Grazie Ed (Shaw): una voce profetica

Sono arrivato al XIV convegno GBU aspettandomi delle dissertazioni sulla sessualità secondo la prospettiva biblica. Sono tornato a casa con una moltitudine di stimoli, di prospettive e di sfide inattesi. Sul combattimento spirituale; su cosa sia l’intimità autentica e su cosa renda autentica la chiesa; su cosa renda plausibile non solo la sessualità secondo la Bibbia, ma la vita cristiana nella sua globalità, vissuta al seguito del Signore morto e risorto. E l’elenco potrebbe continuare.

Le righe che seguono vogliono essere una grata condivisione di questo inatteso sovrappiù. Sono grato al Signore, che non si stanca di mostrarmi come la sua grazia esorbiti sempre le mie ristrettezze mentali e la mia presunzione di sapere.

Ed Shaw al XIV Convegno si Studi GBU

Sono grato a Ed Shaw, per il suo radioso esempio di quanto possa essere contagioso -quand’è autenticamente vissuto- il desiderio di essere “più simile a Gesù”. Sono infine grato a coloro che hanno avuto l’audacia e la lungimiranza di realizzare un convegno simile.

Che il convegno avrebbe assunto risvolti imprevisti fu chiaro dalla prima sera, quando l’oratore (a me del tutto ignoto) si dichiarò attratto dal suo stesso sesso.

Poiché mi attendevo tre giorni di conferenze che fossero più o meno il corollario della semplicistica formula “Sesso etero in ambito matrimoniale” (non ne vado fiero, ma tant’è), fui piuttosto sconcertato dalla dichiarazione.

Certo, le mie categorizzazioni contemplavano l’opzione dell’omosessualità: nel catalogo delle perversioni. Punto. Sapevo anche di coloro che ritengono conciliabile la professione del cristianesimo con lo stile di vita omosessuale, purché nell’ambito di una relazione stabile e fedele. Ed Shaw rappresenta una minoranza di cui sapevo l’esistenza, senza però averne mai ascoltato la voce. Coloro che, fronteggiando la tentazione omosessuale, ritengono il celibato l’unica condizione compatibile con la fede in Gesù.

E la sua è stata una voce profetica, nientemeno.

Come un profeta, mi ha ripulito da alcune cianfrusaglie mentali di cui ero solo vagamente consapevole. Una fra tutte: la convinzione secondo la quale la tentazione omosessuale, a differenza d’ogni altra, viene invariabilmente cancellata dalla conversione. E perché, poi? Il mio orientamento etero mi esenta forse dalla lotta per la purezza? E’ stato salutare rivedere biblicamente la mia percezione del peccato in quest’ambito.

Ed Shaw è un uomo che trasmette l’esperienza autentica di come la lotta per vivere il celibato in questa tensione lo apra maggiormente alla grazia di Dio e lo disponga a dipendere davvero da Lui. Per diventare più simile a Gesù, in un cammino di ubbidienza e purezza. La plausibilità di questa vita controcorrente è possibile solo in una comunità illuminata e sorretta dalla grazia di Dio. Un luogo amorevole dove l’intimità sia una realtà sperimentabile anche dai celibi, etero o omosessuali che siano, attraverso relazioni sante e profonde, di amicizia e di fraternità.

E, come un profeta, Ed mi ha spezzato il cuore. Perché, confrontato con le sue parole, mi pento di aver talvolta introdotto nella chiesa i modelli svianti del perbenismo e del perfezionismo. Ma ho udito l’appello, e raccolgo la sfida.

Voglio re-imparare l’antica lezione della vulnerabilità onesta che accoglie la grazia. Voglio contribuire a rendere la chiesa una famiglia plausibile e desiderabile. Dove si abbraccia la croce e si respinge la seduzione del male in ogni ambito. Dove ci si incoraggia a vicenda ad essere più simili a Gesù.

(Marco Arturo, Responsabile di una Chiesa evangelica di Trezzano Rosa)

1 commento
  1. Marcello Favareto
    Marcello Favareto dice:

    Ringrazio Marco Arturo per aver espresso così bene, ben al di là di quanto avrei potuto fare io, i sentimenti di ammirazione, profonda simpatia, amore fraterno che anch’io ho provato per Ed Shaw, per il suo coraggio di esporsi in prima persona, di vivere e affrontare apertamente un tema che spesso nel mondo evangelico viene frettolosamente bollato o semplicemente cancellato dalla discussione. Il suo esempio dovrebbe essere portato nelle chiese per spronarle ad affrontare finalmente questo tema con serietà ed umiltà.
    Anch’io sono stato felicemente sorpreso dal contenuto del convegno, a cui sono arrivato più per rivedere tanti amici e fratelli che per sentire discorsi che il titolo mi faceva presagire “stantii”.
    Soltanto dopo la fine del convegno ho preso coscienza che la sorpresa, come detto, felice, era stata causata dal fatto che il titolo del convegno, che è anche il titolo del libro di Ed, “L’etica sessuale nella Bibbia” è non corrisponde al suo contenuto, che tocca sostanzialmente e solamente il tema dell’omosessualità. Non so se gli editori ci vogliono spiegare le ragioni di questa scelta.

