nCoV è del 2-3%. Paradossalmente è però più difficile contenere una epidemia da parte di un virus che causa delle forme di malattia lievi e che sono simili ad altre infezioni virali “banali” delle vie aeree. Così si possono avere più persone contagiate prima di riconoscere il propagarsi dell’infezione. Da qui la preoccupazione delle autorità sanitarie. L’impatto di un’infezione non dipende solo dalla pericolosità della singola infezione ma soprattutto dal numero di persone che ne verranno coinvolte. Anche se la mortalità relativa a questo infezione non è così alta, può diventare comunque alto in termini assoluti il numero di malati gravi e la mortalità complessiva. Essendo un virus sconosciuto al nostro sistema immunitario siamo tutti potenzialmente a rischio se ne veniamo a contatto. Attualmente siamo di fronte ad un epidemia ma non ad una pandemia (il 98% dei casi sono confinati ad una sola nazione) ma è ragionevole mettere in atto le misure possibile per evitarne la propagazione. Per il SARS-CoV le misure hanno funzionato. Per questo nuovo virus non possiamo ancora dire quale sarà l’efficacia delle misure preventive ma ad ogni modo anche solo il rallentamento della propagazione è molto utile perché dà tempo per preparare un eventuale vaccino e provare dei trattamenti antivirali.

  1. Quanto devo essere preoccupato e cosa devo fare?

Spesso abbiamo atteggiamenti irrazionali pendolando tra fatalismo (ad esempio verso il virus influenzale per il quale c’è la possibilità di vaccinarsi ma pochi lo fanno) e allarmismo (“evitiamo contatti con i cinesi”). Per quanto riguarda l’Italia, in termini assoluti, il virus che fa più danno è sempre quello influenzale mentre fino ad oggi non c’è nessuna evidenza che questo 2019-nCoV circoli nella popolazione italiana, quindi l’allarmismo è ingiustificato [ARTICOLO PUBBLICATO L’8 FEBBRAIO 2019, ndr]. E’ giusto che le autorità sanitarie siano prudenti ma io come singola persona devo comportarmi normalmente.

  1. Cosa suggerisce questo evento da un punto di vista cristiano?

Osservare quello che sta accadendo in Cina dove l’epidemia è un fatto reale, tangibile, ci ricorda  che nonostante tutto il nostro sapere e tutta la tecnologia a nostra disposizione, siamo fragili. Basta poco per bloccare tutto ciò che diamo per scontato. Crediamo di essere forti ma in realtà siamo disarmati. Dio ci avverte di questa nostra fragilità e per questo invita l’uomo a rivolgersi a lui oggi e non domani, perchè è solo lui che ci può dare pace e sicurezza.

Detto questo non credo che sia utile usare questo messaggio per “spaventare” le persone e annunziare l’evangelo, ma dobbiamo piuttosto mostrare sobrietà e saggezza e dimostrando testimoniando così che la pace e la sicurezza che dona il Signore sono concreti.

Emanuele Negri è medico internista e responsabile di terapia semi-intensiva presso l’High Care, il Dipartimento di Medicina Interna dell’IRCCS Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia Specialista in Cardiologia e Geriatria è anche responsabile di una locale chiesa evangelica a Parma.