Il cappellano presidenziale

Il neo–evangelismo: nuove interazioni con la cultura dominante

(A. McGrath)
(tratto da La Riforma protestante e le sue idee sovversive, Edizioni GBU, 2017, pp. 538-541))

Le battaglie della Seconda Guerra mondiale distolsero il protestantesimo americano dalle sue faide interne e le collocò in un contesto non del tutto inutile. Finita la guerra incominciarono a emergere nuove voci all’interno del protestantesimo conservatore che premevano per un sostanziale cambio di rotta. L’emergere dell’evangelismo (evangelicalism) quale distintiva posizione protestante risale al 1942 e alla costituzione della National Association of Evangelicals, con il suo sforzo programmatico di distinguere l’evangelismo (evangelicalism) dal fondamentalismo (9). In contrasto con la dogmatica insistenza fondamentalista sulla separazione dalla cultura moderna, i “neo–evangelici”, guidati da E.J. Carnell, Harold Ockenga, Carl Henry e Billy Graham promuovevano una positiva interazione con la cultura, nel tentativo di trasformarla con il vangelo.

Billy Graham è probabilmente l’esponente meglio conosciuto di questo nuovo movimento a causa del suo ministero evangelistico mondiale, iniziato alla fine degli anni ‘40 del XX secolo. Graham giunse a considerare il tradizionale fondamentalismo “d’opposizione” una barriera alla predicazione del vangelo. Nel 1956 la popolare rivista fondamentalista Christian Life pubblicò un articolo dal titolo “Is Evangelical Theology Changing?”, in cui si sosteneva che la vecchia guardia fondamentalista si atteneva alla massima «combattere strenuamente per la fede» mentre la nuova generazione preferiva: «devi nascere di nuovo». Ne nacque un’accesa controversia.

Tre mesi dopo la stessa rivista pubblicò un’intervista a Billy Graham in cui questi dichiarava di essere «nauseato e stufo» di simili polemiche e di voler soltanto continuare a predicare il vangelo. Per Graham il fondamentalismo portava a interminabili e sterili conflitti teologici, in un’epoca in cui c’era un importante lavoro evangelistico che doveva essere fatto. Il crescente distacco di Graham dal fondamentalismo si manifestò pubblicamente quando nel 1955 accettò l’invito a tenere una “crociata” (crusade) a New York. L’invito giunse da una coalizione di chiese cristiane, molte delle quali non erano sotto nessun aspetto fondamentaliste. Nel momento in cui, nella primavera del 1957, la crociata avviava una massiccia campagna pubblicitaria, era evidente che il fondamentalismo era consegnato al passato (10). Quantunque Graham fosse indiscutibilmente un protestante conservatore, questo non faceva di lui un fondamentalista.

Carl Henry (1913–2003) esemplifica particolarmente bene il carattere del nuovo movimento, specie nella sua generale attitudine alla cultura. Nel suo Uneasy Conscience of Modern Fundamentalism (1947), il «manifesto del neo–evangelismo» (Dirk Jellema), Henry sosteneva che il fondamentalismo presentava e proclamava un vangelo impoverito e ridotto, che era radicalmente carente nella sua visione sociale. Il fondamentalismo, a suo avviso, era troppo extramondano e anti–intellettuale per essere ascoltato da un pubblico istruito. Non mostrava alcun interesse a un esame del rapporto fra cristianesimo, cultura e vita sociale.

Entrava però a questo punto in gioco il monito di Jean Monnet: senza istituzioni, nulla sopravvive. Al nuovo movimento servivano istituzioni, in questo caso, un seminario e una rivista, per consolidare la propria influenza. La fondazione, nel 1947, del Fuller Theological Seminary, che sposò rapidamente (e non senza polemiche) la linea del “nuovo” evangelismo piuttosto che quella del fondamentalismo, ne assicurò la sopravvivenza istituzionale (11). L’esperienza di Henry come giornalista sfociò nell’invito, da parte di Billy Graham e L. Nelson Bell, a curare un nuovo giornale che si veniva allora lanciando. Da editore capo di Christianity Today dal 1956 fino al 1968, Henry contribuì molto a definire il profilo, gli obiettivi e la credibilità del “neo–evangelismo”.