    Dall’altro lato, con tutta l’ammirazione che provo per Ed, la sua proposta non mi convince completamente. Mi sembra che la sua posizione sia sostanzialmente questa: non posso cambiare il fatto di essere attratto da persone dello stesso sesso, ma posso resistere alla concupiscenza. La chiesa dovrebbe essere vicino a chi si trova in questa situazione non condannando l’attrazione, ma condannando solo la pratica omosessuale che a questa attrazione cede.
    Ovviamente credo che tutti siamo d’accordo su questo punto. Ma Ed vorrebbe che questo fosse l’atteggiamento di tutto il mondo evangelico in modo da rendere socialmente “plausibile” questa posizione. E, invece, una certa parte degli evangelici è disposta ad accettare anche la pratica omosessuale, il matrimonio gay, ecc. rendendo quindi molto più difficile la vita e la capacità di lotta a chi, come lui, cerca di resistere all’attrazione, perché viene messa in crisi la sua convinzione che la pratica omosessuale, anche se in un rapporto serio, continuativo e fedele, di condivisione per la vita, sia condannata dalla Bibbia.
    Scrive, infatti, nel libro (pag 28 e 29): “Ma non possiamo farlo da soli. La vita a cui sono chiamati i cristiani attratti verso lo stesso sesso sembrerà plausibile solo se tutti noi contribuiremo alla ricostruzione di questa struttura di plausibilità, riconoscendo e ricalibrando le nostre chiese alla luce dei passi falsi [che esamineremo]”.
    Il primo di questi passi falsi è che nelle chiese si tenda a vedere le persone, a classificarle in base alle tendenze sessuali (nel caso dei gay) piuttosto che in base a ciò che sono per la parola di Dio. “«Non sei quello che vuoi. Sei chi sei. E questo è definito dalla Parola di Dio». Queste sono le parole che mi ricordano che è plausibile essere un cristiano che ha ancora l’attrazione verso lo stesso sesso. Quando non mi viene ricordato dalla Parola di Dio chi io sono, allora penso di non potercela fare e la mia identità si lega di nuovo al mio peccato: il sesso con alcuni uomini che sono tentato di desiderare.” (pag. 38).
    Ma la mia domanda a questo punto è: ma per gli eterosessuali l’attrazione verso l’altro sesso non può essere altrettanto forte? Forse che in questo caso il desiderio non può trasformarsi in tentazione a cui si può cedere? Io non ci vedo differenza. E le perversioni, il sesso egoistico ci sono in tutti e due i campi. Però nel secondo caso ci può essere uno sfogo, una sublimazione in un rapporto regolamentato che è il matrimonio, mentre nel primo, almeno per una parte del mondo cristiano, ciò non è possibile. Perché?
    L’unica risposta che conosco e che Ed dà è: perché è condannato nella Bibbia.
    Al convegno Ed ha citato praticamente tutti i passi biblici che parlano di omosessualità: Lev 18. 22 e 20.13; Rm 1. 24-27 e poi fino a 31; I Cor 6. 9-10; I Tim 1. 8-10.
    Inoltre, a margine o nelle risposte alle domande, ha anche citato parole di Gesù che condannano la concupiscenza e suggeriscono azioni drastiche per non esserne schiavi: Mt. 5.27-30.
    Cominciamo da quest’ultimo passo. Gesù invita a star lontano dalla tentazione e dal pericolo di cader in peccato, in modo netto anche con azioni drastiche. Ma parla di tutte le tentazioni e non accenna minimamente al problema dell’omosessualità come diverso dagli altri. Quindi le sue parole valgono in generale e non puntano il dito sul nostro tema.
    Passiamo ora all’AT. I versetti citati condannano esplicitamente la pratica omosessuale (dei maschi…) e prescrivono la condanna a morte degli autori. Ma mi sembra onesto domandare perché questo divieto in particolare, e solo questo, va rispettato anche da noi oggi e non altri che troviamo nello stesso libro poco più avanti come “non seminerai il tuo campo con due sorta di sementi, né porterai veste tessuta di due diverse materie” (19.19) oppure “non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo, né toglierai i canti alla tua barba” (19.27). O, per restare in un campo più prossimo, perché non dovremmo rispettare la legge del levirato che impone al cognato di sposare la cognata vedova di suo fratello per dargli un erede? Io non credo che quei versetti, solo quelli, possano essere cogenti per noi.
