Riconoscere le proprie colpe come Nazione e come credenti
Quando in una Nazione si cambia Governo dopo diversi anni, quest’ultimo deve riprendere e intrecciare rapporti diplomatici con le altre Nazioni cercando di essere attento a quanto si dice, oltre che a quanto si fa. L’Italia, in questo momento è alle prese con diverse crisi internazionali, da quella del conflitto russo-ucraino a quelle rinvenienti dal continente africano, anche dei Paesi che, nella prima metà del XX secolo erano nostre colonie.
E’ giusto che il Governo allacci e riallacci rapporti con questi Paesi ed è quello che ha cercato di fare l’attuale Premier con la sua visita in alcuni Paesi africani qualche giorno fa. Quando si va in questi Paesi non bisogna mai dimenticarsi di quello che è accaduto e di come, come tutte le altre nazioni, e forse anche più di esse, l’esercito coloniale italiano e i governi precedenti la Seconda Guerra Mondiale siano stati protagonisti di grandi atrocità e la nostra Nazione dovrebbe provare vergogna e chiedere scusa per tutto quello che è successo.
Ad una domanda fatta al premier se fosse il caso di chiedere scusa per le atrocità commesse, la risposta è stata piccata e si è quasi voluto ricordare che un tale atteggiamento appartiene più ad un colore politico che ad un’intera Nazione. Va detto che, precedentemente due nostri Presidenti della Repubblica, Scalfaro e Mattarella, avevano riconosciuto che quanto successo nel passato va assolutamente condannato e che l’unico atteggiamento che uno Stato dovrebbe avere è quello di chiedere scusa.
Chiaramente per comprendere gli avvenimenti passati è giusto guardare alla storia ed anche a certe narrazioni di essa che sono passate nel nostro Paese. Dopo la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, l’Italia perse tutte le sue colonie e, dato anche il breve tempo in cui aveva avuto questi territori al di fuori del nostro confine, per diversi decenni non si è riflettuto in maniera critica su quanto accaduto, su come i nostri connazionali si siano macchiati di crimini atroci, dovuti anche al fatto che si ritenevano i territori conquistati abitati da persone culturalmente e razzialmente inferiori.
E’ passato, per diverso tempo, la “leggenda” che gli italiani, nei loro possedimenti coloniali, si fossero comportati bene, anzi che avessero portato la civiltà, costruendo “le strade” e comportandosi in maniera bonaria, perché gli italiani erano dipinti come “brava gente”, rispetto alla durezza imposta nei loro territorio dai britannici e dai francesi
Questa falsa narrazione (ancora presente oggi) è stata messa in discussione solo a partire dagli anni 1990, grazie anche ad un’attenta ricerca documentaria che ha fatto scoprire a diversi storici cosa fosse accaduto durante il periodo di occupazione coloniale da parte degli italiani.
Uno dei primi ad occuparsi della dominazione coloniale italiana è stato Angelo del Boca. Del Boca, attraverso i suoi attenti studi delle fonti dell’epoca, ha dimostrato che la brutalità era presente già con i governi liberali che avevano iniziato la conquista dei territori a partire dalla fine del XIX secolo ed aveva raggiunto il suo apice nella campagna per la conquista dell’Etiopia, fortemente voluta da Mussolini. In quella cruenta campagna contro uno Stato che aveva mantenuto la sua indipendenza sin dall’antichità e che era per giunto abitato da una popolazione di antica fede cristiana, l’esercito italiano, supportato dalle camicie nere, non si fece scrupoli di usare le armi chimiche (proibite dalla Società delle Nazioni dopo il primo conflitto mondiale) e di approvare leggi razziali che precedevano quelle del 1938 contro gli Ebrei. La sintesi dei suoi studi si trova oggi nel testo Italiana brava gente, dove lo storico torinese dimostra come anche gli italiani furono malvagi e cruenti come tutte le popolazioni occidentali.
Se qualcuno pensa che la missione italiana sia stata quella di importare la civiltà e la religione cristiana, dovrebbe informarsi e iniziare a sapere che la prima grande strage di credenti cristiani (di religione copta) fu fatta proprio dagli Italiani. In un clima come quello voluto dal Governo Fascista, che non aveva simpatie per le minoranze religiose e che era sceso a compromesso con la Chiesa Cattolica per cercare di evitare opposizione da essa, i cristiani copti dell’Etiopia che continuavano a parteggiare per il Negus in esilio, erano di ostacolo ai propri piani e mostravano una resistenza che non si poteva sopportare. Per questo motivo Graziani nel maggio 1937 ordinò quello che è stato il più grande massacro di cristiani della storia del XX secolo.