Il successo e i possibili svantaggi delle forme d’interazione culturale promosse dall’evangelismo si possono osservare nel ministero di Billy Graham (12). È vero che i rapporti di Graham con il presidente Harry Truman sono stati estemporanei e incerti; tuttavia riuscì a costruire una buona collaborazione con il presidente Dwight «Ike» Eisenhower. Mentre i suoi rapporti con John F. Kennedy furono ambivalenti, consolidò il suo emergente ruolo di pastore e consigliere spirituale non ufficiale della Casa Bianca con Lyndon B. Johnson e Richard Nixon, un ruolo che avrebbe mantenuto fino alla fine dell’amministrazione Clinton. Graham godette quindi di una relazione privilegiata con nove presidenti nell’arco di un periodo di quasi cinquant’anni, divenendo sostanzialmente una sorta di cappellano presidenziale.

Quest’elevato livello di gradimento politico, tuttavia, non fu privo di costi. Graham non si sentiva di poter criticare apertamente coloro che serviva in questo modo; il risultato fu
che non riuscì a espletare quel ministero profetico che, secondo molti, era l’unico a essere nella posizione di poter esercitare. Prestò sostegno allo sforzo bellico in Vietnam sotto Johnson e fu incredibilmente reticente sulle cadute morali di diverse presidenze, a cominciare dallo scandalo del Watergate che affossò Nixon e gli intrighi sessuali della presidenza Clinton. Per i suoi critici il crescente gradimento sociale dell’evangelismo era l’altra faccia della medaglia della crescente accettazione, da parte dell’evangelismo, degli standard culturali convenzionali: mediante una tale accettazione aveva perso il suo mordente morale (13).

Un chiaro ambito di divergenza tra fondamentalismo ed evangelismo aveva a che fare con l’azione sociale. L’impatto dei primi risvegli aveva portato a un nuovo interesse per
un impegno nel sociale. A metà del XIX secolo era ormai diventato scontato che quanti avevano fatto esperienza di qualche risveglio spirituale dovessero prendere attivamente parte ai vari tentativi di aiutare i meno fortunati nella società. Negli anni ‘20 e ‘30 del XX secolo, però, il fondamentalismo si chiuse a qualsiasi tentativo d’impegno sociale. Per ragioni che non sono del tutto convincenti e poggiano più su immaginari collegamenti che su convergenze dimostrabili, molti influenti fondamentalisti videro negli sforzi di aiutare i poveri l’indizio di un cedimento alla teologia liberale. Dopotutto non erano stati i teologi liberali a promuovere, durante la controversia modernista degli anni ‘20 del XX secolo, il «vangelo sociale»?14 Fino a tempi recenti i fondamentalisti hanno avuto la tendenza a pensare a un’azione sociale cristiana puramente limitata alle battaglie per la libertà religiosa e contro l’aborto. Per gli evangelici (evangelicals), invece, il vangelo invita chiaramente i cristiani a battersi anche contro il razzismo, il sessismo e la povertà.
Altri cambiamenti e riallineamenti in atto più o meno in questo periodo stavano ulteriormente alterando la natura del protestantesimo. Ancora una volta al centro di questi cambiamenti c’era il modo di relazionarsi del protestantesimo con la cultura.

 

NOTE

9. G.M. Marsden, Understanding Fundamentalism and Evangelicalism, Eerdmans, Grand Rapids, 1991.

10. Per considerazioni in proposito vedi J. Carpenter, Revive Us Again: The Reawakenings of American Fundamentalism, Oxford University Press, New York, 1997.

11. Vedi Marsden, Reforming Fundamentalism, op. cit., pp. 69–244.

12. Su questo punto vedi W.C. Martin, A Prophet with Honor: The Bill Graham Story, Quill, New York, 1991.

13. L’ambivalenza politica del ministero di Graham spicca probabilmente e maggiormente nel suo modo di porsi nei confronti delle campagne per i diritti civili di Martin Luther King Jr.; vedi l’importante analisi contenuta in M.G. Long, Billy Graham and the Beloved Community: America’s Evangelist and the Dream of Martin Luther King Jr., Palgrave Macmillan, New York, 2006.

(A. McGrath, tratto da La Riforma protestante e le sue idee sovversive, Edizioni GBU, 2017, pp. 538-541)

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