    Ma ci sono le parole inequivocabili di Paolo… in particolare quelle ai Romani dove si dilunga sui rapporti omosessuali (maschili e femminili) all’interno del quadro generale dell’iniquità frutto della non ritenuta conoscenza di Dio (Rm 1.28) e su cui si manifesta l’ira di Dio (Rm 1.18). Negli altri due passi, effeminati e sodomiti appaiono, senza particolare evidenza, nell’elenco di tutti coloro che non erederanno il regno di Dio (I Cor) o che son condannati dalla legge per i quali essa è fatta (I Tim).
    Delle iniquità che Paolo propone nei suoi elenchi nessuna è problematica tranne, per alcuni, l’omosessualità. Perché? Perché è una tendenza, una attrazione che, come anche ammette Ed Shaw, non dipende dalla volontà, non sembra eliminabile e, in generale, non se ne “guarisce”. L’idea che sia una malattia o una “malformazione” manda in bestia i LGBT e illude chi crede nel potere delle guarigioni. Che l’omosessualità sia normale soltanto per il fatto che interessa una certa percentuale della popolazione mondiale, o sia presente anche negli animali, è, dal punto di vista evolutivo, insostenibile visto che chi ne è affetto non può contribuire alla riproduzione della specie. Anche i ciechi nati sono una certa percentuale della popolazione, ma non per questo sono normali. Però sono esseri umani che, come Gesù ha insegnato, non hanno colpa del loro stato e vanno aiutati a vivere una vita decente. Possono anche essere guariti miracolosamente, ma siamo nell’eccezione.
    Per i “benpensanti” spesso l’omosessualità è legata all’dea di libidine morbosa sfrenata ed egoista, ma questi aspetti possono essere tutti presenti anche nei rapporti eterosessuali, pure all’interno del matrimonio, ma non per questo si condanna tutta la classe degli etero sessuali.
    Quindi perché condannare un rapporto tra persone dello stesso sesso che sia basato su rispetto, condivisione, fedeltà e reciproco aiuto “nella buona e nella cattiva sorte”?
    Tutto sommato è proprio questo che Ed vorrebbe vivere.
    Ma Ed pensa che non gli sia consentito a causa delle parole di Paolo.
    Il problema allora si sposta sulla comprensione del pensiero di Paolo e delle sue basi.
    Quel che Paolo afferma è parte integrante di un sistema teologico-dottrinale? Il non accogliere la sua posizione mette in crisi dei principi fondamentali?
    Se si facesse un parallelo con la questione del velo per le donne, ormai caduto nell’oblio (ma da non troppi decenni e non in tutti gli ambienti evangelici…) si potrebbe risolvere il problema come un fatto culturale: il divieto poteva valere allora, nello scontro tra cultura ebraica e mondo greco, ma non necessariamente oggi.
    Del resto ci sono anche altre affermazioni di Paolo che pongono problemi di compatibilità con il complesso del suo insegnamento e che mettono in seria difficoltà i commentatori.
    Nella stessa I Tim 2.15 per giustificare la sottomissione e il silenzio ordinati alle donne Paolo fa riferimento ad Eva e conclude sulla donna “nondimeno sarà salvata partorendo figliuoli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”. Prese alla lettera queste parole sono in contrasto con dottrine fondamentali. Se queste parole non vengono prese “sul serio” per quello che dicono, perché dovrebbero esserlo quelle altre che creano anch’esse difficoltà ma non teologiche, soltanto di compatibilità col pensiero civile moderno?
    Al convegno, ad una domanda su questo passo, anche se posta in modo un po’ diverso, Ed non ha voluto rispondere.
    In sostanza Ed, ammirevolmente, si sottomette al divieto, senza discuterlo e forse senza comprenderne le ragioni, e lotta per non cedere alla tentazione di una attrazione che non riesce a sopprimere.
    Altri, invece, forse più laicamente, non riescono a vedere alcun male in un rapporto omosessuale serio, impegnato, duraturo, per la vita come dovrebbe essere anche il matrimonio eterosessuale.
    Del resto quando Gesù ha dichiarato tutti i cibi mondi (Mc 7.19) o ha detto che il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato (Mc 2.27) intendeva forse limitare il superamento della legge a questi soli punti? Ad es. non ha parlato della circoncisione, su cui, invece, Paolo si è battuto fortemente. Allora perché non lasciare alla pietà personale la decisione, come per i cibi o le feste?
    Ma questa posizione indebolisce il muro di plausibilità sociale di cui Ed ha bisogno per mantenersi fedele all’impegno che ha preso.
    E se l’ambiente non lo sostiene lo assale il dubbio: perché soffrire in questo modo?
    Già, perché?

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