Il governatore di Etiopia decise di far uccidere quasi tutti i monaci ed i pellegrini che si recavano a Debre Libanos, uno dei principali santuari della religione copta etiope. Ci furono più di 2000 vittime che non stavano opponendo resistenza e non erano in battaglia. La vicenda, “riscoperta” da pochi anni, è stata magistralmente ricostruita da Paolo Borruso nel suo libro Debre Libanos 1937.
Per chi voglia una sintesi di quanto accaduto nella dominazione coloniale il testo da leggere è quello di Francesco Filippi Noi gli abbiamo fatto le strade, pubblicato un paio di anni fa.
L’A. smonta questa idea ricordando che l’imperialismo italiano è stato simile, in tutto e per tutto, a quello delle altre nazioni. con la differenza che, al contrario di quanto è avvenuto in Francia ed in Gran Bretagna, non abbiamo riflettuto in maniera critica sul nostro passato e, ancora oggi, non riusciamo a comprendere la portata di quanto accaduto durante il nostro periodo coloniale.
Interessante la ricostruzione di come sia iniziato l’imperialismo italiano e di che immagine abbia voluto dare di sé. Basterebbe ricordare l’idea di Pascoli sulla grande proletaria che si muove per comprenderlo: i governi italiani hanno sempre presentato l’occupazione coloniale come un’impresa fatta a beneficio delle classi meno abbienti che avrebbero potuto ricevere “nuove terre” dove formare e proprie fortune. L’idea di formare colonie di popolamento si è sempre infranta con la realtà dei fatti: le prime colonie italiane (Eritrea, Somalia e Libia) erano territori difficili, dove l’insediamento è stato o puramente commerciale o militare, ma dove gli “italiani” non hanno realmente trovato quello che gli era stato promesso.
Anche le motivazioni ulteriori delle occupazioni da parte dell’esercito italiano risultano essere pretestuose: si vanno ad occupare terre che sono “vuote” (come se gli abitanti del territorio fossero “non umani”), si por
ta la modernità in posti dove vigono ancora usanze medievali. Queste idee, secondo Filippi, continuano ancora oggi a dominare la mentalità comune quando si parla di questa parte della nostra storia, cosa che viene fatta sempre in maniera piuttosto superficiale.
Il riguardo per le popolazioni conquistate sono date dalle immagini da cui prende il titolo uno dei paragrafi del libro che narra dei tratti bestiali che venivano dati agli indigeni: selvaggi con l’“anello al naso” e con “la sveglia sul collo”. Manca del tutto, quindi, un qualsiasi sguardo antropologico, neanche quello di un’antropologia evoluzionista che cerchi di fare una distinzione tra le popolazioni. .
Il volume si conclude con un capitolo dedicato a come è stata percepita dagli italiani il possesso di colonie dopo averle perse. L’A. si sofferma sul fatto che l’Italia non è stata capace di una reale ricostruzione della memoria coloniale ed ha continuato a cercare di creare una sorta di diversità rispetto agli altri Paesi o a dimenticare cosa fosse realmente successo. Le stragi, il razzismo (che va ricordato fu prima applicato in Italia alle popolazioni coloniali) sono scarsamente ricordati dalla nostra storia e anche dalla nostra antropologia.
Rispetto a questo quadro, confermato da diversi storici oggi e documentato dalle accurate ricerche fatte (non va dimenticato anche Nicola Labanca che ha dedicato importanti saggi alla storia delle colonie italiane), che atteggiamento dovremmo chiedere come evangelici rispetto a quanto accaduto nel passato?
Non dimentichiamoci che Cristo è venuto per tutti ed il nostro compito è quello di annunciare il Vangelo a tutto il mondo, perché per Dio non vi è alcuna distinzione tra gli uomini. Proprio per questo motivo volevo concludere con alcune parole dell’Impegno di Città del Capo, voluto dal Movimento di Losanna e che, in una prospettiva missiologica che guarda alla storia afferma: “Riconosciamo con dolore e con vergogna la complicità dei cristiani in alcuni dei più devastanti scenari di violenza e di oppressione etniche e il deplorevole silenzio di un’ampia parte della Chiesa quando si sviluppano tali conflitti. Questi scenari includono la storia e l’eredità del razzismo e della schiavitù della gente di colore, l’Olocausto contro gli ebrei, l’apartheid, la «pulizia etnica», la violenza settaria fra cristiani, la decimazione delle popolazioni indigene, la violenza interreligiosa, etnica e politica, la sofferenza dei palestinesi, l’oppressione di casta e il genocidio tribale. I cristiani, che con la loro azione o con la loro passività contribuiscono alla frammentazione del mondo, minano seriamente la nostra testimonianza al vangelo della pace”.
Anche il nostro Paese ha partecipato a tutto questo e come Chiesa non possiamo tacere e dobbiamo provare vergogna e dolore.
Valerio Bernardi – DIRS GBU